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Lo sdoppiamento dell’eroe

Nel documento Epifanie del mito in "Armance" di Stendhal (pagine 122-173)

Epifanie e costanti mitiche in Armance

3.2. L’eroe e il Mondo ovvero il mimetico-basso

3.2.1. Lo sdoppiamento dell’eroe

Lo sdoppiamento dell’eroe è una costante mitica che la letteratura sovente rivisita.

Armance, iscrivendosi in questo contesto, offre una sua interpretazione del fenomeno

che risulta essere della massima salienza. Fra plurale e singolare, fra collettivo e individuale, il greco antico ha fissato un numero intermedio, il duale, che isola, unendo, due elementi, due parti del corpo, due soggetti, e per giunta, è provvido di sfumature atte a veicolare la mutualità, la riflessività, il raddoppiamento; e ciò è certamente sintomatico di una certa sensibilità culturale al tema del doppio da parte della cultura greca; sensibilità che la nostra cultura ha fatto propria.

Sin dalla tradizione epica, si coglie la centralità simbolica assunta dalla coppia gemellare, così come da rappresentazioni attanziali del duale. Nella prima evenienza si ha a che fare con una condizione di nascita tale da determinare una doppiezza biologica, si è pertanto di fronte ad un fenomeno fisico, mentre, nella seconda evenienza, si è al cospetto di una collaborazione azionale tra personaggi, non imparentati, e perciò di un fenomeno noetico.

Ora, dal momento che il nostro studio parte dall’assunto che l’opera prima di Stendhal faccia del mito e particolarmente del mito di Adone la sua base archetipica, ci sembra interessante trattare del recupero che Armance mette in atto del concetto del duale128, nella declinazione del doppio e dello sdoppiamento, tanto pregnanti nella cultura greca. Partendo dal postulato che punto nevralgico del romanzo è la coesistenza di due dimensioni antitetiche, cioè la dualità e la singolarità, ci accorgiamo della rilevanza che essa assume nel modo di rapportarsi del personaggio principale con il mondo esterno. Essenzialmente, doppi e doppioni vengono dal protagonista incontrati tanto nell’universo maschile quanto in quello femminile. Sebbene cambino gli addendi, come si direbbe in matematica, il risultato non cambia: l’eroe trova nell’altro un complemento indissociabile, per quanto il suo secondo io non sia mai uguale a sé.

128 Un’interessante panoramica sul doppio nella letteratura classica è pennellata da Ilaria Sforza nello

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Se l’identità, il doppio, la gemellarità, le relazioni di complementarità sono costanti antropologiche della relazione con l’altro (prossimo, fratello, gemello, parente o nemico che sia), nel romanzo di Stendhal osserviamo che questa dinamica ha uno spiegamento in crescendo: da uno sdoppiamento intersoggettivo in termini astratti il visconte di Malivert passa infatti a una concretezza della duplicazione. Interessante si fa dunque la disamina delle sue identità, partendo dal gruppo dei doppioni nei quali si identifica più per proclami che non per fatti tangibili; tutti peraltro distinti da umili origini, il che ci porta a parlare di uno sdoppiamento verso il basso o degradante. In questo frangente, parimenti a quanto avviene con gli sdoppiamenti in figure simmetriche per valenza, Octave, dalla sfera divina, scenderà e si muoverà nel campo che Frye chiama del “mimetico-basso”; cioè in quella dimensione in cui l’eroe “non è superiore né agli altri uomini né al suo ambiente”.129

A tali nozioni ci dedichiamo in questa sezione del nostro lavoro, partendo da un esame delle occorrenze dello sdoppiamento in Armance, con l’individuazione sistematica di tutti i casi in cui la forma di sdoppiamento si manifesta nel testo stendhaliano, e, a conclusione del capitolo, proveremo a rintracciare certe forme di sdoppiamento anche nei romanzi che lo hanno ispirato.

Non ci si è limitati ad un computo rigoroso delle occorrenze, ma si è prodotta un’analisi finalizzata a fare affiorare le articolazioni delle dinamiche eroe-Mondo. Ne risulta che c’è molto di più di un mero gioco di echi, in quanto Stendhal associa all’eroe un contraltare solo parzialmente sovrapponibile; alla resa dei fatti, il doppione di turno di Malivert risulta investito di un ruolo narratologico ben diverso, quale, lo vedremo di qui a breve, il servitore, l’antagonista o la persona amata/aiutante.

