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La scrittura come sfogo egotistico

A 3 Anonimo, "Claire de

1.4. Stendhal e Claire de Duras

1.4.2. La scrittura come sfogo egotistico

Ogni storia che la duchessa raccontò mirò a dar sfogo alle sue frustrazioni personali e familiari; si trovò così a partorire intrecci di amori contrastati e disgraziati, simili a quelli attraverso i quali ella stessa era passata o aveva visto passare sua madre e la più giovane delle due figlie. Breve fu il passo che portò a circoscriverli in un nucleo tematico: l’impossibilità d’amare; l’avrebbe poi sviluppato tramite una trilogia, quella composta da Ourika, Édouard e Olivier ou le secret. Prendiamone allora degli esempi, partendo dall’ultimo dei tre, che è, tra l’altro, al centro del nostro corpus.

La luce che ne permea l’ideazione è la vita stessa della duchessa. Claire era una sognatrice, mentre il marito era un rigido integralista. Lei aveva idee progressiste, lui si faceva carico del ripristino dell’etichetta di corte. I motivi di divergenza finirono per scavare un abisso che ricorda da vicino quello che separa la contessa Louise, protagonista femminile dell’opera, dal marito, il conte Nangis. Altro significativo dato autobiografico trasposto in prosa è rinvenibile nel nome di battesimo proprio dell’eroina, dal momento che è anche il secondo nome della Duras, nonché di sua madre, altra donna fragile e irrimediabilmente infelice.

Quanto alla vicinanza fraterna, e ricambiata, che Louise provò per il cugino Sancerre, non paiono lontane dal sentimento che legò la nostra prosatrice a Chateaubriand.

Inconsapevole fonte di ispirazione per il destino disgraziato di Louise e Olivier fu anche Clara, la cadetta delle figlie della duchessa de Kersaint. Da sempre sfavorita a vantaggio della sorella maggiore, Félicie, venne ricoperta di attenzioni dalla madre al deteriorarsi della relazione tra quest’ultima e la sua primogenita. Anche se l’affezionata Clara andò in sposa a Henri de Chastellux, duca di Rauzan, il consorte che era stato per lei previsto in principio fu un altro: Astolphe de Custine.

I due erano stati oggetto delle aspettative matrimoniali delle loro madri, analogamente a quanto avviene in Olivier al protagonista e a sua cugina. Le nozze per

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l’erede durassiana non erano più state celebrate, perché lo stesso fidanzato, alla vigilia della stesura del contratto prematrimoniale, si era tirato indietro, senza per questo dare giustificazione alcuna ai patriarchi dei due casati.

Dal canto suo, il duca di Duras, mal tollerò il ripensamento, anche perché il matrimonio avrebbe avvantaggiato più la famiglia dello sposo che non la propria. Dopo lunga riflessione, individuò, e confidò ai conoscenti, l’unica causa che rendeva a suo parere sensata, seppure discutibile, la rinunzia: il giovanotto doveva essere fisicamente incapace di colmare i doveri che il legame matrimoniale gli avrebbe imposto verso la propria compagna.

L’increscioso disguido che aveva trascinato nell’occhio del ciclone Clara toccò profondamente la sensibile Mme de Duras, che mise a servizio della personale sete di vendetta nei confronti dell’ingrato mancato genero il proprio estro di narratrice per partorire una storia che portasse alla notorietà, non solo ai più intimi della famiglia, l’esatta versione dei fatti; sua figlia sarebbe stata così tutelata nella dignità e inoltre con questa mossa la terza parte del trittico sull’impossibilità ad amare avrebbe trovato un fruttuoso pretesto.

A rendere ancora più facile l’identificazione di Olivier con Custine stava il fatto che era saltato, misteriosamente, anche un altro progetto matrimoniale che lo riguardava; similmente all’altro sposalizio fallito, dietro la sua concezione vi fu la madre di lui, Delphine de Sabran. Ella aveva architettato il pronubo piano prima ancora che l’idea di prendere accordi con i Duras le balenasse in testa; la fidanzata, sfortunata e abbandonata, fu, quella volta, un altro buon partito nel panorama del nubilato aristocratico, vale a dire niente meno che la figlia di Mme de Staël, faro della cultura francese e modello per l’alta società di inizio Ottocento.

Per dovere di cronaca dobbiamo riportare che non mancarono coloro che manifestarono scetticismo a proposito di una défaillance sessuale di Astolphe. Questa piccola cerchia propendeva piuttosto per riconoscere nella causa delle fughe dall’altare un’omosessualità non confessata; con quest’ultima, perciò, venne fatto coincidere il segreto di Olivier de Sancerre, avente in Custine il suo modello, da coloro i quali non credevano che le stranezze narrate nel romanzo fossero dovute ad una sua impotenza sessuale.

