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Pesantemente colpito dalla repressione a metà degli anni ’20, il Parti Communiste – PC, Partito Comunista, in Tunisia si era ridotto, nel 1928, a poche centinaia di militanti. Nel 1930, sull’onda della crisi e la crescita delle organizzazioni sindacali, Ali Djerad ne iniziò la ricostruzione. Nel 1934 nacque il Parti Communiste Tunisien – PCT, indipendente da quello francese, Djerad ne era il Segretario Generale. Fedele alla strategia sovietica che tentava di far aderire la Francia ad una coalizione antinazista33 e alla linea dell’Internazionale Comunista stabilita nel 7° congresso del luglio-agosto del 1935, il PCT, dopo essere stato l’unico partito a rivendicare l’Indipendenza della Tunisia nel decennio precedente, spostò completamente la sua azione verso la lotta antifascista. L’elezione in Francia, nel maggio del 1936, del Fronte Popolare, convinse il PCT che in Tunisia ci sarebbe stata un’evoluzione democratica e socialista insieme al “proletariato” francese. Il tentativo fatto da Djerad per collegare la lotta antifascista a quella per l’Indipendenza sull’esempio dell’esperienza libica34 finì in un nulla di fatto. Il partito fu sciolto nel 1939 e i suoi militanti furono duramente oppressi sotto l’occupazione delle truppe dell’Asse. Solo nel 1943 il partito fu nuovamente dichiarato legale. Sotto la spinta del Parti Communiste Français (PCF) in Algeria, la lotta del PCT si incentrò nuovamente sull’impegno nella guerra per la vittoria definitiva sul fascismo e la vittoria del popolo francese “alleato naturale del popolo tunisino”. Questa posizione si sviluppò ulteriormente con la fine della guerra nella convinzione che un’unione con la “Nuova Francia”, in cui il PC francese aveva la certezza di ottenere un ruolo di punta, avrebbe fatto imboccare al PCT la via più corta per la “liberazione nazionale”. Tuttavia non era chiaro se questa dovesse essere un’autonomia interna o l’indipendenza “dai feudatari e l’alta borghesia, peggiore nemico del popolo tunisino”. Mentre si incamminava verso l’adesione all’ “Unione Francese”, sul modello del Commonwealth inglese, del 1946, il PCT criticò violentemente il “Manifesto del Fronte Tunisino”, che, pur rivendicando anch’esso l’autonomia della Tunisia, era stato ideato da un gruppo di riformisti rappresentanti la frazione liberale della borghesia tunisina.

La posizione del PCT non era una novità. Essa derivava infatti dal dibattito all’interno dell’Internazionale Comunista che assegnava al proletariato dei paesi colonizzatori un ruolo preponderante nella liberazione dei popoli colonizzati.35 Bisognerà aspettare fino al 1955 perché nasca la strategia dei paesi non allineati; fino a quel momento i popoli colonizzati erano ancora perlopiù pedine di una strategia globale che li relegava al rango di oggetti.

Questo dibattito rimase assai lontano dalla preoccupazioni immediate di una classe operaia ancora poco politicizzata e la posizione del PCT risultò essere decisamente più debole di quella dei nazionalisti. Tuttavia

33 Cfr. gli accordi di Laval - Stalin del 1935 34

Cfr Djerad A., “Contre le fascisme, pour la démocratie et la liberté”, opuscolo, 1938

31 sarebbe errato pensare che il PCT e i suoi militanti, tra cui molti francesi ed ebrei tunisini36, non partecipò alla lotta per la liberazione.

In quanto unica organizzazione politica che non aveva avuto legami con le forze dell’Asse e che anzi si era battuta contro di esse, il PCT si ritrovò in una posizione predominante nell’immediato dopoguerra. Tuttavia tre furono i fattori che impedirono al partito di propagarsi nel Paese e guadagnare simpatizzanti. In primo luogo il PCT continuava a vedere i leader del movimento nazionalista come nemico e non accettava le relazioni che Bourguiba continuava a intrattenere con gli Stati Uniti e l’Inghilterra, nemici ideologici. In secondo luogo la presenza all’interno del partito di numerosi leader europei, sempre più screditati agli occhi dei tunisini. In terzo luogo per il PCT la lotta di classe, l’internazionalismo e l’unione del proletariato erano considerati prioritari rispetto all’Indipendenza.

