• Non ci sono risultati.

Uno scarto rispetto al cronotopo

Nel documento Epifanie del mito in "Armance" di Stendhal (pagine 90-103)

2 3 Narrazione mitica o romanzesca?

2.3.2. Uno scarto rispetto al cronotopo

2.3.2.1. Fuori dal tempo

Nell’elaborare la complessa materia armanciana Stendhal non reputa opportuno sviluppare in maniera approfondita il cronotopo; farlo avrebbe significato infatti sottrarre tempo ed energie allo scandaglio della psicologia del protagonista, aspetto della scrittura che molto di più lo allettava. Non abbiamo da eccepire allorquando certi critici setacciano il testo al fine di portare in superficie elementi che lo riallaccino al periodo storico della Restaurazione; dissentiamo, però, quando l’ancoraggio a questa fase della storia di Francia viene esaltato a tal punto da ridurre il romanzo a velleità cronachistiche.

In altre parole, non reputiamo convincente la tesi secondo la quale il libro è nato con l’intento di fornire un quadro della società puntuale e minuzioso nel rispetto dei dettami imposti dalla migliore tradizione del romanzo storico. Sostanzialmente la trasformazione dell’intellettuale di Grenoble in un cronista del presente e del suo racconto in una cronaca documentaristica poggiava sul fatto che il testo si articolasse

- 91 -

attorno a tre elementi, i quali erano storicamente rilevanti poiché esplicitamente al tessuto quotidiano della Francia restaurata rimandavano.

Questi preziosi elementi erano: l’anno 1827, anno nel quale la finzione è collocata a partire dal titolo rematico98 che accompagna i tre volumetti in cui viene per la prima volta edito il romanzo; il liberalismo, dottrina che si era fatta strada all’inizio del XIX secolo con l’affacciarsi della borghesia sulla scena sociopolitica ed economica; la legge d’indennità, o del “milliard aux émigrés” che dir si voglia, votata nel 1825 ad un anno di distanza dalla ascesa al trono di Carlo X, a compensazione dei danni subiti durante la Rivoluzione francese dagli aristocratici che, sentendosi minacciati, emigrarono.

Leggendo il libro, l’impressione che ne abbiamo potuto ricavare è stata di tutt’altro genere. Benché i tre aspetti sui quali i fautori della tesi cronachistica hanno posto l’accento siano indiscutibilmente presenti nel testo e nel paratesto, lo scarso valore che viene dato loro dallo scrittore durante la narrazione ci porta a vederli come dettagli circostanziali rispetto ad essa, introdotti per aumentarne l’effetto realistico e non con le mire di farne gli assi portanti della ricostruzione di uno spicchio di secolo contemporaneo all’autore; cosa che, di contro, i partigiani della fedeltà storica assoluta di Armance lasciano intendere ponendolo sullo stesso piano dello scozzese Walter Scott.

Sostenere una lettura in contrasto con questa visione critica del romanzo è di per sé cosa semplice; difficile è invece darne prova. Eppure, una maniera l’abbiamo trovata: portare all’attenzione il fatto che l’impianto probatorio dei sostenitori della tesi cronachistica (cioè i dati storici di cui abbiamo detto) ha in realtà basi assai traballanti.

La centralità storica assunta dal 1827, se restituita ad una corretta ottica interpretativa è bastevole a dimostrare come l’equiparazione di Armance ad un romanzo storico sia un gigante dai piedi d’argilla. Il campeggiare di questa datazione nel sottotitolo, che tanta sostanza dà al preteso valore storico del romanzo, non fu frutto della volontà di Henri Beyle; questo è un dato di fatto, messo nero su bianco con vidimazione dello stesso autore, del quale non possiamo non prendere atto.

Il fitto dialogo instaurato dall’autore con l’amico Mérimée via lettera – preziosissima fonte dalla quale sono state attinte la stragrande maggioranza delle

- 92 -

informazioni che abbiamo riguardo alle fasi creativa e editoriale del romanzo – attesta che l’idea del titolo secondario con funzione contestualizzante venne all’editore parigino Urbain Canel cui la pubblicazione dell’opera era stata commissionata.

