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Il fallimento della politica socialista portò a grandi cambiamenti verso la fine degli anni ’60, non solo in campo economico. Per rimediare all’esperimento socialista il Governo avviò un serie di riforme in senso liberale e ridefinì i suoi rapporti verso l’Islam e i movimenti riconducibili ad esso.

Nel 1970 il direttore della Banca Centrale tunisina, Hedi Nouira, fu nominato da Bourguiba primo ministro. Nouira non aveva mai nascosto la sua contrarietà alle politiche socialiste introdotto da Ben Salah. Sostenitore del liberalismo economico destinò immediatamente i capitali privati, in gran parte provenienti dall’estero, all’espansione del settore industriale. La Tunisia si aprì agli investitori, preoccupati per il passato socialista del Paese, rassicurandoli con pacchetti di concessioni riservati agli imprenditori stranieri che si impegnavano a sviluppare industrie orientate all’esportazione: si voleva così creare posti di lavoro senza alimentare la concorrenza ai prodotti tunisini. Nel primo decennio degli anni ’70 vennero aperti circa 500 stabilimenti di proprietà straniera. La liberalizzazione dell’economia tunisina fu iniziata con la stessa veemenza con la quale si decise la strada socialista: fu quindi elaborato ed attuato un piano finanziario che tuttavia non prevedeva il completo ritiro dello Stato dall’economia. Non tutte le attività economiche furono cedute né le partecipazioni ad imprese già avviate nel settore pubblico furono ritirate63. Nei primi anni ’70 furono create circa cento nuove aziende statali, in particolare industrie pesanti di materie prime. Le spese statali nel settore pubblico raddoppiarono e fino al 1984 gli investimenti governativi non scesero mai sotto il 50% delle spese.

La creazione di molti nuovi posti di lavoro, in un’industria che richiedeva competenze minime e in cambio dava un salario modesto e poche possibilità di carriera o di specializzazione, non fu sufficiente ad aumentare l’occupazione. Sebbene a metà degli anni ’70 il tasso di disoccupazione ufficiale oscillasse tra il

53 13 e il 16%, nelle aree rurali e tra i giovani era molto più alto. In particolare tra i giovani tra i 15 e i 25 anni, che costituivano il 75% della popolazione senza lavoro, il tasso di disoccupazione era pari al 50%.64

Malgrado il tasso di occupazione femminile fosse cresciuto fino a costituire un quarto della popolazione economicamente attiva, la disoccupazione non diminuì anche perché spesso le donne, pagate meno degli uomini, erano assunte più facilmente dagli imprenditori. Così, se anche la situazione economica delle donne era migliorata dopo l’indipendenza, le difficoltà di molte famiglie erano aumentate.65

Nouira non si occupò inoltre di colmare il divario crescente tra le zone costiere e quelle dell’interno e del Sud. Le zone con un tasso di disoccupazione piuttosto elevato come il Sud, il centro e le regioni occidentali non ricavarono nessun beneficio dai nuovi investimenti.

Fino al 1977 i prodotti fabbricati in Tunisia, soprattutto vestiti, con bassi costi di produzione dovuti alle esenzioni governative e i salari ridotti, furono abbastanza presenti nel mercato europeo. Tuttavia in quell’anno la Comunità Economica Europea – CEE, per evitare che le proprie industrie venissero soffocate da tali tipologie di importazioni, impose forti dazi che misero in ginocchio le aziende tunisine. Ad ogni modo alla fine degli anni ’70 l’industria tunisina forniva quasi il 20% dei posti di lavoro e più di un terzo delle esportazioni era riconducibile a suoi prodotti.

Nel 1977 la CEE costituì delle barriere anche per quei prodotti agricoli, i più pregiati della Tunisia, l’olio e gli agrumi, che entravano in concorrenza con i prodotti coltivati anche da Grecia, Spagna e Portogallo. Se il fallimento delle cooperative aveva aperto la strada ai grandi proprietari terrieri che portarono a termine la meccanizzazione dei campi e si concentrarono sulla produzione di raccolti destinati ai più ricchi mercati esteri piuttosto che alla popolazione tunisina, alla fine degli anni ’70 i tre paesi europei dovevano rafforzare le loro economie per poter formalmente aderire alla CEE: fu così istituito un blocco delle importazioni.

D’altra parte il forte aumento del turismo e l’impennata dei prezzi del petrolio arricchì le casse dello Stato. In particolare gli introiti provenienti dalle esportazioni di petrolio coprirono ben presto un sesto delle entrate dello Stato e furono così finanziati altri investimenti nel settore industriale e terziario, per fondare imprese agricole di stampo capitalista, per aumentare le agevolazioni mirate ad attirare gli investimenti stranieri, per calmierare i prezzi dei beni di prima necessità, dei servizi e degli alloggi e prevenire le insurrezioni dei ceti meno abbienti. Si cercò inoltre di migliorare la qualità della vita nel Paese mediante l’espansione e la velocizzazione dei servizi sociali e dell’istruzione e per mantenere la bilancia commerciale ad un livello accettabile anche se ancora negativo.

64 Cfr Radwan S., Jamal V., Ghose A., Tunisia: rural labor and structural transformation, Routledge, 1990, p. 10 65

Cfr Daoud Z., Les femmes tunisiennes: gains juridique et statut économique et social, in Magreb-Machrek, n. 145, 1994, p.31

54 L’innalzamento del prezzo del petrolio aveva fatto fortemente aumentare la domanda di manodopera negli Stati petroliferi. Molti tunisini, soprattutto provenienti dalle aree più povere, si recarono in Libia. Nelle università inoltre erano molti i laureati che non riuscivano a trovare uno sbocco nel proprio Paese e che decisero di emigrare, sia nei paesi arabi, in particolare nella penisola arabica, che in Europa. Così all’inizio degli anni ’80 le rimesse inviate dagli oltre 250.000 tunisini impiegati all’estero costituivano quasi un quarto del PIL.66

Tra il 1973 e il 1977 le disparità tra ricchi e poveri aumentarono considerevolmente alimentate dai meccanismi di un’economia puramente liberale. Infatti solo un piccolo gruppo di tunisini, sempre con molta influenza sul PSD, potevano permettersi di fare cospicui investimenti e costituire collaborazioni con i facoltosi investitori stranieri ottenendo profitti enormi. Alla fine degli anni ’70 il 20% dei tunisini più ricchi spese più di tutti gli altri messi insieme, mentre le spese del 20% dei più poveri costituirono solo il 5% del totale.