• Non ci sono risultati.

La Rivolta del 2011 e il nuovo tentativo di controllo: un’analisi complessa

La rivolta che portò alla fuga di Ben Ali non fu un colpo di fulmine a ciel sereno, bensì il risultato di una serie di azioni e fatti che si svolsero in un’interazione estremamente complessa nel decennio precedente. Alcuni studiosi sostengono che la fine di Ben Ali sia iniziata con la morte di Bourguiba, il 6 aprile 2000, quando il nuovo dittatore, mentre seppelliva il “Padre della Patria” in un grande mausoleo a lui dedicato a Monastir, mandava in onda documentari sui canali nazionali e negava così la “partecipazione popolare” al funerale del “Padre di tutti i tunisini”. Con la morte di Bourguiba moriva sì colui che aveva messo le basi per lo Stato tunisino, ma anche colui che aveva iniziato quel percorso di repressione, controllo e depoliticizzazione che sarebbe poi stato sviluppato da Ben Ali. La popolazione iniziò ad interrogarsi sulle differenze tra i due regimi, riscontrando e teorizzando ciò che ormai era chiaro: che l’uno era il proseguimento dell’altro. La morte dell’ “ultimo combattente per l’Indipendenza” in mezzo al regime di Ben Ali ne svelò pubblicamente la natura e contemporaneamente ne delegittimò le basi, finite con l’uomo che le aveva incarnate per più di 50 anni: Bourguiba.

Il referendum del 2002 e la rielezione del 2004, e quindi del 2009, unite all’aumento esponenziale della corruzione e delle lotte intestine all’interno dell’ entourage del Presidente per accaparrarsi ulteriori guadagni, furono altri elementi che senz’altro incisero nella costruzione di un humus favorevole alla rivolta generale.

Non bisogna tralasciare inoltre la crescita della repressione che, dai primi anni 2000, viaggiava anche su internet. Mentre la Tunisia ospitava, nel 2005, il World Summit on the Information Society – WSIS, il Forum Mondiale sulla Società dell’Informazione, organizzato dall’UNESCO, Ben Ali faceva sorvegliare gli internet point e controllava e schedava sistematicamente l’attività dei tunisini su internet. Se l’accesso a internet era stato liberalizzato e, nel 2010, quasi il 40% dei tunisini aveva la possibilità di accedere a internet, il contatto con il resto del Mondo rimaneva costantemente censurato, grazie a sofisticati sistemi di filtraggio del web.194 Pur agendo sotto pseudonimo i blogger vennero perseguitati e torturati esattamente come gli oppositori politici. Il nipote del giudice Mokhtar Yahyaoui, Zouhair Yahyaoui, fu arrestato il 4 giugno 2002 e condannato, il 10 luglio, per “diffusione di false notizie per far credere ad un attentato contro le persone e contro le cose” e per “uso fraudolento dei mezzi di comunicazione”. Zouhair, con lo pseudonimo Ettounsi, il tunisino, aveva pubblicato, tra l’altro, sul suo sito Tunezine, la lettera che suo zio aveva indirizzato a Ben Ali. Dopo un anno e mezzo di prigione ferma, dove subì torture fisiche e psicologiche quotidiane e in cui tentò

109 di portare avanti uno sciopero della fame per denunciare le sue condizioni, uscì con la condizionale su pressione internazionale. Morì d’infarto il 13 marzo 2005, probabilmente anche a causa della debilitazione seguita alle condizioni inumane di detenzione. Tra i bloggers più conosciuti che si affermarono nella seconda metà del primo decennio del 2000, si ricordano Slim Amamou195, Aziz Amami196, Yassine Ayari197, Sofien Chourabi198, e Lina Ben Mhenni199.

Nel 2008 si verificarono nel distretto delle miniere dei fosfati, a Sud Ovest della Tunisia, nella città di Redeyef, violente manifestazioni: all’apertura di una nuova miniera in quest’ultima città le assunzioni avvennero in base a raccomandazioni e alla fedeltà dimostrata al Partito del Presidente. I militanti dell’UGTT200 locale organizzarono picchetti dei lavoratori esclusi dalle assunzioni in segno di protesta e staccarono la linea elettrica diretta al sito. La polizia circondò presto la città per evitare che ogni notizia trapelasse, temendo il propagarsi delle proteste. Mentre un disoccupato, in segno di protesta, sedeva sui fili della luce diretti alla miniera per evitare che l’elettricità fosse riattivata, il Sindaco diede ordine di far passare la corrente. Alla morte dell’uomo i manifestanti si rivoltarono e la polizia rispose reprimendo nel sangue la protesta. La voce delle proteste si diffuse con il passaparola tra i militanti dell’UGTT, dell’UGET e dei partiti di sinistra dichiarati illegali. Decine di giovani militanti riuscirono ad eludere l’accerchiamento e a raggiungere la popolazione di Redeyef per sostenerli. Tra questi vi fu il giornalista e militante del partito

