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4.5 La fase patologica del patto di famiglia

4.5.3 La devoluzione delle controversie agli organismi di conciliazione

A completamento della disciplina del nuovo istituto, il legislatore ha introdotto l’art. 768-octies c.c. il quale prevede che le controversie derivanti dalla disposizioni del Capo V-bis siano “devolute preliminarmente a uno degli organismi di conciliazione

previsti dall’art. 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5”. Il

legislatore ha evidentemente imposto il preventivo esperimento della conciliazione stragiudiziale allo scopo di alleggerire il carico delle controversie in materia successoria che grava sulle spalle della giustizia civile italiana. Alternativa alla giustizia pubblica, la conciliazione stragiudiziale ha il vantaggio di offrire un metodo di composizione delle liti in cui attore principale è un soggetto esperto e terzo rispetto agli interessi in gioco, il cui compito è quello di attenuare la reciproca diffidenza di una parte verso l’altra al fine di addivenire ad un accordo condiviso e risolutivo della controversia. Gli organismi di conciliazione di cui alla disposizione richiamata dall’art. 768-octies c.c. sono organismi deputati a gestire un tentativo di conciliazione in relazione a procedimenti in materia di diritto societario (e simili), necessariamente iscritti in un apposito registro tenuto dal Ministero

350 Mi affianco all’orientamento proposto da Aa. Vv., Il patto di famiglia, a cura di

G. Palermo, G. Giappichelli Editore, 2009, p. 240, in quanto maggiormente rispondente “ad un’esigenza di riduzione dei costi transattivi collegati al concreto dispiegarsi degli interessi sottesi al patto di famiglia”.

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della Giustizia, e in possesso dei requisiti di serietà ed efficienza prescritti dalla legge351.

L’articolo in esame istituisce un tentativo di conciliazione stragiudiziale, preventivo e obbligatorio352. Ne consegue che prima di poter adire il giudice le parti dovranno rivolgersi necessariamente ad uno dei suddetti organismi e, solo in caso di esito negativo, potranno demandare la risoluzione della lite alla giustizia ordinaria. Si tratta di obbligo che opera ex lege, cioè anche in assenza di un’apposita clausola contrattuale che devolva la questioni agli organismi di cui all’art. 38 del decreto; perciò, il giudice, che in prima udienza si renda conto del mancato esperimento del tentativo obbligatorio, dovrà sospendere il processo invitando le parti a rivolgersi agli organismi sopra menzionati353. Nonostante la fattispecie della conciliazione operi obbligatoriamente anche senza apposita previsione negoziale, sembra, in ogni caso, opportuno l’inserimento di una clausola di conciliazione al fine di stabilire, nel silenzio della legge, quale sia l’organismo di conciliazione competente: infatti, se non si vuole tradire la ratio della norma, che è quella di evitare il ricorso al giudice ordinario, non è possibile sostenere che sia quest’ultimo il soggetto deputato a individuare tale organismo354.

351 G. Oberto, Il patto di famiglia, CEDAM, 2006, p. 135. Oltre alle controversie di

ambito societario, la legge stabilisce la competenza di questi organismi a risolvere controversie relative a strumenti finanziari e quelle dei settori bancario e assicurativo.

352 Sul carattere obbligatorio del tentativo di conciliazione confronta la differente

opinione di N. Di Mauro, E. Minervini, V. Verdicchio, Il patto di famiglia. Commentario alla Legge 14 febbraio 2006, n. 55, Giuffré 2006, p. 189

353 Così B. Inzitari, Il patto di famiglia: negoziabilità del diritto successorio con la

legge 14 febbraio 2006, n.55, G. Giappichelli Editore, 2006, p. 263; contra G. Oberto, Il patto di famiglia, CEDAM, 2006, p. 137, il quale ritiene che il mancato tentativo obbligatorio debba essere rilevato su istanza della parte interessata. Concordo invece col primo autore citato che la ritiene un eccezione in senso lato, cioè rilevabile anche dal giudice.

354 Così G. Petrelli, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv. notariato,

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Al termine del procedimento di conciliazione, potrà accadere che le parti non siano arrivate ad risolvere la lite, e quindi potranno adire la giustizia ordinaria, oppure che abbiano trovato un accordo e non si renda necessario rivolgersi al giudice civile. In quest’ultima ipotesi verrà redatto un processo verbale che, previo accertamento della regolarità formale, sarà oggetto di omologazione da parte del tribunale nel cui circondario ha sede l’organismo di conciliazione, che attribuisce all’atto l’efficacia di titolo per l’ipoteca giudiziale e di titolo esecutivo per l’esecuzione forzata355.