Per meglio comprendere le epifanie della figura del doppio nel romanzo stendhaliano è indubbio che sia meglio procedere per gradi; cominceremo pertanto dall’indagine dell’origine del fenomeno, aiutandoci con gli strumenti forniti dalla psicanalisi; prenderemo successivamente in considerazione gli ambiti privilegiati in cui lo sdoppiamento trova espressione entro la narrazione qui oggetto di studio.

3.2.1.1. Alle radici del doppio

Se il fenomeno dello sdoppiamento a cui Armance attribuisce un valore tematico molto forte è, come abbiamo detto sopra, un argomento ricorrente nella letteratura di tutti i

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tempi, non è ozioso chiedersi quali siano le ragioni di tanta fortuna. La risposta ci giunge dagli studi antropologici, i quali ci confermano che il doppio è figura ricorrente dell’immaginario collettivo.

Tutte le popolazioni umane, in tempi diversi e a tutte le latitudini, hanno sentito l’esigenza di dare origine ad una meditazione e a una riproposizione, rituale, concettuale o artistica, del fenomeno. James Hastings, ad esempio, nella sua monumentale enciclopedia pubblicata all’inizio del XX secolo, classifica sotto la voce “doppi” alcuni popoli per i quali le cose doppie erano sacre, mentre, un quarantennio dopo, Claude Lévi-Strauss nota come alcune comunità concepissero il mondo in modo dicotomico130.

Non c’è, dice l’antropologo, cultura anche la più remota e primitiva che non si sia posta la questione del perché dell’esistenza in lui e nei suoi simili di arti superiori e inferiori speculari, della simmetria del proprio volto, o ancora più empiricamente, del perché del giorno e della notte, della vita e della morte; cioè, è impossibile che qualcuno non abbia riflettuto almeno un istante sulla dicotomia del vivere.

Gli esiti a cui queste interrogazioni hanno portato sono i più svariati, dalle fiabe, alle cosmogonie, ai miti, ai racconti e ai romanzi fino ai saggi di psicoanalisi il cui contributo alla comprensione del fenomeno è stato decisivo, in quanto, a ben vedere, il doppio non è altro che figurazione del sé invisibile.

Da un punto di vista prettamente psicoanalitico il fenomeno dello sdoppiamento del soggetto, insieme al complesso di Edipo, svolge un ruolo primario nel processo di costruzione dell’Io, tanto che per la strutturazione della psiche gli studiosi parlano di processo bimodale. Per semplificare, come fa lo psicoanalista René Kaës, potremmo rappresentarci questi due modi psichici come le ascisse e le ordinate di un sistema di riferimento cartesiano.

Secondo questa rappresentazione, il complesso edipico sarebbe accostabile all’asse verticale, poiché, di fatto, non fa che “innalza[re] il soggetto verso il suo peculiare divenire umano”131, lo fa oscillare tra i sentimenti opposti dell’amore e

dell’odio per i genitori, e soprattutto per il genitore di sesso opposto. Andando a mettere sullo stesso piano sessualità e genitorialità, il soggetto, rapportandosi al padre e alla madre, esperisce la differenza dei sessi e delle generazioni.

130 Claude Lévi-Strauss, “Le Dédoublement de la représentation dans les arts de l'Asie et de l'Amérique”,

in Anthropologie sociale, Paris, Plon, 1958, pp. 269–294.

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Tali temi ci interessano perché sono affrontati da Stendhal in modo esplicito: in

Armance, l’enfasi è infatti posta sulle difficoltà che il protagonista, Octave de Malivert,

ha nell’intessere qualsivoglia rapporto transgenerazionale, e su come tale difficoltà si rifletta sulla complessità del suo legame con il padre, con lo zio e con il resto dell’entourage familiare; effetto, certo, della distanza ideologica che lo separa da loro, la quale, a sua volta, lo inibisce dal portarne avanti l’eredità etica e genetica per mezzo della procreazione e del matrimonio.

Il fenomeno dello sdoppiamento è l’asse orizzontale della strutturazione psichica, dacché, pur coinvolgendo anch’esso i sentimenti universali dell’amore e dell’odio, ne rende oggetto non un essere appartenente ad un’altra generazione, bensì, un essere “vicino” mentalmente o comunque anagraficamente. Esso, in positivo o in negativo, è un’entità altra, un “intruso”, che diventerà identico, familiare nella sua diversità, e con il quale sarà possibile instaurare relazioni differenti da quelle che si stabiliscono con i genitori, quali relazioni d’aiuto, d’amore, di conflitto.

