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La contabilità delle regioni: profili generali

La Costituzione non contiene indicazioni sul bilancio e la

contabilità delle regioni, se si escludono le norme relative al con-

trollo ed alla giurisdizione contabile. È quindi un problema reale

quello dell’applicabilità dei principi costituzionali che regolano la

gestione finanziaria dello Stato, ma è chiaro che al legislatore

ordinario è lasciata ampia discrezionalità nel disciplinare altri

aspetti del sistema contabile regionale (

38

).

1.

Un punto sul quale si è registrata unanimità di consensi,

riguarda l’obbligo per le regioni di predisporre un bilancio preven-

tivo finanziario; analoga conclusione può essere avanzata per l’ob-

bligo di seguire il sistema ed il procedimento adottati per il bilancio

dello Stato (

39

).

L’espressione bilancio preventivo e la relativa posizione di

autonomia affinché divenga giuridicamente pregnante non basta

riferirla ad una previsione di entrate e spese, ma è inoltre necessa-

rio che da questa previsione discendano conseguenze significative

sul piano giuridico, cioè che essa sia vincolante per il soggetto cui si

riferisce e per altri soggetti dell’ordinamento. Implica, cioè, l’esi-

stenza di una possibilità di scelta tra diversi fini pubblici da perse-

guire, per limitare le situazioni giuridiche di altri soggetti; in sintesi,

(38) La Corte costituzionale con la sent. n. 32 del 9 giugno 1961 ha chiarito « che non è consentito in via generale di estendere alle Regioni le norme costitu- zionali dell’ordinamento dello Stato, che non costituiscono applicazione di principi generali ». Si veda, sul punto, l’interessante lavoro di S. BARTOLE, La revisione

costituzionale dell’ordinamento regionale, in Amministrare, 1992, XXII, 331-40.

(39) Cfr., S. BUSCEMA, Bilancio delle regioni, in Enciclopedia del diritto, Vol. V, Giuffrè, Milano, 1979; C. AUSIELLOORLANDO, Rilievi sui poteri e sul bilancio

implica l’esistenza di autonomia politico-amministrativa. Queste

caratteristiche evidentemente si riscontrano soltanto per lo Stato e

per gli enti pubblici territoriali (

40

).

3.

Ciò che non è risultato subito chiaro era, invece, l’artico-

lazione concreta del procedimento di gestione, tra i vari modelli che

il diritto positivo conosce (quello tipico dello Stato, ad esempio, o

quello proprio degli enti minori). Ma è un problema che le regioni

ordinarie avevano risolto recependo quasi del tutto le disposizioni

costituzionali che concernono il bilancio dello Stato e con un

generale assoggettamento dei bilanci preventivi e degli altri stru-

menti di gestione agli istituti primari della programmazione regio-

nale e cioè al programma e ai piani di spesa pluriennale, come

afferma la dottrina (

41

).

4.

Altro problema è quello degli effetti della legge di pro-

grammazione o, in generale, delle norme statali sui bilanci regio-

nali. Si è osservato, al riguardo, che la particolare situazione dei

bilanci regionali, che è conseguente alla presenza di una autonomia

legislativa già impostata, non permette alle norme statali sulla

programmazione nazionale di esplicare effetti in forma diretta sui

bilanci delle regioni (

42

); questa regola vale sia per le regioni che

hanno competenza legislativa concorrente, sia per quelle che hanno

competenza esclusiva, in quanto il bilancio è strumentale all’eser-

(40) S. VALENTINI, Autonomia..., cit., 646 ss. « Se assumiamo di chiamare bilancio preventivo un piano periodico delle entrate e delle spese, vincolante per i soggetti cui si riferisce (e che lo appronta) e per gli altri soggetti dell’ordina- mento, ci accorgiamo facilmente che esso è proprio, oltre che dello Stato, di un solo tipo di enti pubblici: quelli preposti alla cura di interessi generali, cioè gli enti territoriali ». Solo in questo ambito i due concetti di autonomia finanziaria ed autonomia contabile coesistono, « fino a rischiare di identificarsi in quanto espres- sione (...) della stessa, fondamentale posizione organizzatoria: l’autonomia politico-amministrativa ». È dunque dall’autonomia politico-amministrativa che la Costituzione sembra far discendere per le regioni l’obbligo del bilancio preventivo « che valga ad identificare le scelte operate dagli organi competenti dell’ente tra le varie possibili e racchiudere in termini finanziari l’attività amministrativa che la regione porrà in essere nel periodo di competenza », 648-649.

(41) G.C. MORETTI, Principi..., cit., 299. Tuttavia « la voluta coincidenza terminologica delle varie fasi del procedimento di gestione non riesce a nascon- dere una spesso sostanziale diversità dei fenomeni registrati rispetto al paradigma dal quale mostrano di aver preso le mosse », 297.

cizio dell’attività amministrativa che non ammette competenza

concorrente fra Stato e regioni.

Questa conclusione è ancora più immediata quando l’organo

di vertice dell’ente (come accade per le regioni) è dotato del potere

legislativo, determinando così un rapporto, tra norme sostanziali e

bilancio, analogo a quello che si stabilisce nello Stato (

43

).

