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Quando il governo virò verso l’economia socialista, il PCT lo appoggiò, chiedendo però che non venisse diminuita la spesa pubblica, che i dirigenti delle cooperative fossero eletti dai lavoratori e non nominati e che non si accettassero più sovvenzioni dagli Stati Uniti.

Tuttavia il PCT continuò a criticare il governo per l’eliminazione progressiva delle libertà politiche e sindacali e per il graduale accentramento di potere nelle mani del Presidente. Per esempio si criticava la modalità con cui Bourguiba esponeva le sue decisioni alla popolazione: lo stesso presidente spiegava le motivazioni delle sue scelte senza però dare la possibilità ad alcuno di porgli domande e osservazioni.

Ritenendolo un punto strategico, il partito continuò la sua lotta per la libertà anche in seguito al tentativo di colpo di stato del ’62, affermando che per avere un vero regime repubblicano e democratico, e per cambiare radicalmente la situazione economica ereditata dal passato, era necessario che fossero rispettate pienamente le libertà collettive e individuali e che tutte le opinioni fossero libere di esprimersi. Inoltre veniva chiesto che fossero intensificate le relazioni con la Russia e i Paesi Socialisti, che fossero terminati i contatti con gli USA e che fosse espressa solidarietà con gli africani e gli asiatici. Inoltre Bourguiba doveva tenere un ruolo più attivo e positivo nella Lega Araba.

Tuttavia la campagna del Neo Dustur che denunciava “il complotto”, il tentativo di colpo di stato, fu più forte. Molte furono le manifestazioni che reclamavano la chiusura dei giornali e del partito Comunista, l’unico presente, che osavano criticare il “Grande Militante” Bourguiba. L’8 gennaio 1963 il partito fu dichiarato illegale.

Per quanto inizialmente il bando avesse gettato i comunisti nello scompiglio, molti tra loro erano convinti che ciò sarebbe durato poco tempo e che fosse strettamente collegato alle operazioni per ristabilire l’ordine in seguito al tentativo di colpo di stato del 1962. La speranza di tornare nella legalità si spense ben presto in seguito al discorso che Bourguiba tenne di fronte ai giovani quadri del PSD, il 9 luglio 1963, in cui specificò che, per la salvaguardia dell’interesse pubblico, era necessario che non ci fossero altri partiti oltre il PSD. Il Partito Comunista cercò allora di minimizzare il peso di questo provvedimento chiedendo di avere una via di intervento politico, anche all’ombra del PSD. Il dirigente del partito Mohammed Ennefah il 10 agosto del 1963 inviò in proposito una lettera a Bourguiba nella quale si specificava che il PC aveva appoggiato in passato lo spirito positivo e ciò che aveva fatto il governo di Bourguiba. Ennefah sottolineò inoltre che il PC non aveva nessun odio verso il governo e il PSD, malgrado gli avvenimenti recenti e tutte le

67 discussioni avute tra comunisti e Neo Dustur. Il dirigente sottolineò inoltre che se Bourguiba avesse revocato il provvedimento e dato spazio ai comunisti, questo sarebbe servito a ritrovare un percorso comune.85 La lettera rimase senza risposta. Ad essa si susseguirono altri appelli e prove di dialogo di vari esponenti del PC che rimasero sempre inascoltati. Nonostante la situazione il Partito non esitò ad appoggiare ancora alcuni provvedimenti “verso il socialismo” del PSD che tuttavia non modificò mai le sue azioni in seguito ad un dialogo col PC.

Mentre i dirigenti cercavano, senza successo, il dialogo, il partito iniziò ad agire nella clandestinità. Per continuare a diffondere le proprie idee, il giornale Éspoir, distribuito a Parigi, inizialmente una pubblicazione legata agli studenti, fu trasformato e indirizzato a tutti i comunisti tunisini. La sua distribuzione fu estesa anche a Tunisi attraverso i canali del partito. Si moltiplicarono in quel periodo gli articoli critici del partito pubblicati, sempre con pseudonimi, sui giornali europei. Il partito evitò di firmare articoli e comunicati con il proprio nome, per non confrontarsi in modo diretto con il divieto imposto da Bourguiba, fino alla fine degli anni ’70 quando il governo di Nouira iniziò a tollerare qualche attività delle opposizioni.

L’attività del Partito Comunista, che non voleva entrare in contrasto aperto con Bourguiba, si ridusse a gruppi di intellettuali che divisi in tre sezioni, si dedicavano a stabilire e strutturare le modalità e i contenuti dei quaderni, dei giornali e dei comunicati del partito. Le sezioni si occupavano rispettivamente di istituzioni, dipendenti dell’amministrazione pubblica, medici e avvocati, e di studenti.86 Oltre le sezioni i comunisti mantennero un organo di dirigenza, in cui confluirono i membri dell’Ufficio Politico, per coordinare i diversi gruppi.

Nel pieno della politica “socialista” di Bourguiba, i comunisti, sebbene illegali, non smisero di appoggiare il partito al governo in tutte le azioni che venivano ritenute giuste, prima fra tutti la pianificazione. Di fatto non si interruppe mai del tutto il dialogo con quella parte del PSD che si rifaceva a teorie marxiste. Tuttavia, tramite i giornali internazionali e sotto pseudonimo, i componenti del partito comunista continuarono a denunciare il PSD come un falso socialismo. Le critiche dei comunisti al PSD erano principalmente tre: la mancanza di democrazia, la tipologia di relazioni estere della Tunisia e la nomina dei dirigenti delle cooperative. All’interno del PC si formò un piccolo gruppo di giovani tra i quali Salah Zeghidi, Farid Jerad e Belgacem Chebbi che si oppose all’appoggio e tuttavia rimase inascoltato.

85

Bouguerra A., Atti della storia della sinistra tunisina. Come si sono opposti i comunisti e i perspectivisti al regime del

partito unico, ed. Perspectives, 2013, p. 60 Trad. dall’arabo da Chamkhi M.

86 Ahmed Brahim, tra gli appartenenti alla sezione relativa agli studenti, è attualmente a capo del partito Ettajdid,

erede del Partito Comunista. Il PCT nel 1993 abbandonò il comunismo e si rinominò “Mouvement Ettajdid”, ovvero “Movimento del rinnovamento”.

68 “Si può spiegare l’appoggio critico dei comunisti al regime di Bourguiba sia da un punto di vista soggettivo che da uno oggettivo. […] Da una parte i comunisti tunisini avevano un rapporto meccanico con l’ideologia marxista, dall’altra l’evoluzione economica e sociale tunisina negli anni ’60 era piena di contraddizioni [che rendevano difficile se non impossibile adottare una politica socialista]. Bourguiba scelse la cooperazione come modello di sviluppo economico e sociale in un periodo in cui vi erano difficoltà su tutti i piani: le persone con una formazione adeguata a sostenere quei progetti erano poche, l’analfabetismo era molto presente, non c’erano capitali nel Paese, il mercato interno non era sufficientemente sviluppato, il guadagno medio dei tunisini era basso così come il livello tecnico dell’agricoltura mentre la divisione delle terre era iniqua.”87