In special modo, la Rivoluzione francese rovescia il modello sociale tipico dell’Ancien Régime, cioè quell’impianto patriarcale in cui il monarca è il depositario della Legge, attraverso la messa a morte proprio di quest’ultimo, e così apre la strada all’archetipo del “figlio principio di disordine”132 che si rende autonomo dal Padre e che trova nella fratellanza – la famigerata fraternité – il nuovo principio guida cui ispirarsi. Gli altri due grandi valori democratici che orientano l’Edipo figlio della Rivoluzione sono la libertà individuale e l’uguaglianza, la quale non è che una ratifica della fraternità, sancendo che tutti i membri della comunità sono da considerarsi come posti sullo stesso piano e in tal modo negando la verticalità insita nel modello assolutistico.

I due assi, edipico e di sdoppiamento fraterno si sviluppano, si combattono, si attirano reciprocamente, a volte si riversano l’uno sull’altro, ma nessuno può esistere nella sua pienezza per conto proprio. Il punto in cui essi si estremizzano è anche il luogo cruciale in cui si fecondano vicendevolmente e in cui si origina l’atteggiamento psicologico, e talvolta patologico, di chi mostra spiccata concentrazione su di sé, anche negli scambi relazionali con gli altri, in reazione all’insoddisfazione che il proprio contesto di appartenenza suscita. Detto diversamente, dal loro incontro scaturisce il narcisismo.

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3.2.1.2. Semiologia del narcisismo malivertiano

Il mito che più di frequente ha catturato l’attenzione di quanti si siano interessati al disturbo psichico implicante il raddoppiamento riflessivo è sicuramente quello di Narciso, dal contenuto emblematico. Rammentiamone succintamente la storia133:

Narciso è il figlio del dio Cefiso e della ninfa Liriope; una volta cresciuto, essendo un giovane bellissimo, diventa oggetto della passione e attenzioni di un gran numero di fanciulle e ninfe, le quali, tuttavia, non sono da lui ricambiate. Tra di loro spicca la ninfa Eco, che la disperazione del rifiuto subito consuma al punto da ridurla a sola voce. Per vendicarsi del disprezzo del ragazzo e della fine fatta fare a Eco, le giovani spasimanti invocano gli dèi. Nemesi, allora, in un giorno di canicola, briga affinché Narciso, sporgendosi in una sorgente per dissetarsi, veda il proprio riflesso nella fonte e se ne innamori. Cercando invano di afferrare la propria immagine rifratta dallo specchio d’acqua, il ragazzo si sporge troppo, cadendoci e morendo annegato. In quel luogo spunta un fiore, al quale viene dato il suo nome per perpetuarne la memoria.

La forte analogia tra il racconto mitologico e il comportamento disturbato che si riscontra in colui che ossessivamente pratica l’autoammirazione ha fatto sì che Otto Rank nel 1911 nel suo saggio “Il doppio” per primo parlasse in ambito clinico di narcisismo134. Lo studioso rileva infatti come la categoria del doppio e l’esperienza dello sdoppiamento, nella tradizione folkloristica e letteraria europea reificati nello specchio, “si trovano riuniti in una sintesi particolare nella nota leggenda di Narciso, soprattutto nella sua forma più tarda, quella che è giunta fino a noi”135

.

È stato Sigmund Freud in Introduzione al narcisismo (1914) a darne una prima teorizzazione psicoanalitica, poi ulteriormente arricchita tra il 1920 e il 1923 alla luce dell’introduzione della nozione di Es. Il modello successivo alla revisione differenzia due tipi di narcisismo, un narcisismo “primario” e un narcisismo “secondario”. Il narcisismo primario si realizza durante il sonno e nelle fasi originarie della vita, quando il bambino è ancora nell’utero, vale a dire quando egli vive la più assoluta solitudine. In

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Prendiamo a riferimento la versione più nota che è quella ovidiana de Le metamorfosi, sebbene, ricordiamo, esistano numerose varianti.

134 Il termine fu introdotto nel 1898 in sessuologia dallo psichiatra inglese Havelock Ellis (1859-1939) per

designare un atteggiamento patologico della vita sessuale, per cui il soggetto gode nell'ammirare il proprio corpo, cioè lo tratta come un oggetto sessuale, come una fonte di desiderio e di piacere e lo avvicinò idealmente al giovanetto Narciso che nel mito greco rivolgeva le proprie attenzioni alla sua immagine.