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Come stesse effettivamente la faccenda nella realtà, un po’ come avviene per il romanzo, resta un mistero. Va detto comunque che nel 1821 il marchese Custine infine contrasse il sacro legame di matrimonio con la giovane e ricca orfanella Léontine de Saint-Simon Courtemer54.

Tuttavia, per completare il quadro, bisogna anche dire che lo spiantato figlio di Delphine de Sabran nel 1815 aveva intrecciato anche un tenero legame con il tedesco Wilhelm Hesse e che venti anni dopo le porte della sua dimora si sarebbero aperte per dare albergo al conte Ignace Gurowski, futuro sposo dell’infanta di Spagna.

Non è tutto, quanto a indizi di un eventuale orientamento omosessuale di Custine: lo stesso anno in cui era andato in scena il suo sposalizio, infatti, egli aveva soggiornato in Scozia con il nobile inglese Edward de Sainte-Barbe, con il quale instaurò un’amicizia che sarebbe durata per ben trentacinque anni e che lo avrebbe convinto a farne anche il suo erede universale. Ma non è questo l’aneddoto più sconveniente sul conto delle preferenze sessuali del marchese.

L’episodio che passò agli annali, oltre che di bocca in bocca, fu un altro. Nel 1824, proprio quando l’Olivier della Duras stava circolando, una cattiva stella volle che Astolphe venisse sorpreso in inequivocabili atteggiamenti di intimità con un prestante e aitantissimo suo commilitone. Il manipolo di militari che lo colse in flagrante reagì alla scoperta dandole di santa ragione a tutti e due, forse per lavare l’onta con la quale l’esercito veniva così macchiato.

Sta di fatto, comunque, che l’accaduto divenne di pubblico dominio in un battibaleno. A dimostrarcelo è lo stesso Stendhal, il quale lo rievoca, rimaneggiandolo, nel suo Armance, dove lo tramuta in una delle temute e notorie manifestazioni improvvise di collera di Octave de Malivert. Tramite l’espediente dell’analessi il visconte, al capitolo III, rimembra di quella volta in cui per giorni fu costretto a letto in seguito alle botte che aveva ricevuto:

J’étais furieux, j’ai cherché querelle avec des soldats qui me regardaient en riant, je me suis battu et n’ai trouvé que ce que je mérite. (A, 106)

54 La giovane sarebbe morta a distanza di tre anni, non prima però di avergli dato un figlio,

malauguratamente altrettanto sfortunato, visto che venne strappato alla vita da una meningite fulminante nel 1826. Abbiamo derivato questi particolari della biografia di Custine dal profilo autoriale che accompagna la sua opera più famosa Aloys ou le Religieux du mont Saint-Bernard, Toulouse, Ombres, 1994.

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A margine di questa divagazione, ampia ma significativa, possiamo aggiungere che i pettegolezzi misero a dura prova la capacità di sopportazione di Custine; stanco delle chiacchiere e degli sguardi di biasimo cui era costantemente esposto, si risolse infine a fare chiarezza sulla sua situazione e a rimandare al mittente, cioè alla Duras, le pecche che gli erano state attribuite. In particolare, per vendicarsi scelse di fare del romanzo il

medium della propria replica.

Nel 1829, confezionò pertanto una storiella banale nell’intreccio ma tagliente nei contenuti: Aloys ou le Religieux du Mont Saint-Bernard, che già nel titolo scimmiottava un’opera minore della duchessa, l’incompiuto Le Moine du Mont Saint-Bernard. Per soprammercato la prosatrice diveniva, nella trama custiniana, il bersaglio di una pessima pubblicità; prestando il volto a Mme de M* che si faceva sensale del fidanzamento del protagonista con sua figlia a colpi di seduzioni, ne emergeva il ritratto di una donna priva di scrupoli e di dubbia moralità.

Aderendo alla propria vicenda personale, l’autore faceva avere al suo alter ego fittizio un ripensamento dell’ultimo momento, che, però, lungi dall’assumere i tratti della codardia, appariva un impavido atto di ribellione nei confronti dell’autorità: nel racconto infatti il fidanzamento viene presentato come il frutto di un’imposizione da parte della madre della promessa sposa. Poco importava se Aloys aveva finito per innamorarsi dell’eventuale futura suocera; ci avrebbe pensato un’espiazione sincera nel monastero svizzero del Mont Saint-Bernard per riparare al torto fatto alla promessa sposa.