Contraddistinto da una spiccata indole imprenditoriale, l’uomo era fortemente preoccupato dal trarre i massimi profitti dall’ultima opera entrata a far parte del catalogo della sua casa di edizioni, perciò si diede da fare affinché l’autore del romanzo, cioè Stendhal, si persuadesse che l’assai vago sottotitolo Anecdote du dix-neuvième siècle non sarebbe stato appropriato per via giustappunto della sua indeterminazione, qualità che sapeva essere, per esperienza personale, non gradita al pubblico di lettori. Per ovviare all’inconveniente senza fare passi falsi fu dunque lui stesso a stabilire quale dovesse essere il titolo d'accompagnamento dell’opera.

Formulò così l’alternativo sottotitolo Quelques scènes d’un salon de Paris en

1827, il quale, grazie alla sua marcata attualità, non avrebbe certo deluso i lettori. Anzi,

avrebbe addirittura ampliato l’orizzonte di attesa, dando a credere che l’opera contenesse scottanti rivelazioni sul gran mondo della capitale francese, che poi era proprio l’universo dal quale questi lettori provenivano e che, presi all’amo della curiosità, non avrebbero resistito alla tentazione di comprarne una copia.

La conseguenza ultima di tutta questa finissima manovra editorial-pubblicitaria, tornando alla nostra confutazione, è che nella datazione degli eventi non sia da vedere un segno tangibile della storicità del testo, bensì l’ingranaggio di una sofisticata macchinazione per portare a casa quante più vendite possibili.

A tal fine si deve ricondurre anche il riferimento al liberalismo che venne introdotto dallo scrittore all’interno della narrazione; tuttavia, la funzione alla quale questa ideologia doveva assolvere non era, come per il caso del 1827, un fine commerciale, ma, piuttosto, la “caratterizzazione” storico-politica, cioè lo scontro tra i due massimi sistemi sociali, la borghesia e l’aristocrazia – dialettica incarnata, appunto, dalla posizione liminare del visconte di Malivert. Insomma, le idee liberali erano funzionali all’economia del racconto.

Se da una parte infatti è irrefragabile che l’ideologia di cui il romanziere investì il proprio eroe era espressione della nuova temperie che si era fatta strada in Francia dopo l’eclissi dell’astro napoleonico, dall’altra parte è altrettanto irrefutabile il suo valore paradigmatico.

- 93 -

Il diffondersi a macchia d’olio dell’orientamento liberale era l’oggettivo termometro del vicolo cieco nel quale era rimasta intrappolata la vecchia aristocrazia di sangue. Le nuove idee avevano attecchito tra la gente comune e nelle alte sfere; ne è la dimostrazione il fatto che in ben due frangenti politici il partito dei moderati ebbe in pugno la rappresentanza realista: i liberali letteralmente dettarono legge in Parlamento tra il 1816 e il 1819 e tra il 1828 e il 1829. Va da sé che ciò non poteva risultare gradito ai suoi componenti, che finivano inevitabilmente per scontrarsi con gli oppositori.

Ora, con il suo liberalismo in tasca e i suoi nobili natali alle spalle, il protagonista stendhaliano personifica meglio di ogni altro la deflagrazione del vecchio sistema e il suo sconcerto è lo sconcerto di chi, di fronte al futuro incerto, sperimenta un presente instabile in cui non si sente né totalmente rappresentato né da una fazione, né dall’altra.

Detto altrimenti, se Stendhal non avesse introdotto in Armance il motivo del liberalismo, sarebbe venuto meno il motivo dello straniamento che sta alla base del dramma interiore del personaggio, che è poi il vero argomento che gli preme trattare. Potremmo dunque sintetizzare così: niente liberalismo, nessuno scollamento di Octave rispetto al proprio contesto di appartenenza, e l’assenza di scollamento rispetto al proprio contesto equivale a debolezza del materiale psicologico da trattare.

Quanto alla menzione dell’indennizzo al patriziato francese, non possiamo dispensarci dal considerare che ad essa lo scrittore accenna soltanto una ed una sola volta, sebbene la ratifica di tale legge si accompagnò nella realtà storica di enormi polemiche e dibattiti. Analogamente, Stendhal sorvolò su tutto quello che significò per la Restaurazione l’aspra frizione innescata dalla Rivoluzione francese fra borghesia e nobiltà.

Non concedere nessun margine descrittivo alla situazione politica sotto il regno di Carlo X e soprattutto decidere di concentrare un intero testo su un’unica classe sociale, facendo finta che l’aristocrazia del denaro non esistesse, non poteva dirsi certo una esatta ricostruzione storica.

