• Non ci sono risultati.

Uno scarto di genere

2 3 Narrazione mitica o romanzesca?

2.3.1. Uno scarto di genere

Che Armance sia un romanzo atipico, fuori dagli schemi del genere è evidente fin dalle primissime battute. Fra tutte le maniere che potevano essere prescelte per avviare la sua narrazione, l’autore elesse quella meno prossima alla metodologia convenzionale: non un folgorante attacco in medias res e neppure un graduale ingresso in materia che facesse familiarizzare il lettore con l’eroe a poco a poco, mostrandocelo prima nella sua infanzia, quindi nella sua adolescenza, e infine nell’età della maturità.

Sotto la lente d’ingrandimento dell’entomologo Stendhal finì invece un personaggio già entrato nell’età adulta e per un periodo limitato della sua esistenza, quella attorno ai vent’anni. A rendere ancora più straniante l’incipit è la discrasia con il titolo, in quanto il personaggio eponimo non è il protagonista; ciò confligge significativamente con quella che era l’usanza sette-ottocentesca.

Sin dalla loro affermazione sulla scena letteraria infatti i cosiddetti romanzi di carattere, volti ad eternare sulla carta il percorso di vita di un individuo emblematico, vero o immaginario che fosse, si contraddistinguevano per anticipare nel titolo l’identità; sono quelli che Genette chiama titoli tematici, incentrati sull’oggetto centrale del libro92; a modo di conferma basti citare titoli celeberrimi quali Robinson Crusoe di Daniel Defoe, considerato da tutti l’opera fondativa della narrativa inglese moderna, o

L’Astrée di Honoré D’Urfé, primo esemplare di romanzo a chiave, nonché di romanzo

di costumi.

91 Frank Kermode, The Genesis of Secrecy on the Interpretation of Narrative, Cambridge, Harvard

University Press, 1979, p. 47.

- 88 -

La rottura con la tradizione che scaturisce dal tipo di titolo scelto da Stendhal per la sua prima esperienza di romanziere, cioè sempre per dirla con Genette, la scelta di un titolo tematico incentrato su un oggetto secondario alla diegesi93 venne dettata da motivi particolari sui quali torneremo nel prossimo capitolo quando analizzeremo le consonanze tra il mito e il culto di Adone, le cosiddette Adonie, con il nostro romanzo di impotenza; adesso basti non tralasciare il suo carattere di devianza rispetto a quanto la tradizione del romanzo prescriveva.

Alla prosopografia di Octave fornita in questa fase esordiale la penna di Stendhal non previde che seguissero ritocchi o variazioni man mano che il bandolo si dipanava. La personalità del visconte risultava fissata una volta per tutte sin dalla prima pagina e anche la sua entomologica dissezione era già valevole per questa sua iniziale manifestazione, mentre nel resto del racconto non si faceva che ribadirla per mezzo del narratore.

Ove al personaggio principale viene negata un’evoluzione, la fabula scarseggia di peripezie, anzi a ben guardare non ce ne è nemmeno una, similmente a quanto accade in René di Chateaubriand, in cui il personaggio principale è come paralizzato nell’inazione. Non essendovi azione, non c’è, apparentemente, romanzo. Ma cosa ci permette di affermarlo?

La teoria della letteratura. A definire il racconto nei termini delle interrelazioni che scaturiscono tra personaggi nel corso di un’azione è stato lo strutturalista Claude Brémond nel suo sforzo di compilare una grammatica universale della fiction94. Partendo dall’assunto proppiano e greimassiano che l’azione è il materiale di base della costruzione romanzesca, lo studioso l’ha presa in esame, non in un’accezione astratta come avevano fatto gli altri due teorici, ma all’interno di una cornice contestuale più ampia, ternaria per la precisione.

L’azione, se presa di per sé come pure se valutata per l’aspettualità del verbo che la esprime95, ha, al dire di Brémond, poco significato; ne assume, al contrario, se rapportata al suo agente e al suo paziente, cioè al soggetto che la compie e quello che la subisce. Ciò non toglie che l’azione sia rilevante. La maniera in cui l’azione viene

93 Ibidem. 94

Claude Brémond, Logique du récit, Paris, Seuil, 1973, passim.