195

Informatico di professione, il 22 maggio 2010 chiamò dal web a manifestare contro la censura del regime e in seguito arrestato e interrogato. Il 6 gennaio 2011 fu arrestato con gli altri attivisti Azyz Amami e Sofiane Belhaj. Grazie alla geolocalizzazione attivata sul suo cellulare prima che glielo ritirassero dal blog tutti poterono vedere che i tre erano stati portati nei sotterranei del Ministero dell’Interno per essere torturati per giorni e quindi essere trasferiti in carcere. Tra il 17 gennaio e il 25 maggio 2011 Slim ricoprì la carica di Segretario di Stato alla Gioventù e allo sport nel Governo di Transizione. È stato fondatore “Partito Pirata” tunisino.

196

Arrestato anch’esso il 22 maggio 2010 per aver chiamato alla manifestazione per la libertà del web, Azyz fu arrestato anche il 6 Gennaio 2011 e torturato nel tentativo di estorcere i nomi di una presunta “rete eversiva di cyber- attivisti”. È rilasciato insieme ai suoi compagni solo il 13 gennaio in seguito al discorso di Ben Ali che lo porterà alla fuga il giorno successivo. Aziz è stato fermato e picchiato nuovamente dalla polizia il 13 maggio 2014 e incarcerato insieme ad un amico fino al 23 maggio 2014 quando fu stabilito il non luogo a procedere sull’onda delle manifestazioni popolari.

197

Figlio del Colonnello Tahar Ayari, rimasto ucciso il 18 maggio 2011 in degli scontri avvenuti nel protettorato di Siliana in Tunisia, con alcuni esponenti di “Al Qaeda del Maghreb Islamico”, Yassine è stato arrestato e rilasciato poco dopo, il 25 dicembre 2014 per scontare la pena alla quale era stato condannato in contumacia il 18 novembre 2014 per “aver screditato l’esercito con alcuni post su Facebook”. Interpellato sulla vicenda Yassine riferì di non essere nemmeno a conoscenza dello svolgimento del processo.

198 Giornalista e blogger Chourabi è osservatore durante la rivolta del 2011 per France24. Il 5 agosto 2012, dopo aver

criticato il governo di Ennahdha di Jebali, fu arrestato per ubriachezza e comportamento contro la morale. Fu

finalmente liberato il 30 ottobre 2012 e condannato a pagare una multa di 104 dinari. Recatosi in Libia per un servizio giornalistico nel settembre del 2014, viene rapito pochi giorni dopo e dichiarato “giustiziato” dallo Stato Islamico l’8 gennaio 2015.

199

Figlia del militante di Perspectives – El Amal Tounsi Sadok Ben Mhenni, Lina è animatrice del Blog A Tunisian Girl e fu tra i pochi blogger a pubblicare i suoi post senza pseudonimi subendo per questo minacce e intimidazioni da parte della polizia.

200

L’UGTT, completamente normalizzata ai suoi vertici, aveva, invece, basi irrequiete che spesso appoggiavano ogni movimento di protesta.

110 comunista Fahem Boukadous che riuscì a filmare le proteste e a diffondere il suo video attraverso il canale indipendente che trasmetteva al di fuori della Tunisia Alhiwar, su internet e tra i militanti dell’UGET.

Decine di manifestanti furono arrestati, torturati e imprigionati a lungo. Tra questi vi fu Fahem, che fu citato nel Rapporto di quell’anno di Amnesty International.201 Attraverso i blog e altri siti internet, nonché il passaparola tra militanti dell’UGET e dell’UGTT si creò una rete per la scarcerazione di Boukadous, che costituì in seguito la base per la diffusione delle proteste di pochi anni dopo.