Per giunta, del nostro partito è anche una delle massime autorità in materia, colui che ha curato la pubblicazione dell’opera omnia stendhaliana per le edizioni della Pléiade.

- 94 -

Stiamo ovviamente parlando di Philippe Berthier il quale, per sintetizzare il trattamento che l’autore riservò nel suo scritto alla temporalità, coniò l’espressione convincente di “non-lieu” storico. La definizione emana appunto dalla constatazione che in Armance le concessioni fatte alle notazioni storiche sono rarissime e gregarie rispetto alla tematizzazione della posizione eccentrica che l’eroe occupa99.

Alla luce di quanto detto relativamente al 1827, alla legge d’indennità e al liberalismo del protagonista, e in forza dell’illustre parere espresso da Berthier, confutiamo la tesi che l’opera di Stendhal avesse una qualche velleità di romanzo storico. D’altronde, che l’affresco del suo tempo non fosse la sua priorità assoluta è lo stesso romanziere a lasciarlo detto; confrontatosi con il fatto che la politica e il destino della dinastia borbonica era la preoccupazione primaria degli uomini a lui coevi, l’autore difese la sua scelta di non farne in Armance espliciti cenni, spiegando che ciò sarebbe stato tanto fuori luogo quanto sparare “un coup de pistolet au milieu d’un concert”100

.

Ridurre all’osso la categoria temporale non fu comunque determinazione senza conseguenze. La teoria della letteratura infatti ci insegna come la dimensione del tempo sia essenziale per determinare il canone romanzesco. Siccome, però, qui il tempo viene maneggiato in maniera volutamente imprecisa – ma comunque astutissima, data la sua strumentalità a beneficio del tema principale – alla stregua di quanto, vedremo tra breve, avvenne per la dimensione gemella dello spazio, dovremmo cominciare a considerare

Armance più che un romanzo secondo canone, un “non romanzo” o meglio

l’oggettivazione in prosa, anziché in versi, della grande epica di cui sono permeate le storie mitiche101. D’altro canto lo stesso Lukács ci insegna che il romanzo non è altro che l’epos trasposto alla realtà della società borghese102

.

2.3.2.2. Un romanzo atopico

Coerentemente con le esigenze programmatiche e con le risoluzioni adottate per la trattazione del tempo, anche l’altra faccia del cronotopo, cioè lo spazio, fu

99 Si veda Philippe Berthier, Espaces stendhaliens, Paris, PUF, 1997, pp. 189-203. 100

Stendhal, Le Rouge et le noir, Paris, Garnier Flammarion, 1964, p. 419.

101 La parte terminale del presente capitolo addurrà tutti gli elementi che convalidano questo assunto, da

prendersi per adesso come un postulato.

- 95 -

deliberatamente poco sviluppata. Infatti, ancorché il testo non presenti un deficit assoluto di rappresentazioni ambientali, i passaggi dedicati al paesaggio si contano sulle dita di una mano e si fanno sempre strumento dello scandaglio dello stato psicologico nel quale il protagonista versa, diventando estrinsecazione fisica delle sue emozioni, secondo una tecnica nella quale Chateaubriand si era distinto.

Un’esemplificazione chiarificatrice di questa tendenza è fornita dalla maniera con cui lo scrittore piegò il valzer delle stagioni e degli agenti atmosferici all’altalenante stato psicologico del visconte di Malivert e della sua beneamata cugina, sempre oscillante tra l’esasperazione e l’estasi.

In accordo con questa topica stagionale i momenti di vuoto emotivo e aridità del cuore vengono vissuti dal protagonista quando la natura non dà frutti e gli animali vanno in letargo, cioè in autunno e in inverno. Al contrario, il frangente in cui l’amore comincia a scaldare l’anima di Octave e della sua amata, è lo stesso durante il quale l’ambiente naturale si riapre alla vita, sarebbe a dire la primavera. Quando poi il sentimento della passione si fa più vivo, è anche il tempo in cui la bella stagione è al suo culmine, vale a dire l’estate. Tale sintonia prettamente romantica tra stato emotivo e paesaggio si manifesta nella sequenza di notazioni che abbiamo campionato:

Il [M. de Malivert] craignit toujours quelque rechute et c’était un de ses grands motifs pour désirer le prompt mariage d’Octave. On jouissait des derniers beaux jours de l’automne (A, 92).