Se tanti sono i punti di sovrapposizione tra gli eventi reali che segnarono la vita di Custine con la storia di Olivier, molteplici furono, invero, anche gli scampoli di vita vissuta, magari altrui, che diedero corpo alle situazioni romanzesche narrate nelle altre due opere maggiori della duchessa. Come ci ricorda Fumaroli,

la romancière improvisée les tira d’incidents vécus, en quoi elle anticipa Stendhal lecteur avide de la Gazette des tribunaux et insatiable des petits faits vrais. (OEO, 26)

Ad aprire la produzione artistica durassiana e a varare la pratica di attingere idee da cose realmente successe fu nel 1824 il “roman-nouvelle” Ourika; in effetti, esso di storie vere ne fondeva ben due.

L’una era quella di una ragazzina africana, condotta dal Senegal in Francia dal cavaliere di Boufflers nel 1788 per essere regalata ai Beauvau, i quali l’accolsero come

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una figlia finché la sua morte prematura non la strappò loro via; l’altra riguardava una bellissima ragazza, la quale vide arenarsi il suo sogno d’amore contro lo scoglio del perbenismo. Stiamo parlando di Mlle Aïssé, che non poté sposare il cavaliere d’Aydie, a dispetto dei loro reciproci sentimenti, per non andare contro al volere della propria famiglia. Essendo rimasta incinta, i genitori di lei, anziché spingere per un matrimonio riparatore, la obbligarono ad un’interruzione della relazione di modo da evitare che li si accusasse di volere restaurare l’onore di lei danneggiando lui.

Ci piace notare a margine di questo secondo canovaccio un elemento sul quale nessuno si è sinora soffermato: Mlle Aïssé era di origine circassiana, proprio come Armance de Zohiloff. Che Stendhal non abbia dunque tratto ispirazione anche da

Ourika per costruire la protagonista femminile della sua opera prima, visto che lo aveva

letto, come ci informa lui stesso, nelle sue cronache per l’Inghilterra? A nostro avviso senz’altro, giacché quelle steppe russe non sono molto comunemente usate come sfondi romanzeschi.

Per giunta, il sangue russo che scorre nelle vene di Armance è un elemento distintivo rispetto a tutti gli altri personaggi, un tassello fondamentale nel caratterizzarla come di una “diversa”, condizione che l’appaia alla nera Ourika, ma anche al cugino Octave, di cui si fa specchio55.

Elle [Armance] était remarquable par ce que j’appellerais, si je l’osais, la beauté russe : c’était une réunion de traits, qui tout en exprimant à un degré fort élevé une simplicité et un dévouement que l’on ne trouve plus chez les peuples trop civilisés, offraient, il faut l’avouer, un singulier mélange de la beauté circassienne la plus pure et quelques formes allemandes un peu trop prononcées. (A, 116)

La prosopografia di Mlle de Zohiloff ruota attorno alla marca connotativa della “curiosità estetica”. Il che introduce il preminente motivo dell’esotismo; il fervido apprezzamento per luoghi, popoli, costumi lontani, il collezionismo di oggetti rari e la riproduzione di forme e suggestioni orientali e africane nelle arti, nella musica e nella letteratura sono all’epoca in auge in quanto rappresentano un mezzo per ostentare la ricchezza economica e il benessere a cui si è pervenuti oppure in altri casi, come ad esempio per i proseliti del Romanticismo, costituiscono il tramite per ribadire la presa di distanza dalle tradizioni patrie.

55 Lasciamo sospesa questa nozione, per riprenderla, esaurendone tutte le implicazioni, nel terzo capitolo

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L’aspetto esotico di Armance de Zohiloff ha inoltre il merito di dare rilievo una volta di più al tema della singolarità che abbiamo visto essere centrale per la caratterizzazione del protagonista. Stendhal gli dà risalto in questo brano proponendo al lettore una successione di marche superlative: “remarquable”, “fort élevé”, “une simplicité et un dévouement que l’on ne trouve plus chez…”, “la plus pure”. L’acme di questo procedimento di accumulazione predicativa è nel toponimo “circassienne” connotativamente legato al concetto di eminente bellezza, già introdotto dal determinante “russe”.

Infine Stendhal, il quale “s’accorde rarement le plaisir d’une comparaison”56 come sottolinea giustamente Jean Bellamin-Noël nel suo studio L’Auteur encombrant :

Stendhal/Armance, ne introduce una assai pregna di significato, in riferimento alla

figura femminile di primo piano: “Armance accourut en souriant ; elle avait la grâce et la légèreté d’un oiseau” (A, 174).