Sebbene infiltrato dalla polizia francese37, il PCT si distinse anche per la sua capacità di promuovere tra i suoi attivisti il rifiuto delle differenze tra gli uomini, in un contesto che invece poneva fortemente l’accento sull’identità arabo musulmana della Tunisia. Anche a causa della pesante repressione che colpì il partito, le donne ricoprirono un ruolo fondamentale: quando mariti, compagni e semplici militanti venivano imprigionati o esiliati le donne ne prendevano il posto ed erano loro che organizzavano raccolte fondi e di beni di prima necessità per gli imprigionati. All’inizio degli anni ’50 non solo le donne ricoprivano molti incarichi di responsabilità all’interno del Partito, esse erano spesso anche a capo di organizzazioni e associazioni legate al Partito Comunista Tunisino: nel 1952 Nabiha Ben Miled, dopo essere uscita nel 1944 dall’Union musulmane des femmes de Tunisie (UMFT), organizzazione cui aveva partecipato fin dalla sua formazione nel 1936, era stata eletta presidente dell’Union des femmes de Tunisie (UFT). Erano ancora donne coloro che guidavano il Soccorso Popolare.

“Nel PCT […] la mixité, che all’epoca era prevista al di fuori della famiglia, era la norma; eravamo, e ci sentivamo fin nel profondo tutti uguali”.38

Il Sindacato

Dopo il congresso di Tolosa del febbraio 1936 la CGT e la CGTU si unirono: i militanti della CGTU entrarono nella Commissione Amministrativa (CA) della CGT unificata costituendone un terzo (cinque membri su quindici). Tra questi vi era per la prima volta un operaio tunisino, Hassen Sadaoui, militante comunista della prima CGTT e poi nella CGTU. Nei primi mesi del 1936 la classe operaia tunisina e francese si impegna in una lotta rivendicativa estremamente efficace: in seguito ad occupazioni, scioperi, boicottaggi e un incontro

36 Nel primo Congresso del PCT, avvenuto nel gennaio del ’39, furono eletti tra i dirigenti del partito 17 tunisini, di cui 8

ebrei e 10 europei (italiani, francesi e maltesi); nel secondo congresso, dell’aprile 1946, furono eletti 36 tunisini, di cui 10 ebrei e 12 europei; nel terzo congresso del maggio 1948 furono scelti 38 tunisini, di cui 6 ebrei e 9 europei, nel maggio del ’51, 37 tunisini, di cui 7 ebrei e 8 europei, nel maggio 1956, 29 tunisini, di cui 4 ebrei e nessun europeo.

37

Cfr Naccache G., Qu’as-tu fait de ta jeunesse?, Ed. du Cerf, 2008, p. 24

32 con il governo, cui parteciparono quattro delegati del sindacato tra i quali Sadaoui, il 7 agosto 1936 la Tunisia ottenne l’aumento dei salari, le ferie pagate e la limitazione dell’orario di lavoro ad otto ore giornaliere: la forza della CGT era schiacciante. Tuttavia, anche se i tre quarti dei circa 35.000 iscritti nel 1936 erano tunisini, le riunioni più importanti venivano ancora svolte in francese e la direzione sindacale rimaneva in gran parte francese.

Il 9 ottobre 1940 tutte le organizzazioni sindacali vennero dichiarate sciolte. Mentre il Neo Dustur, in un articolo su “L’Action” scritto da Thameur nel febbraio 1943, invitava i tunisini a non ribellarsi di fronte all’imposizione del lavoro coatto da parte degli occupanti nazi-fascisti, il movimento operaio veniva sopraffatto. Inoltre l’infiltrazione del movimento nazionalista da parte dei fascisti italiani era ormai un fatto innegabile.

Con l’arrivo delle truppe Alleate nel maggio del 1943 i sindacati si ricostituirono velocemente. I comunisti, che avevano proseguito le loro attività in clandestinità, ne furono il motore. I lavoratori rientrarono in massa nell’Unione Dipartimentale (UD) della CGT.

Alla fine della guerra la situazione della classe operaia era catastrofica: la disoccupazione era altissima e il costo della vita quintuplicato rispetto al 1939 inoltre vi era una distruzione generalizzata, razionamenti, fame e i salari erano bloccati.

Il 16 gennaio 1944, Messaoud Ali Saad, impiegato della compagnia della ferrovia Sfax-Gafsa e vicino alla polizia di Sfax, fondò il Sindacato Autonomo degli Operai e Impiegati, costituendo la prima divisione sindacale in Tunisia. Tale sindacato dichiarandosi di fede musulmana, puramente corporativo, strettamente apolitico e con eccellenti rapporti con la direzione dell’azienda, il Governatore della regione e il Résident Général, riuscì ben presto ad ottenere alcuni vantaggi cosicché i suoi iscritti raddoppiarono nel giro di pochi mesi.