Con queste premesse è più chiara allora la differenza con le

spese sostenute dagli enti pubblici; generalmente questi ultimi

dispongono le rispettive spese e sviluppano la relativa gestione sulla

base di un complesso normativo che è sovraordinato ed esterno alla

sfera delle loro capacità.

Di conseguenza se la gestione del bilancio regionale è subor-

dinata all’annuale approvazione del documento, è anche svolta

all’insegna del suo complesso normativo, di modo che le norme

sostanziali di ordine superiore, cioè dello Stato, non consentano la

possibilità di erogare spese a carico del bilancio regionale, se non

siano a ciò abilitate dalle apposite norme di attuazione ovvero da

leggi regionali (

44

).

D’altronde le problematiche che investono la gestione del

bilancio regionale si avvicinano più a quelle del bilancio dello Stato

che a quelle degli enti territoriali; lo stesso rapporto tra Giunta e

Consiglio regionale accenna molto al rapporto che intercorre tra

Governo e Parlamento nazionale.

5.

Anche la legge n. 281 del 1970 segnalava alcuni principi

che orientavano la contabilità regionale verso quella dello Stato.

L’art. 20 al comma 1 stabiliva che, con decreto presidenziale,

fossero emanate norme sulla redazione dei bilanci delle regioni in

funzione del coordinamento contabile con il sistema di classifica-

(43) S. BUSCEMA, Trattato..., cit., Vol. I, equipara alle norme sostanziali le norme di attuazione e quelle sul coordinamento finanziario. In particolare per le norme sul coordinamento statico osserva che trattasi « di norme permanenti le quali — analogamente alle norme di attuazione — vincolano il legislatore regio- nale e trovano quindi piena attuazione nell’ambito regionale », 204.

(44) S. BUSCEMA, Trattato..., cit., Vol. III, 285-286. Anche per l’erogazione di spese a carico del bilancio regionale occorrono « una norma sostanziale che, autorizzando l’erogazione della spesa, si pone come causa giuridica della stessa, nonché uno stanziamento in bilancio che costituisce lo strumento giuridico per la sua erogazione », 286.

zione delle entrate e delle spese previsto dalla legge 1

o

marzo 1964,

n. 62 (

45

).

Acquisita la competenza delle regioni a regolare con proprie

leggi l’ordinamento contabile, si è posto il problema del termine

iniziale di esercizio della relativa potestà, essendo stabilito che,

« fino a quando leggi della Repubblica non provvederanno diver-

samente, si osservano le norme sull’amministrazione del patrimo-

nio e della contabilità dello Stato, in quanto applicabili » (art. 20,

comma 3).

Più in linea con gli orientamenti in tema di autonomia nor-

mativa in materia contabile è sembrata la soluzione dell’immediata

competenza dei legislatori regionali nel dettare norme in materia

contabile; soluzione avanzata alla luce di provvedimenti come il

D.P.R. 3 dicembre 1970, n. 1171, che avevano già tentato un

principio di coordinamento contabile, e promossa dalla evidente

inapplicabilità della normativa contabile dello Stato alle esigenze di

un coordinamento del tutto nuove e diverse dalle precedenti.

La regola posta dal comma 3 dell’art. 20 si prefiggeva quindi

soltanto di evitare che le regioni cominciassero a legiferare, osser-

vando principi contabili non più adatti alle loro necessità e così

riservando a leggi della Repubblica, nei limiti della competenza

legislativa ripartita, la facoltà di stabilire i principi fondamentali

della materia. L’esperienza concreta ha poi segnalato che nessuna

(45) Sui dubbi di costituzionalità dell’art. 20 della legge « 281 » cfr. F. BASSANINI, V. ONIDA, Gli statuti..., cit., 52 ss. « L’art. 20 può (...) essere interpretato nel senso che le leggi della Repubblica cui esso fa riferimento sono le leggi cui spetta stabilire i principi fondamentali in materia di contabilità regionale, ai sensi dell’art. 117 (vecchio testo) Cost., ferma restando la potestà della Regione di dettare ulteriori norme con proprie leggi; e che le norme vigenti sulla contabilità dello Stato si estendono alle Regioni solo fino a quando queste non abbiano diversamente provveduto, in armonia a loro volta con i principi stabiliti da leggi della Repubblica ». Premesso « che la materia dei bilanci e della contabilità regionale si colloca prevalentemente nell’ambito della potestà statutaria e legisla- tiva delle Regioni », « l’intervento statale non può che esercitarsi per il tramite degli strumenti ad esso riservati dall’ordinamento generale ». Per questo motivo non si « vede come possa essere ritenuta compatibile con il sistema disegnato dalla Costituzione l’abdicazione alla funzione di coordinamento percepibile nella legge » e « che è pur sempre dato osservare che la materia dei bilanci e delle regole generali della pubblica contabilità appaiono sottratte in linea di principio al potere regolamentare del Governo e riservate all’atto legislativo formale di grado pri- mario », G.C. MORETTI, Considerazioni..., cit., 515 ss.

regione, pur avendone teoricamente la possibilità, ha allestito

un proprio impianto contabile prima della legge n. 335 del 1976.