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La congiuntura del 2001

Nel documento Volume Rapporto 2001 (.pdf 1.5mb) (pagine 169-173)

7. L’INDUSTRIA ALIMENTARE

7.1. La congiuntura del 2001

7.1.1. In Italia

La situazione nazionale, che in realtà non si discosta molto da quella de-gli altri Paesi dell’Unione – 1,9% del Regno Unito, 1,8% della Francia e 0,8% della Germania –, chiude il 2001 con il PIL che cresce dell’1,8%, 0,1%

al di sopra del PIL mondiale.

I consumi si muovono secondo dinamiche molto contenute e, soffrendo in particolare della battuta d’arresto del terzo trimestre, si attestano su in-crementi annuali inferiori all’1%. L’andamento della domanda alimentare nella sua globalità ha presentato una sostanziale stasi: i ricavi correlati sono cresciuti mediamente dello 0,6-0,7%.

Gli investimenti, dopo un 2000 molto intenso per cui era comunque pre-vedibile una fase di riflessione, denunciano una crescita complessiva non superiore all’1,7%; buona la crescita degli investimenti nel comparto delle costruzioni e dei trasporti, ma in flessione quella relativa ai macchinari.

Gli ordinativi passano dal +11,3% del 2000 al -3,5% del 2001, il fattura-to complessivo cresce dell’1,2% e poca è la differenza nelle variazioni tra quello realizzato all’estero o sul mercato interno. Nell’ultimo mese dell’anno si sono però visti chiari segni di miglioramento. Molto più consistente si è presentato l’aumento del fatturato 2001 del settore alimentare: pari al 5,6%.

Da marzo 2001 l’andamento degli ordinativi è stato sempre in negativo, mentre il primo mese del 2002 segnala un incremento significativo nelle commesse soprattutto estere, +3,7%, e più contenuto è il dato per quelle in-terne, +2,2%.

Nonostante la inferiore dinamicità della domanda mondiale nel 2001, la

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voce esportazioni italiane ha chiuso l’annata con uno sviluppo meno debole di quanto previsto: la crescita complessiva sarebbe, secondo Istat, pari al 3,8% e il valore complessivo delle esportazioni avrebbe superato i 267,7 mi-liardi di euro; le importazioni hanno significato esborsi per 257,9 mimi-liardi e il saldo è attivo per 9,815 miliardi di euro, grazie anche alla diminuzione del prezzo del petrolio. Consideriamo che il commercio mondiale nel primo an-no del millennio è cresciuto del 2%. Il settore alimentare ha ottenuto un in-cremento nelle esportazioni del 7%.

Su base annua, la crescita del valore aggiunto realizza lo 0,8%, con au-menti dell’1,4% per i servizi e dello 0,2% per l’agricoltura, mentre l’industria perde lo 0,3%. Nel 2001, l’attività produttiva ha avuto una con-trazione dello 0,6% rispetto al 2000.

Il deficit pubblico relativo al 2001 è stato quantificato pari all’1,4% del PIL, oltre 17,6 miliardi di euro, e quindi al di sopra di quanto concordato con il Progetto di stabilità promosso dall’UE (1,1%). Il PIL come già detto è cre-sciuto in maniera più contenuta del previsto. Viene previsto un aumento del PIL per il 2002 dell’ordine del 2,3%.

Il debito pubblico doveva scendere a chiusura del bilancio 2001 al 107,5% nel suo rapporto con il PIL, mentre invece è stato pari al 109,4%, un aggravio di oltre 11,88 milioni di euro che potrebbe far slittare a dopo il 2004 l’obiettivo di scendere al di sotto del 100%. La pressione fiscale è ri-masta pressoché invariata: dal 42,5% al 42,3%, le entrate complessive sono aumentate del 4,2%, le imposte dirette cresciute del 7,3% e passate così da 170,44 a 180,85 miliardi di euro. Le uscite sono state caratterizzate da un forte aumento, circa il 42%, degli investimenti: da 29,46 a 41,76 miliardi di euro.