Alla fine del 2010, l’immolazione di Mohamed Bouazizi, e i media che ne riportarono la notizia, diede inizio alla rivolta. Tarek Ben Taieb Bouazizi, detto Mohamed, figlio di una povera famiglia di Sidi Bouzid, città altrettanto economicamente svantaggiata dell’interno della Tunisia, non essendo riuscito a finire gli studi a causa della povertà, iniziò a lavorare come venditore abusivo di frutta e verdura. Come tutti i piccoli venditori informali esso era quotidianamente sottoposto alle angherie e ai ricatti quotidiani della polizia municipale. Il 17 dicembre 2010, mentre era in strada con il suo carretto, la polizia lo fermò, gli contestò delle infrazioni e gli sequestrò la bilancia. A seguito di un diverbio Bouazizi si recò nella sede della municipalità, e quindi del governatorato, per protestare, invano poiché del tutto ignorato. Poco dopo si cosparse di benzina e si diede fuoco davanti all’ufficio del governatorato. Morì il 4 gennaio 2011 dopo diciotto giorni di agonia e ai suoi funerali parteciparono almeno 6000 persone in preda all’emozione e alla rabbia. Mentre la stampa di regime impiegò tre giorni prima di dare la notizia dell’immolazione e solo per esprimere “indignazione per la deformazione deliberata dei fatti” e “i tentativi di strumentalizzare questo incidente isolato e di sfruttarlo per disegni politici malsani […], mettendo in dubbio i successi ottenuti nello sviluppo della regione”202, il racconto dei fatti corse sul web, per passaparola, e velocemente la rivolta si propagò nelle città vicine. Quello stesso giorno l’emittente Al Jazeera riprese la notizia e contribuì alla sua diffusione.

Nelle sedi dell’UGTT di tutta la Tunisia si iniziarono ad organizzare rivolte e manifestazioni in solidarietà con i fatti accaduti e lo stesso avvenne all’interno delle università, dove l’UGET manifestava per diffondere la notizia e sostenere la rivolta. La polizia non esitò a tentare di reprimere le manifestazioni entrando sin dentro le università.203 Tuttavia il senso individuale e collettivo di oppressione, disperazione e impotenza maturato durante il regime aveva dato avvio alla rivolta.204 La chiusura delle università imposta da Ben Ali alla fine del 2014 non fece altro che disperdere gli studenti in protesta che, una volta tornati a casa,

201 Cfr http://rapportoannuale.amnesty.it/sites/default/files/Tunisia.pdf 202 Cfr Rivera A., Il fuoco della Rivolta, ed. Dedalo, 2012, pp. 26-26 203

https://www.youtube.com/watch?v=2rLaKK2o2GI

111 contribuirono ulteriormente a diffondere la rivolta. Le manifestazioni delle basi del sindacato UGTT non fecero altro che moltiplicarsi e scontrarsi con la polizia fino alla fuga di Ben Ali.

Con un movimento popolare ancora in crescita, il 14 gennaio 2011, Ben Ali e la sua famiglia scapparono dalla Tunisia. Partito il dittatore, le principali istituzioni del regime si adoperarono per una “transizione ordinata” così da preservare il loro potere. Tale strategia di transizione aveva al suo arco diverse frecce: per prima cosa bloccò l’escalation della protesta, ancora in atto, in secondo luogo la voce diffusasi di un esercito che si rifiutava di sparare sulla folla evitò a tale parte dello Stato di essere contestata come lo fu la polizia.205 In terzo luogo bisognava considerare il ruolo dei partiti di opposizione. Dopo anni di dittatura essi avevano costruito il loro percorso nell’ottica di una “transizione democratica”. Al di là di qualche partito di estrema sinistra come il PCOT di Hammami o di qualche personalità come Moncef Marzouki, presidente del CPR, che chiamavano la popolazione alla “resistenza” e alla “disobbedienza civile” l’idea di una larga mobilizzazione popolare non era in alcun modo prevista all’interno dei partiti di opposizione.206

Le opposizioni tunisine si ritrovarono in quel momento di fronte ad un problema che non avevano mai pensato di dover affrontare. Da una parte, isolate e perseguitate dal regime, esse furono costrette a cercare appoggio al di fuori del territorio tunisino, seguendo una strategia di lobbying internazionale, in particolare legata alle associazioni per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ma anche a stringere alleanze con alcune agenzie dell’Unione Europea o degli Stati Uniti. La costruzione di alleanze per riequilibrare i rapporti di forza in Tunisia non era all’ordine del giorno. Dall’altra la maggioranza di queste opposizioni vedeva la politica e la democrazia come una questione riservata alle élites.