135 Otto Rank, Il doppio. Il significato del sosia nella letteratura e nel folklore,Milano, Sugarco, 2009, p.

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quelle circostanze non esiste distinzione fra l’Io e l’Es e non esistono investimenti oggettuali, cioè il soggetto, essendo solo, non può riversare su niente e nessuno i suoi desideri e bisogni.

Il narcisismo secondario, per Freud, scatta invece nel momento in cui l’Io si struttura; dopo la nascita, perciò, e nei primi anni di vita. Gli investimenti libidici autoaffettivi, allora, analogamente a quanto succede in un sistema di vasi comunicanti, vengono via via meno e sono sostituiti dagli investimenti d’oggetto. L’individuo infatti non è più solo e avvia uno scambio relazionale con gli altri, prima fra tutti sua madre. Tuttavia, nella vita adulta, in situazioni di intolleranza alla realtà, la persona può reintroiettare la propria libido e reinvestirla su di sé a sviluppare un’attitudine di autoglorificazione e di alienazione, regredisce così nel narcisismo, non più strutturante, bensì psicotico.

Ad Octave de Malivert capita esattamente ciò136. Analizzando la sua vita, si appura che vi sono tutte le condizioni di partenza per lo sviluppo del disturbo narcisistico; confrontato ad una realtà cui si sente non appartenere, non può certo trovare empatia nel suo prossimo e finisce così per edificare un Sé-grandioso.

Del resto anche solo guardando la coppia genitoriale del protagonista si capisce perché per quest’ultimo sia oggettivamente impossibile instaurare una sana rete relazionale. M. e Mme de Malivert sono due figure totalmente passive; lui, non muove neanche un dito per ottenere dal re il cordone blu tanto agognato, diversamente da quanto fa il suo sodale M. de Bonnivet, mentre sua moglie non fa altro che preoccuparsi ossessivamente per la salute del figlio, proiettando su di lui le proprie malattie. È quasi beffardo che ella sospetti che il ragazzo abbia una “affezione di petto”, quando, contrariamente, si scopre, è lei a soffrirne.

Persino la loro casa, come per effetto di contagio, riflette il loro piattume: il salone è cupo, come lo sono i padroni di casa; l’oro delle rifiniture dei velluti è stemperato dal verde che predomina nella tappezzeria e neppure la luce solare può penetrare e portare un po’ di brio all’ambiente, perché assorbita dai due grandi specchi che si stagliano sopra le finestre a loro copertura; soltanto in estate qualche raggio riesce a filtrare, ma i Malivert sono soliti spostarsi ad Andilly in quella stagione; in ultima istanza, quel salone permane vuoto, non ha mai ospiti, poiché è sempre Mme de

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Malivert a essere ricevuta da Mme de Bonnivet e mai il contrario, il che è un’ennesima conferma della passività dei genitori di Octave.

Con una situazione domestica simile si capisce perché il protagonista si abbandoni a deliri narcisistici. Ne è convinto anche Benjamin-Noël che dello scandaglio psicoanalitico del protagonista di Armance si è lungamente occupato137:

Telle est, de fait, la condition nouvelle de la psychose dépressive d’Octave […] : un narcissisme surdéveloppé. C’est-à-dire capable de se transformer en narcissisme primaire, de retrouver l’autosatisfaction qui précède et accompagne la première phase de l’évolution psychique.138

Nell’esemplificare e nel delucidare il narcisismo malivertiano, non deve sfuggire ad un attento critico la suggestività della pagina, bellissima, in cui il visconte aspira a regalarsi una stanza arredata con tre specchi della manifattura di Saint-Gobain: quella immagine tre volte riflessa evoca il delirio narcisistico del soggetto, che si moltiplica, come il demonio, sovente trifons, in tre controfigure. La rifrazione origina una scomposizione del sé, implicando un’inclinazione per l’intersoggettività. Sul piano psicoanalitico Nicola Lalli139 rimarca, giustappunto, che dell’indole narcisistica “una prima conseguenza è la dispersione dell’identità”140. In questo senso, concordiamo con Lavagetto141, quando mette in parallelo Octave e Don Giovanni: seppure i due personaggi siano per comportamento diametralmente opposti, ambedue, come Lucifero, sono autocentrati e orientati esclusivamente all’automagnificazione.