Senza analizzare le cause di tali avvenimenti, la CGT si limitò a sottolineare come la maggioranza degli operai della compagnia fosse tra i suoi iscritti e a stigmatizzare la nuova formazione come “servi dei padroni”. Farhat Ached, nazionalista dichiarato che aveva ricostruito insieme al comunista Mohammed Ennefaa e al dusturiano Habib Achour l’Unione Dipartimentale della CGT a Sfax chiese agli autonomisti di rientrare nell’UD di Sfax. Tuttavia, pochi mesi dopo, nell’ottobre 1944, fondò, con lo stesso Messaoud Ali Saad, l’ “Union des Syndicats Autonomes du Sud” (Unione dei Sindacati Autonomi del Sud) “apolitica, tunisina e indipendente dai comunisti”. Nel maggio 1945 si formò, parallelamente, il Sindacato Autonomo del Nord.

Il 20 gennaio 1946, l’unione dei quaranta sindacati autonomi del Nord e del Sud, insieme alla Federazione Tunisina dei Funzionari, diede vita all’ “Union générale des Travailleurs Tunisiens” (Unione Generale dei

33 Lavoratori Tunisini) – UGTT. Posto sotto la presidenza di Fadhel Ben Achour, teologo, Ached ne fu il primo Segretario Generale.

L’UGTT si sviluppò ben presto a detrimento della CGT, che nel frattempo, il 27 ottobre 1946, era divenuta l’ “Union Syndicale des Travailleurs Tunisiens” (Unione Sindacale dei Lavoratori Tunisini) – USTT.

Pur dichiarandosi inizialmente apolitica, l’UGTT mostrò rapidamente il suo carattere nazionalista, sia per la composizione dei suoi iscritti, tutti tunisini, che per la tipologia delle sue rivendicazioni, che sottolineavano soprattutto le diseguaglianze di cui erano vittime gli operai tunisini rispetto ai loro compagni europei, e soprattutto francesi, e i rapporti che la legavano al Neo Dustur. Questo orientamento favorì l’adesione degli operai musulmani e degli strati intermedi della piccola borghesia: artigiani, piccoli commercianti e intellettuali. Il programma dell’UGTT ricalcava quasi integralmente quello dell’USTT, instaurando spesso una competizione controproducente.

Il rapporto con l’USTT, che ricalcava la contrapposizione tra Neo Dustur e PCT, fu tormentato anche in campo internazionale: per ottenere la legittimazione degli altri sindacati, Hached chiese l’iscrizione alla Federazione Sindacale Mondiale (FSM). Reticente di fronte ad un gruppo che aveva promosso una scissione e che si era nettamente distinto dai comunisti, la FSM, che aveva già accolto al suo interno l’ USTT, sostenuta dalla CGT francese, sottopose l’adesione dell’UGTT all’osservanza di dieci condizioni volte a ritrovare l’unità delle centrali sindacali. Più che una collaborazione, la FSM, sottostimando e non curandosi della richiesta crescente di liberazione dalla dominazione coloniale di un intero popolo, chiese, di fatto, la sottomissione dell’UGTT all’USTT.

Rifiutandosi di unire i due gruppi, Ached ottenne l’ammissione alla FSM solo 3 anni più tardi, nel 1949. Il 23 luglio 1950, durante la riunione del Consiglio Nazionale Straordinario della FSM, l’UGTT dichiarò di uscirne, per aderire alla nuova International Confederation of Free Trade Union - ICFTU o, in francese, Confédération International des Syndicats Libres – CISL. Hached anticipò tale decisione al IV congresso Nazionale dell’UGTT accusando la FSM di “aver dimenticato le sue origini e i suoi principi più sacri”39. Contemporaneamente il leader dell’UGTT poneva la questione relativa al collocamento del sindacato in relazione ai due blocchi: “eppure se noi non condividiamo il dirigismo comunista né la cancellazione dell’individuo e dei diritti umani e civili, tantomeno approviamo coloro che vogliono fare dell’anticomunismo un comodo paravento per coprire le loro politiche reazionarie e antioperaie, il loro tradizionalismo limitato e retrogrado, il loro sfruttamento dei lavoratori e la loro opposizione al progresso sociale[…]”40.

39

Hached F., Rapporto sulle relazioni Internazionali, IV Congresso Nazionale dell’UGTT, [Traduzione mia]

34 Mentre il numero di iscritti dell’USTT rimaneva stabile, alla fine degli anni ’40 gli iscritti dell’UGTT erano cresciuti a circa 50.000.