Assieme alla rarità con la quale essa si manifesta nel repertorio retorico stendhaliano, ciò che rende speciale questa eminenza ai nostri occhi è il fatto che entri in risonanza con quella della fanciulla che funse da modello all’eroina della Duras. Mlle Aïssé, per via della sua vicenda personale, è appaiata da Fumaroli, nella ricostruzione dei modelli della Duras, proprio al destino che può avere “un oiseau exotique” (OEO, 26); l’ambasciatore Ferriol la fece venire in Francia da Costantinopoli, città che le aveva dato i natali, come se fosse un plico o un souvenir di terre lontane.

Stendhal, allora molto attivo come giornalista, dal libro venne particolarmente colpito. Dalle colonne dei quotidiani inglesi per i quali scriveva risuonarono parole di encomio che, di Ourika, mettevano in rilievo la piacevolezza narrativa. Un altro aspetto sul quale egli si soffermò fu la strabiliante operazione – diremmo oggi di “marketing” – messa in piedi dalla Duras previamente al lancio editoriale del testo. Se esso incassò consensi un po’ da tutti i fronti, ciò dipese, effettivamente, anche dall’attesa che la sua autrice era riuscita a creare attorno ad esso.

La regina del Faubourg Saint-Germain aveva inoculato il germe della curiosità poco alla volta: dapprima aveva dato letture ad alta voce di piccole pillole del romanzo ad una ristrettissima cerchia di fidati amici, in secondo luogo aveva provveduto a lasciare volontariamente margini per fughe di notizie. Poi, distribuì alla spicciolata rare

56 Jean Bellamin-Noël, L’Auteur encombrant : Stendhal/Armance, Villeneuve d’Ascq, Presses

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e contate versioni a stampa che andarono nelle mani solo di un comitato di “eletti”; infine, quando la trepidazione era ormai montata alle stelle, ne concesse il piacere della fruizione anche al grande pubblico. Va detto comunque che quest’ultimo passo venne compiuto dopo aver a fatica vinto il proprio senso del pudore: si celò comunque dietro il paravento dell’anonimato e dietro il pretesto della buona causa stabilì, sancendolo per iscritto sulla prima pagina, che il ricavato delle vendite sarebbe stato devoluto in beneficenza. Del resto la filantropia fu un’altra delle “ossessioni” ottocentesche tra la classe ricca, la quale vi vedeva un mezzo per espiare la colpa sociale della propria agiatezza.

L’anno dopo Mme de Duras ripeté la stessa trafila per pubblicizzare la sua seconda opera Édouard. Anche questa prosa venne infatti messa in commercio solo in seguito ad una serie di letture pubbliche per un uditorio sceltissimo e a scopi caritatevoli. Similmente ad Ourika, per giunta, il tema era l’impossibilità d’amare, vissuta stavolta da un personaggio di sesso maschile. Nello specifico, ad ostacolare il progetto amoroso di Édouard era l’enorme divario sociale che esisteva con l’amata, una fanciulla le cui nobilissime origini male si conciliavano con la sua estrazione borghese; in effetti, nel contesto pre-rivoluzionario che faceva da sfondo alla vicenda, questo era un dettaglio del quale non si poteva non tenere conto.

L’unico aspetto che differenziava il romanzo dalla prima opera in prosa della Duras era il fatto che ella lo avesse firmato. A porvi l’accento fu peraltro lo stesso Stendhal, il quale, da corrispondente estero, era stato chiamato a rendere conto ai lettori inglesi del New Monthly Magazine di tutte le novità culturali che arrivavano dalla sua patria e quindi anche a recensire i libri, tra cui il “roman-nouvelle” in questione:

Si Édouard avait été publié anonymement, personne n’y eût prêté attention. Le nom de l’auteur lui a assuré une très grande vente”57

.

E rincarando la dose, aggiunse:

Mais il sera probablement oublié dans trois mois d’ici.58

Con il senno di poi possiamo pianamente asserire che previsione non fu più sbagliata, giacché il testo durassiano, anziché cadere nell’oblio, riscosse applausi a scena aperta non soltanto a livello nazionale, ma anche europeo, al punto che parecchi paesi ne

57 Stendhal, Paris-Londres : Croniques, Paris, Stock, 1997, p. 625. 58 Ibidem.

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commissionarono la traduzione nelle loro lingue nazionali e che lo stesso Goethe non gli lesinò elogi.