Octave s’enfuit du salon de Mme de Bonnivet […] Il pleuvait à verse, la pluie lui faisait plaisir. Bientôt il ne s’aperçut plus de l’espèce de tempête qui inondait Paris en cet instant. (A, 101)

Vers le milieu de l’hiver Armance crut qu’Octave allait faire un grand mariage (A, 125).

Armance était loin de se faire une semblable illusion. Il y avait déjà longtemps que voir Octave était le seul intérêt de sa vie […] Le temps était magnifique […] [l’] une des plus jolies matinées de printemps (A, 134-135).

Un soir, après une journée d’accablante chaleur, on se promenait [Octave, Armance e gli altri ospiti di Mme de Bonnivet] lentement dans les jolis bosquets de châtaigniers qui couronnent les hauteurs d’Andilly […] Dans cette nuit charmante qu’éclairait la lumière tranquille d’une belle lune d’été, ces collines solitaires offraient des aspects enchanteurs. Une brise douce se jouait parmi les arbres, et complétait les charmes de cette soirée délicieuse (A, 166).

- 96 -

In questi estratti presentati in sequenza vanno in scena il susseguirsi delle stagioni e dei sentimenti del visconte Malivert e di Mlle de Zohiloff, mostrandoci una perfetta armonia tra ambiente esterno e spazio intimo.

La prima proposizione, posta a chiusura della lunga prosopografia che il narratore dedica al personaggio maschile di primo piano, mettendo a fuoco un languore autunnale, precisa anche le sfumate ansie che assalgono il padre di lui e la misantropia intravista nel figlio. Inoltre è evidente nella stessa l’identità che Stendhal instaura tra il matrimonio e l’inverno, stagione della morte.

La terza citazione, invitiamo a prenderla in considerazione, invece, per la pregnante consonanza che viene stabilita tra l’inverno, nel quale il lettore viene proiettato, e il siderale freddo che invade il cuore della bellissima Armance al solo pensiero che la fresca entrata di denari segnerà per Octave un imminente matrimonio e per lei, già perdutamente, seppur inconsapevolmente avvinta dal fascino per il giovane, la vanificazione di un vagheggiato sogno d’amore.

Il quarto passaggio marca, dal canto suo, l’ingresso nello spicchio dell’anno più mite e lussureggiante, ovverosia la primavera che, con le sue “jolies matinées”, scioglie il ghiaccio invernale e con esso i paraventi che la protagonista femminile si era creata per non ammettere a se stessa che il suo giovane cuore era stato rapito dal magnetico e sfuggente cugino.

Quanto all’ultimo brano, piuttosto esteso, lo si è proposto per via della sua densità di significazione allegorica. La descrizione è infatti concomitante con il momento in cui è Octave ad acquisire la consapevolezza di essersi aperto all’amore malgrado i suoi mille giuramenti e le infinite ritrosie. E questo sentimento vivificante è, per colui che è stato fino al quel momento un essere solitario, nuovo come le colline sulle quali ci fa indugiare attraverso il suo sguardo il narratore, con il tepore di un venticello soave (“brise”).

Per giunta, l’afflato arriva a solleticargli il cuore (ce lo dice la frase sul calore diurno definito “accablant”); e questo, malgrado il visconte avesse negato ad esso qualsiasi espressione, come il richiamo all’elemento lunare e alla notte (suo corrispettivo simbolico per eccellenza) rammentano. La riprova della valenza allegorica delle notazioni ambientali ci giunge dal fatto che la loro connotazione normalmente

- 97 -

negativa viene ad annullarsi tramite l’aggettivazione positiva che rende la notte “charmante” e la fredda luna “une belle lune”.

La seconda proposizione citata, infine, è pregnante perché ci fornisce la prova che questa logica descrittiva fa della nozione cronotopica un corrispettivo del sentimento; tutto ciò, governato da una logica interna che Stendhal aveva consapevolmente messo a punto. La frase che abbiamo riportato, difatti, nella sua brevità, compendia l’operazione compiuta dallo scrittore, ovvero quella di accogliere le stagioni e gli agenti atmosferici a spie del clima interno alla soggettività dei personaggi. Il narratore si dedica a questa descrizione dopo avere ragguagliato il suo lettore su una serie di eventi cruciali: Octave compie la passeggiata sotto la pioggia in uscita dal palazzo dei Bonnivet ove aveva trascorso una serata tutt’altro che piacevole. L’occasione mondana si era trasformata, malgrado la sua volontà, in una pubblica celebrazione dell’indennità che gli sarebbe toccata in quanto émigré e, se da tutte le parti gli piovono addosso complimenti, come poco dopo gli pioveranno addosso abbondanti gocce d’acqua, il dispregio che egli ha verso quei quattrini non si smorza minimamente. Al contrario, esso lo porta ad assumere un comportamento schivo, il quale viene sfortunatamente letto dai presenti come una forma di superbia. Tra coloro che lo travisano vi è anche Armance che, di rimando, si fa scostante con il giovanotto; questi viene così da lei indotto a credere di non essere più stimato e di esserle persona sgradita.