95 In grammatica vengono distinti cinque diversi aspetti verbali: imminenziale (stare per), ingressivo o

incoativo (mettersi a, incominciare a), progressivo (stare + gerundio), continuativo (continuare a) e terminativo o egressivo (finire di).

- 89 -

messa in scena nella narrazione deve essere scandita da tre momenti diegetici: quello della virtualità (accostabile all’aspetto imminenziale, incoativo o ingressivo del verbo), nel quale a un personaggio X si prospetta la possibilità di compiere un atto, il passaggio all’atto vero e proprio (paragonabile agli aspetti verbali frequentativo, progressivo e continuativo), cioè il momento della messa in pratica, e l’esito dell’atto (assimilabile all’aspetto egressivo o terminativo del verbo); momento a due uscite quest’ultimo, una positiva nel caso di un successo e una negativa, nel caso di un fallimento.

Ora il visconte Octave de Malivert, alla stregua del protagonista della saga dei Natchez, è stato beneficato dalla natura delle migliori potenzialità. Lo stesso vale anche per Olivier ou le secret di Mme de Duras e Olivier di Latouche come pure in quello di Caroline Pichler:

Beaucoup d’esprit, une taille élevée, des manières nobles, de grands yeux noirs les plus beaux du monde, auraient marqué la place d’Octave parmi les jeunes gens les plus distingués de la société. (A, 89)

Olivier, auquel je ne conteste aucune des perfections que tu lui trouves, est par cela même pour toi [Adèle sta parlando], chère Louise, le plus dangereux des hommes. (OS, 139)

C’était un homme [Olivier] duquel on aurait pu dire […] qu’il ne lui manquait que des défauts96.

Les trois fils [des comtes de Hautefort] étaient beaux, bien faits et flattaient leur orgueil, mais l’aîné, Olivier, surtout l’emportait sur ses frères, et faisait l’admiration générale; sa personne, de la tête aux pieds, était sans défauts97

Malgrado questo trionfo di nobiltà e virtù, veicolate semanticamente dall’abbondanza di superlativi, le creature di Stendhal e degli altri autori in questione restano impigliate negli ingranaggi dell’inconcretezza. Sintomatico è il naufragio di sogni come quello di partire per l’America o di farsi una strada nel mondo del lavoro.

Questo aspetto è da una parte assai tipico dei romans sul male del secolo, cioè di quei testi letterari intesi a scandagliare la patologia che endemicamente contagiò la generazione degli anni Venti dell’Ottocento, ridotta all’immobilismo dall’urto con una nuova realtà storica e ideologica; dall’altra, esso è anche fortemente antiromanzesco, poiché è difficile immaginare una storia laddove mancano i fatti che ne costituiscono

96 Latouche, op. cit., p. 37. 97 V. Pichler, op. cit., t. I., p. 4.

- 90 -

l’impalcatura. Basilare, quest’ultima come abbiamo ricordato rifacendoci alla teorizzazione strutturalista, per la diegesi.

Se non è un personaggio d’azione la figura maschile che occupa il centro della storia, non è più dinamica di lui la donna di cui è innamorato; lungi dal distinguersi per le sue gesta o per un profilo di spessore, Mlle de Zohiloff, pare, per via della languida caratterizzazione che le riserva il suo inventore, una mera replica al femminile del cugino. Ma stiamo precorrendo le tappe di una disamina che è stata pensata come progressiva. Ci riserviamo nella parte iniziale del prossimo capitolo di esaminare a fondo la questione del ruolo di doppio del protagonista che la fanciulla dalle origini circassiane ricopre, in quanto questo suo peculiare tratto è oltremodo funzionale alla dimostrazione che in Armance vive il mito.

Per tornare al punto, cioè per dimostrare che esiste uno scarto tra il genere romanzesco e l’opera di Stendhal, esaminiamo le dimensioni più distintive del romanzo: lo spazio e il tempo.