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Quando, per sorvegliare le opposizioni in un momento di grave crisi economica, Mzali richiamò in Tunisia Zine El-Abidine Ben Ali, nel frattempo nominato ambasciatore in Europa, e lo nominò nuovamente a capo

64 della Sicurezza Nazionale, l’UGTT, memore delle repressioni del 1978 si oppose duramente. Mentre il potere riteneva che l’unico modo per inserirsi nel percorso di sviluppo definito da Bourguiba fosse subordinare totalmente il sindacato e inserirsi nel mercato globale nascente82, l’UGTT, dietro la parola d’ordine di “autonomia sindacale”, e in alcuni casi anche in nome delle libertà democratiche, cercava di rimettersi alla guida del meccanismo redistributivo e di rinforzare il suo peso all’interno del “sistema-stato” di Bourguiba.

Il governo non esitò allora a ignorare il sindacato in favore di un’organizzazione rivale l’Union Nationale Tunisienne du Travail – UNTT, sindacato nazionale tunisino fondato l’8 febbraio 1984, i cui membri si erano dissociati dall’UGTT in segno di protesta contro i metodi “aggressivi e bellicosi” impiegati dal sindacato nei confronti del governo.

Stretto tra la volontà di mantenersi indipendente dal governo e quella di rappresentare i lavoratori, di fatto la classe media del Paese, il sindacato, così come le opposizioni democratiche, i militanti di sinistra e gli islamisti, fu preso in contropiede dall’irruzione di violente rivolte compiute per lo più non da operai ma da giovani disoccupati delle regioni più disagiate e delle periferie delle grandi città e, in generale, da coloro che erano stati abbandonati a se stessi di fronte ad una crisi sempre più dura e prolungata.

Mentre il governo si accordava con l’UNTT, l’UGTT manteneva una posizione ondivaga appoggiando alcuni scioperi e ritirandosi da altri. Nonostante alcuni scioperi fossero stati rimandati nel tentativo di non incorrere nella repressione governativa, nel novembre del 1985 l’UGTT perse la battaglia: Achour venne mandato al confino, molti sindacalisti furono incriminati e condannati e la direzione del sindacato passò sotto un nuovo gruppo di dirigenti fedeli al potere.

Il Partito Comunista Tunisino

Alla fine degli anni ’40 il PCT si accorse della perdita di molti simpatizzanti e sostenitori. La costante presenza di dirigenti europei, le critiche a Bourguiba per i suoi legami con gli USA e l’Inghilterra e la ricerca di un’unione con il proletariato francese prima che dell’indipendenza, in un periodo in cui il discorso nazionalista convinceva sempre di più il popolo tunisino, portò i comunisti tunisini a cambiare radicalmente strategia. L’ingresso nel partito di nuovi giovani intellettuali e attivisti contribuì a questa decisione. Tra questi vi erano Mohammed Harmal, Noureddine Bouarrug, Abdelhamid Ben Mustapha e Tawfiq Baccar.

All’inizio degli anni ’50 le parole d’ordine e gli slogan del partito erano rivolti verso le problematiche nazionali. Contemporaneamente molti dei leader europei si allontanarono a causa della nuova linea nazionalista decisa dal partito. Tuttavia ciò non riuscì a riportare il partito nella posizione propizia

65 dell’immediato Dopoguerra. La maggior parte della popolazione politicamente attiva aveva infatti già aderito al Neo Dustur e all’UGTT.

Nel congresso del maggio del 1956 i nodi arrivarono al pettine. All’interno del partito si formarono tre gruppi: il primo rivendicava le scelte fatte gli anni precedenti e rifiutava l’autocritica chiesta da più parti; il secondo, composto per lo più da tunisini residenti in Francia, criticava fortemente le scelte del partito e ne chiedeva lo scioglimento per fondarne un nuovo; il terzo, ponendosi in posizione intermedia tra i due gruppi, criticava anch’esso le decisioni passate della dirigenza, in particolare quelle relative al posizionamento del partito nei riguardi del movimento nazionalista, tuttavia le giustificava ritenendole necessarie all’unità del partito, che altrimenti si sarebbe spaccato a causa della presenza dei molti dirigenti europei.

L’unico punto su cui tutti i gruppi erano d’accordo fu la condanna di Ben Youssef. Oltre ad essere contrari all’ideologia panaraba, tutti i militanti del partito comunista ricordavano perfettamente il periodo il cui ben Youssef, ministro della giustizia, aveva eliminato i comunisti dalla preparazione del programma per la negoziazione con i francesi.

Il congresso si chiuse con l’adozione, in seguito ad un accordo tra il primo e il terzo gruppo, di un documento in cui alcuni punto del trattato di indipendenza interna venivano giudicati positivamente.

Gli appartenenti al secondo gruppo, in forte disaccordo con le decisioni del congresso, tornati a Parigi aumentarono le pressioni sul gruppo dirigente. Oltre a chiederne l’autocritica minacciarono la scissione. Fu deciso quindi di fissare un nuovo congresso, che si sarebbe tenuto il 21 dicembre 1957.

Dopo lunghe discussioni fu redatto un documento finale che conteneva una forte autocritica circa l’operato del partito negli anni precedenti, in particolare relativamente la problematica nazionalista. Inoltre si affermava che “la borghesia continua a esercitare il suo ruolo positivo nella lotta contro la colonizzazione e il feudalesimo”83 e che non si doveva vedere il regime di Bourguiba come un unico gruppo omogeneo bensì come un insieme di formazioni diverse dense di contraddizioni da sfruttare a beneficio del PCT.

Nonostante l’autocritica il gruppo parigino non accettò i successivi punti del documento: si staccò quindi dal partito accusandolo di essere tollerante con il regime di Bourguiba e di aver gonfiato il ruolo della borghesia nazionale. I militanti di Parigi si nominarono “Gruppo Marxista” e iniziarono a pubblicare un giornale in francese, Al Kifeh84.

83 Cfr Bouguerra A., Atti della storia della sinistra tunisina. Come si sono opposti i comunisti e i perspectivisti al regime

del partito unico, ed. Perspectives, 2013, p. 52 Trad. dall’arabo da Chamkhi M.

66 In seguito all’autocritica il gruppo dirigente cambiò così come la strategia politica. Iniziò una propaganda su diversi giornali legati al partito e non persero occasione pubblica per manifestare le idee del partito. In particolare forte era la critica verso le scelte liberaliste del governo di Bourguiba.