Il malinteso precipita Malivert in una tempesta di sentimenti che si riflette nell’ambiente fisico circostante con una tempesta atmosferica. Esterno e interno entrano in questo modo in una perfetta osmosi per cui anche l’altrimenti fastidiosissima pioggia diventa elemento gradito all’eroe, uno specchio in cui ritrovare se stesso. Dove finiscono le stille dell’uno, iniziano, e l’immagine è davvero poetica, le stille dell’altra.

Volendo fare il punto, stando al testo, potremmo con agevolezza sostenere che Stendhal descrive i fenomeni atmosferici non per dare spessore alla dimensione spaziale esterna, bensì a fini lirici, per dare maggiore enfasi a quella interna, cioè alla soggettività dei protagonisti; abitudine, questa, che è di quanto più corrente nel Romanticismo. La lettura del paratesto, tuttavia, chiarisce che il fine ultimo della scelta narrativa è un altro: vale a dire ridicolizzare il genere lirico, tanto in voga all’epoca. Nella prefazione di Armance infatti Stendhal, presentandosi come il mero curatore

- 98 -

dell’opera, sottolinea che i toni ingenui, le enfasi romantiche che si incontrano nella narrazione sono un tratto che lui non condivide, ma che non ha avuto il coraggio di cambiare (A, 85-87).

Siccome sappiamo che Stendhal in realtà è l’autore oltre che il curatore dell’opera, resta da concludere che il suo usare l’elemento paesistico come corrispettivo psicologico ed emozionale dei personaggi è in definitiva un modo per dare luogo ad una scrittura di denuncia e ad una riflessione metatestuale sui limiti di un filone letterario in voga: il romanzo sentimentale.

2.3.2.3 Esterni e interni

L’adozione degli indicatori atmosferici in qualità di correlativi delle emozioni vissute dai due personaggi principali è a tutto campo; Stendhal infatti fa sì che non soltanto il clima e i periodi dell’anno diventino l’epifania degli stati d’animo delle sue creature di carta, ma predispone le descrizioni del décor, cosicché anch’esse riempiano questa funzione. È così che la geografia romanzesca risulta in concreto essere una mappatura di ciò che di Octave e di Armance si sottrarrebbe altrimenti allo sguardo, in quanto fatto di materia impalpabile; cioè il tormento interiore innescato dalla “double perspective”103.

La prospettiva dalla quale i due personaggi osservano il mondo fonde e confonde le immagini: quella ante rem che il milieu aristocratico forgia per i suoi membri e la cui materia sono il dovere e l’obbedienza, e quella in re che i due soggetti, nobili di nascita e carattere, autonomamente sagomano e che li porta a disprezzare la mediocrità “ambientale”.

Ciò che essi hanno più in dispregio è il ruolo centrale che il loro mondo assegna al perseguimento degli interessi personali e al denaro, di cui fanno le spese la comunità nobiliare e i grandi valori che l’ideologia di classe avrebbe dovuto tramandare. Figura che più in assoluto nel romanzo impersona il volgare dominio della materialità è il comandante de Soubirane che con le parole glorifica le crociate, ma con i fatti predilige il gioco in borsa, diavolo al quale vende la felicità e la vita del nipote.

Tornando alle descrizioni dell’ambiente di cui abbiamo parlato, si nota la funzione strumentale che esse assolvono ai fini di questa costante oppositiva; anche tutti i dettagli circostanziali che servono a precisare gli spazi interni finiscono per essere

- 99 -

espressi tramite aggettivi evocanti il senso di solitudine e quello di oppressione vissuti da Octave nel suo intimo per via dello scollamento che percepisce tra il suo metro di

Nel documento Epifanie del mito in "Armance" di Stendhal (pagine 90-103)