“La strategia di transizione ha quindi potuto contare sulle forze di opposizione come essa ha potuto scommettere sul conservatorismo burocratico dei principali dirigenti dell’UGTT, portati ad inserirsi positivamente in un processo di riforme al vertice a condizione che i partiti riuscissero a congelare l’influenza dei sindacalisti radicali. Unica vera organizzazione di massa durante i decenni, basata principalmente nei settori più agiati del mondo del lavoro – in particolare tra i lavoratori

205

Nessuno saprà esattamente cosa successe in quei giorni. Tuttavia relativamente al comportamento dell’esercito è lo stesso blogger Yassine Ayari che afferma in un’intervista a Le Monde che alla notizia avuta da suo padre, colonnello dell’esercito, di aver avuto l’ordine di rimanere fermo in caserma, lui diffonde la versione, manipolata, “Ammar a dit non à l'ordre du président de tirer sur la foule” ovvero “Ammar [suo padre] ha detto no all’ordine del Presidente di sparare sulla folla”. Cfr http://www.lemonde.fr/tunisie/article/2011/10/21/un-blogueur-en-rase-campagne- tunisienne_1591689_1466522.html

206 Per esempio, durante le manifestazioni del 2008, a parte l’opposizione costituita dalla sinistra radicale, gli altri

partiti, prima di dimostrare un timido sostegno ai manifestanti, sottolinearono la gravità della situazione sociale e l’urgenza di riforme piuttosto che allargare la portata della contestazione.

112 dell’amministrazione pubblica, il sindacato si è esso stesso compromesso con il regime per lungo tempo”.207

All’indomani della fuga del Presidente il “processo di transizione” si trovò a confrontarsi con una mobilitazione popolare che non accennava a fermarsi. Il 15 gennaio 2011 fu nominato Presidente temporaneo il Primo Ministro di Ben Ali Mohamed Ghannouchi, il giorno dopo, in seguito ad una decisione del Consiglio Costituzionale, fu rinominato a capo del governo e indicato come Presidente Foued Mbazaa. Il governo transitorio riuniva, oltre ad alcuni responsabili del regime, nominati nei posti chiave, anche alcuni rappresentanti delle opposizioni legali e dell’UGTT in vista della preparazione, in sei mesi, delle elezioni presidenziali e legislative.

In seguito alle proteste di alcune basi dell’UGTT, che accusavano il nuovo Governo di essere troppo benevolo con i dirigenti di Ben Ali, i vertici del sindacato si ritirarono dal Governo, seguiti presto dagli altri partiti dell’opposizione, ad esclusione di Ettajdid, erede del partito comunista, e Nejib Chebbi, a capo del PDP, sicuro di vincere le elezioni annunciate. I manifestanti tuttavia non erano pronti ad accettare un nuovo governo espressione, di fatto, ancora del regime. Mentre le proteste di strada continuavano, il regime, nel tentativo di guadagnare tempo, iniziò a fare concessioni su concessioni alle richieste della popolazione. Il punto di svolta si incentrò su due avvenimenti.

L’11 febbraio 2011 fu costituito il Conseil National de Protection de la Révolution – CNPR, Consiglio Nazionale per la Protezione della Rivoluzione, costituito da gruppi di cittadini espressione dei già formati a livello locale Comités pour la Sauvegarde de la Révolution, Comitati per la Salvaguardia della Rivoluzione e della maggioranza dei partiti di opposizione ad esclusione del PDP e di Ettajdid, ancora al Governo. Ennahdha e i movimenti di estrema sinistra, l’UGTT e l’ordine degli avvocati e altre associazioni ne facevano parte. Le richieste del Consiglio riguardavano l’elezione di un’assemblea costituente, la dissoluzione del RCD e la formazione di un governo provvisorio composto da tecnici senza alcun legame con il regime di Ben Ali. Inoltre, il Consiglio richiedeva di essere riconosciuto ufficialmente attraverso un decreto legge del nuovo Presidente e che gli fosse accordato un diritto di veto sulle attività del governo e la nomina dei responsabili; alla “legittimità istituzionale” si opponeva ed emergeva un organo di potere nazionale legittimato dalla rivolta.

Il secondo avvenimento riguardò il movimento della Kasba II, ovvero il sit-in di migliaia di persone davanti al Palazzo del Governo, nella piazza della Kasbah, avvenuto il 25 febbraio 2011.208 Quando la polizia disperse

207

Khiari S., Tunisie: commentaires sur la révolution à l’occasion des élections, pubblicato sul sito http://www.contretemps.eu [Traduzione mia] Cfr anche Dot-Pouillard N., Tunisie: la révolution et ses passés, ed. L’Harmattan, 2013

208

Il movimento della Kasbah I riguardò il sit-in dei manifestanti nell’omonima piazza, il 27 gennaio dello stesso anno, per domandare che le figure legate al vecchio regime fossero espulse dal Governo.