L’aumento medio dei prezzi al consumo, nel 2001, è stato pari al 2,4% e si differenzia per i diversi settori: l’alimentare presenta un incremento, il più elevato su base annua, del 4,3% e le bevande si attestano sul +3,7%; al se-condo posto si pone l’aumento dei prezzi relativi al comparto dei pubblici esercizi (+4,0%). L’obiettivo nazionale per il 2002 è di assestare l’anno at-torno al 2%. Il contributo legato alla “riaccensione” dei prezzi, nella fase di adeguamento all’euro, da parte di alberghi, ristoranti e pubblici esercizi è stato notevolissimo.

L’occupazione, secondo i dati Istat, cresce dell’1,7%: 371.000 occupati in più rispetto al gennaio del 2001, il tasso di disoccupazione è ai minimi dal 1992 ed è sceso al di sotto del 9,2%; il Sud migliora sensibilmente la situa-zione passando dal 20,3% al 18,8%. L’occupasitua-zione è aumentata notevol-mente nel settore dei servizi, in particolare nel comparto del commercio, al-berghi e pubblici esercizi e dei servizi alle imprese, decisamente più marcato

è l’inserimento della componente femminile. Anche la disoccupazione gio-vanile tende a contrarsi significativamente: dal 29,2% del gennaio 2001, è un anno dopo, al 28,1%. Secondo i pareri coincidenti espressi da Istat, Ocse e Fmi, si prevede la creazione di 450.000 posti di lavoro nel prossimo bien-nio, un incremento dello 0,4% per il 2002 e dell’1,9% per il 2003; il tasso di disoccupazione dovrebbe scendere così sotto il 9%.

Mentre a livello complessivo la disoccupazione in Italia è in linea con quella della media dell’UE, resta molto contenuta la quota di lavoro a tempo parziale: 9,1% nel nostro paese, contro il 17,7% medio della UE.

Una ricerca mette in evidenza che solamente il 5,5% delle imprese na-zionali esporta, ma che ben il 50% delle imprese manifatturiere è ormai pre-sente sui mercati esteri, dunque circa 250.000 unità che richiedono una forte attività di supporto da parte delle istituzioni.

7.1.2. In Emilia-Romagna

La produzione nell’industria manifatturiera dell’Emilia-Romagna chiude il 2001 con un incremento del 2,2 per cento, limitato rispetto al 6% ottenuto nel 2000. Anche gli ordinativi, su base annua, sono cresciuti dell’1,9% con-tro un +6,7% realizzato nel 2000. Il PIL emiliano-romagnolo dovrebbe rea-lizzare, nel 2002, un incremento compreso tra l’1,2 e l’1,4%.

Anche se lo sviluppo è stato più contenuto che negli ultimi anni, nel 2001 l’Emilia-Romagna è la regione che ha prodotto più ricchezza: confrontando il PIL pro-capite nazionale (facendolo pari a 100 nel 2000) quello emiliano-romagnolo vede il proprio indice totalizzare 131,8.

In termini di occupazione risulta che la regione si colloca con altre quat-tro italiane tra le aree europee con minore disoccupazione: rispetto alla me-dia nazionale 2000, pari al 10,8%, l’Emilia-Romagna sta al di sotto del 4,7%

e la disoccupazione femminile è scesa, sempre nel 2000, al di sotto del 6,5%, anche la giovanile, essendo sotto il 13%, si presenta come tra le mi-gliori situazioni dell’Unione Europea.

Le esportazioni della regione sono cresciute complessivamente, nel corso del 2001, dell’11,5% e l’imprenditoria, al fine di trovare nuovi spazi di cre-scita, mostra sempre più interesse verso paesi potenzialmente importanti come Russia, Cina, Brasile, e il Nord America.

L’artigianato alimentare ha mostrato particolare spinta in controtendenza alla sfavorevole congiuntura internazionale; in particolare nel 2001 l’Emilia-Romagna ha visto aumentare del 2% il numero delle piccole imprese ali-mentari che, con l’esclusione dei soli panificatori, risultano 3.788.