Il primo, traendo piacere dalla serialità della sua immagine riflessa negli specchi, e il secondo, ricavandola dal collezionare amanti. Forse alla luce di questo parallelismo assume maggiore chiarezza la pace che il nostro eroe ritrova nell’udire “les accords si sombres de Mozart” (A, 104) del Dom Juan. Per quanto Don Giovanni sia il negativo del nobile Malivert, tutti e due hanno una fine che li accomuna: il loro abnorme ego finisce nel nulla tramite la morte per sprofondamento, in quanto il primo muore somministrandosi una massiccia mistura di oppio e digitale e finendo esanime nelle

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Al capitolo II del nostro intervento abbiamo già detto della sua analisi della fuga di Octave dal teatro in cui andava in scena Le Mariage de raison di Scribe e del suo gustarsi al ristorante una zuppa, in cui l’esperto vede la fabbricazione di una gratificazione artificiale che rievochi la suzione del seno materno.

138 Cfr. Noël, op. cit., p. 46.

139 Psichiatra, psicoterapeuta, docente in malattie nervose e mentali e professore associato di psichiatria e

Psicoterapia presso l'Università “La Sapienza” di Roma.

140 Nicola Lalli, Il narcisismo e il disturbo narcisistico di personalità, in “Le psiconevrosi: fenomenologia

e psicodinamica”, Roma, Euroma, 1988, p. 8.

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acque a largo del monte Kalos, mentre il secondo viene risucchiato dalle viscere della terra per via della sua anima nera.

Un’analoga specularità si rinviene sul piano onomastico: a mettere in risalto il narcisismo di Octave contribuisce il gioco annominativo tra il suo prenome e il suo cognome: la ripetizione della sillaba /ve/ (Octave de Malivert) produce una specularità interna che ha un riscontro nel temperamento solitario del personaggio e nella sua mancata integrazione sociale; Mme de Malivert osserva non per niente che suo figlio “vit comme un être à part, séparé des autres hommes” (A, 96).

La seconda manifestazione più evidente del narcisismo è “la divisione degli oggetti esterni in totalmente buoni e totalmente cattivi, con la concomitante possibilità di oscillazioni estreme”142, e del manicheismo il romanzo con il suo personaggio principale si fa il vessillo. Come non notare ad esempio che le due prestigiose casate, i Bonnivet e i Malivert, attorno alle quali gravita la trama, sono eticamente connotate sin dalla loro onomastica?

Altri meccanismi con i quali il disturbo narcisistico si presenta sono l’idealizzazione di persone o situazioni, la negazione e l’onnipotenza, e il romanzo di attestazioni che vanno in questa direzione ne fornisce tantissime. Per quanto concerne l’idealizzazione di persone, è sufficiente pensare all’immagine angelica che della cugina Armance Octave edifica; vedremo nei prossimi paragrafi di dettagliare la maniera nella quale l’angelizzazione viene messa in atto. In riferimento all’idealizzazione di situazioni possiamo citare, a dimostrazione, la tendenza dell’eroe alla fantasticheria e all’enfatizzare gli stati d’animo sia in positivo che in negativo. Si consideri che il narratore, presentandocelo, di lui ci dice subito:

un principe singulier, profondément empreint dans ce jeune cœur, et qui se trouvait en contradiction avec les évènements de la vie réelle, tels qu’il les voyait se développer autour de lui, le portait-il à se peindre sous des images trop sombres, et sa vie à venir et ses rapports avec les hommes. (A, 90)

Mentre per la fantasticheria possiamo attirare l’attenzione su questa osservazione:

On eût dit que ses passions avaient leur source ailleurs et ne s’appuyaient sur rien de ce qui existe ici-bas. (A, 95)

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Riguardo alla negazione, è lampante la perseveranza con la quale il visconte de Malivert sostiene di non provare per Mlle de Zohiloff nessun sentimento che sia diverso dall’affetto parentale o amicale. Quanto all’onnipotenza, che Octave stimi di essere una spanna sopra ai suoi conoscenti e che si creda tetragono a tutte le sciagure lo si evince da affermazioni quali: “j’ai l’orgueil de me croire supérieur à tous les dangers, à toutes les sortes de maux qui peuvent attaquer un homme” (A, 102).

Nel documento Epifanie del mito in "Armance" di Stendhal (pagine 122-173)