113 brutalmente la folla le manifestazioni e gli scontri con la polizia si allargarono in molte città del Paese. Il movimento si radicalizzò ulteriormente e chiese con ancor più forza l’elezione di un’Assemblea Costituente, la dissoluzione definitiva del RCD e le dimissioni del Primo Ministro.

L’ex Ministro dell’Interno di Bourguiba, Béji Caïd Essebsi, fu quindi nominato al posto di Ghannouchi e il Governo modificato. Tecnici, esperti e personaggi secondari della società civile furono largamente rappresentati. La dissoluzione del RCD fu confermata, la Costituzione del 1959 fu sospesa e istituita da Essebsi la Haute instance pour la réalisation des objectifs de la révolution, de la réforme politique et de la transition démocratique, Alta istanza per la realizzazione degli obiettivi della rivoluzione, della riforma politica e della transizione democratica, più conosciuta come Commissione Ben Achour, dal nome del suo Presidente. Formata da 155 persone e rappresentante quasi tutto l’arco politico, la commissione era incaricata di riorganizzare la vita democratica durante il periodo di “transizione” e di elaborare un progetto di legge elettorale destinata a permettere l’elezione di un’Assemblea Costituente, fissata per il 24 luglio.209 Cooptando in sé la maggioranza delle forze del CNPR, ed in particolare l’UGTT e Ennahdha, il consiglio venne di fatto svuotato perdendo definitivamente il rapporto con i Comitati locali per la salvaguardia della rivoluzione, e delegittimando allo stesso tempo il sit-in in piazza. D’altra parte la Commissione Ben Achour non si sottrasse alla forte critica delle pratiche e delle logiche del regime di Ben Ali e espresse rivendicazioni importanti che portarono il Governo a prendere decisioni fondamentali dal punto di vista democratico. Se è vero che da una parte la Commissione impedì alla “strada” di terminare il suo processo di rivolta assumendone coscienza e responsabilità e lasciando il movimento popolare allo stadio della protesta, è anche vero che attraverso l’istituzionalizzazione della rivolta si è tentato di raggiungere una mediazione tra l’istituzione e la popolazione, a lungo tenuti divisi.210

“Facendo entrare la rivoluzione nella cornice dello Stato, le autorità intendevano spostare il centro di gravità della contestazione dalla “strada” ai lussuosi locali del potere dove avvocati, insegnanti, medici e altri rappresentanti dei partiti e della società civile dovevano prepararsi a negoziare la condivisione del potere con i vecchi quadri di Ben Ali. Con la costituzione della Haute Instance, lo spettro di un’autorità esterna alle istituzioni officiali e sostenuta da una legittimità rivoluzionaria era allontanato ma era consentita allo stesso tempo la possibilità che fossero prese decisioni contrarie all’interesse del potere e di una riforma generale del regime politico in vista della futura Costituente”.211

209 Cfr Osservatorio di Pavia, ERIS - Electoral Reform International Services, L’espressione liberata? La difficile

transizione dei media tunisini, 2012

210 Si ringrazia la dott.ssa Afef Hagi per il confronto che ha portato a tale formulazione.

211 Khiari S., Tunisie: commentaires sur la révolution à l’occasion des élections, pubblicato sul sito

http://www.contretemps.eu [Traduzione mia] Cfr anche Dot-Pouillard N., Tunisie: la révolution et ses passés, ed. L’Harmattan, 2013

114 Mentre la Commissione Ben Achour si insediava le forze di sicurezza si irrigidivano e le repressione delle mobilitazioni aumentava. All’indomani della decisione della Haute Instance di escludere dal processo costituente i vecchi responsabili del RCD, i membri di questo partito organizzarono manifestazioni in diverse parti del Paese represse brutalmente. Mentre in molte città scoppiavano periodicamente violente proteste, la mobilitazione popolare, in preda al caos, fu messa in crisi, preoccupata nel constatare che, sebbene le questioni politiche fossero all’ordine del giorno sui media e in particolare in televisione, la difficoltà a raggiungere la fine del mese era rimasta. Lo spirito collettivo della rivolta si disperse a danno delle classi più disagiate, dalle quali la rivolta era partita, che assistevano distanti alla preparazione di un’elezione percepita come lontana dalle problematiche reali mentre i partiti si avvitavano nella polemica del rapporto tra politica e religione.

Tale sentimento si riversò sulle elezioni. Nonostante i mezzi impiegati per spingere i 7 milioni e mezzo di