AgriCesena e fiera di Forlì hanno dato inizio ad una collaborazione che

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le vedrà insieme nello sfruttare tutte le sinergie possibili al fine di migliorare la funzionalità e ottimizzare i risultati: le due Società per azioni hanno fattu-rati rispettivamente pari a 1,7 e 1,65 milioni di euro realizzati grazie a 14 manifestazioni la prima e 12 la seconda. Agri Cesena organizza MacFrut e Fiera di Forlì Fieravicola.

La Fiera di Rimini, con un fatturato di 27,9 milioni di euro, un incremen-to di oltre 20 punti percentuali rispetincremen-to al 2000, attende la trasformazione in Società per azioni anche al fine di creare una fattiva collaborazione con Fie-ra di Bologna. Le previsioni di fattuFie-rato 2002 di questo ente che si sta proiet-tando sempre più verso iniziative internazionali – collabora con partner ar-gentini per la realizzazione del Fithep in Brasile e organizzerà, con la statu-nitense DBC, Expo Ittico Mediterranean Seafood nell’ambito della Mostra internazionale dell’Alimentazione – sono di forte crescita, pari a circa 45 mi-lioni di euro.

L’attività fieristica regionale si organizza e un primo esempio consiste in FairSystem, specializzata nella realizzazione di fiere all’estero, che vede coinvolte Bologna, Parma e Rimini; ma potrebbe prendere corpo un vero e proprio circuito fieristico regionale, coordinato e organizzato al fine di sfrut-tare al meglio risorse e sinergie. Se ci riferiamo alle sedi di Piacenza, Parma, Bologna e Rimini, nel 2000, abbiamo 578.000 mq di superficie espositiva, 110 eventi fieristici, 4,5 milioni di visitatori e un fatturato complessivo di circa 110 milioni di euro.

La regione Emilia-Romagna finanzierà con oltre 12 milioni di euro, da distribuirsi in 6 anni, il rilancio dell’acquacoltura, fornirà una guida per con-sentire agli operatori di muoversi correttamente nell’accesso ai diversi finan-ziamenti e un marchio di qualità controllata per i prodotti del comparto.

Il comparto nazionale occupa oltre 80.000 addetti diretti e 40.000 di in-dotto e nel 2001 ha realizzato uno sviluppo quantificabile nel 15-20% delle vendite – nel 2000 il valore dei consumi si è attestato sui 5,8 miliardi di euro –, soprattutto come conseguenza della BSE, effetto che potrebbe stemperarsi con la normalizzazione dell’emergenza, ma che trarrebbe di certo una spinta positiva se arriverà a beneficiare del supporto delle garanzie di provenienza, che darebbe al comparto un marchio di tutela.

La provincia di Parma, nonostante la crisi evidente, realizza un incremen-to del PIL, per il 2001, pari al 6%, raggiungendo i 7,8 miliardi di euro.

Questo andamento particolarmente positivo si lega alla sostanziale tenuta del settore lattiero-caseario, alla notevole crescita di quello della pasta e dei prodotti da forno, delle conserve vegetali e all’aumento, assolutamente inat-teso soprattutto in relazione alle recenti disavventure del settore, delle attivi-tà di trasformazione delle carni.

Da un’indagine pubblicata dalla Borsa Italiana risulta che in Italia vi sia-no 201 imprese appartenenti al settore alimentare potenzialmente quotabili in borsa, delle quali 65 ubicate nel Centro-Nord e 46 in Emilia-Romagna:

poco meno di 25 miliardi di euro di fatturato, di cui il 30% concentrato in un’unica regione, e poco meno di 80.000 occupati anche in questo caso per oltre il 32% in Emilia-Romagna. Le imprese alimentari che troviamo quotate in Borsa sono veramente un numero molto limitato e la presenza tra queste di Parmalat e di Cremonini consente alla Regione di essere quella maggior-mente rappresentata.

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