Piuttosto che soffermarsi sulla questione della legittimità costituzionale di una previsione che limiti l’accesso alla giustizia ordinaria356, merita osservare come la scelta del legislatore di attribuire la risoluzione delle controversie relative al patto di famiglia, che è un ambito estremamente tecnico del diritto successorio (ma anche contrattuale e familiare), a organi di conciliazione propri del settore commerciale e societario, non sia probabilmente la soluzione migliore. Per garantire decisioni qualitativamente accettabili sarebbe opportuno l’inserimento di clausole compromissorie che demandino la risoluzione a collegi arbitrali a composizione notarile (possibile però solo dopo il fallito tentativo di risolvere la lite attraverso conciliazione)357.

Nessun dubbio, infine, circa il rito da seguire in caso di insuccesso del tentativo di conciliazione: nel silenzio della norma si ritiene applicabile l’art. 1, lett. B) del d. lgs. 4/2003 in base al quale verranno utilizzate le norme del processo societario nel caso il patto

ricostruzione mancando al giudice un fondamento legislativo che gli attribuisca tale potere.

355 G. Oberto, Il patto di famiglia, CEDAM, 2006, p. 137 e ss.

356 Per il quale si può vedere G. Oberto, Il patto di famiglia, CEDAM, 2006, p. 136

357 F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile Commentario, P. Schlesinger – D.

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abbia per oggetto il trasferimento di partecipazioni societarie, mentre si seguirà il processo ordinario di cognizione nel caso in cui venga trasferita in tutto o in parte l’azienda dell’ascendente358.

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5. Gli altri strumenti di trasmissione dell’impresa

Abbiamo visto come la l. 14 febbraio 2006, n. 55 abbia predisposto un meccanismo idoneo ad attuare il trasferimento dell’impresa nei confronti dei discendenti dell’imprenditore, senza che i legittimari esclusi possano, in futuro, mettere in discussione l’assetto di interessi così realizzato ostacolando la continuità e la produttività del complesso aziendale.

Come già emerso all’inizio della trattazione, la realtà imprenditoriale italiana, al pari di quella mondiale, è contraddistinta da un assoluta prevalenza delle imprese a carattere familiare: nel nostro paese sono presenti 6 milioni d’imprese (di cui il 98% sono composte da meno di 20 dipendenti) e ben il 92% sono imprese familiari (ovvero circa 5,5 milioni). Il dato più significativo è che 42 delle prime 100 imprese italiane sono familiari359. Da questi dati risulta evidente la necessità di salvaguardare il cd. family business, che rappresenta il fondamento dell’apparato produttivo italiano, evitando che la disgregazione delle aziende abbia luogo per motivi non inerenti le scelte organizzative e gestionali, come è il passaggio generazionale dell’impresa. Il legislatore, sulla scorta di questa sentita e crescente esigenza di proteggere le basi dell’economia nazionale, è intervenuto introducendo nel nostro ordinamento un contratto che permetta di attuare quell’inevitabile e spesso farraginoso ricambio generazionale attraverso un programma concordato e finalizzato ad evitare possibili conflitti interni alla compagine familiare.

Il tessuto normativo antecedente all’introduzione della normativa recante la disciplina del patto di famiglia non garantiva un avvicendamento stabile nella titolarità dei beni produttivi. Tuttavia, la consapevolezza che il successo dei processi di ricambio generazionale

359 M. Pannelli, “Cambio generazionale: i piani di risanamento”, in: PMI, Ipsoa,

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rappresenti certamente un aspetto fondamentale per l’evoluzione e lo sviluppo delle imprese familiari, aveva indotto gli operatori del diritto ad escogitare dei meccanismi, spesso anche complessi, che permettessero di favorire il più possibile la continuità aziendale anche a seguito del passaggio di mano. Può essere interessante quindi procedere ad un’analisi degli strumenti, alternativi al testamento, che venivano utilizzati prima dell’introduzione del patto di famiglia e, attraverso un confronto con esso, tentare di mettere in luce quelli che sono i pro e contro dell’utilizzo di questo strumentario giuridico di cui può avvalersi l’imprenditore una volta giunto il momento di cedere le redini della propria attività economica. Sicuramente l’istituto da ultimo menzionato si rivela difficilmente conciliabile con le esigenze sottese alla trasmissione aziendale. Il testamento è un atto a causa di morte per cui, dato che l’effetto traslativo si verifica solo con l’apertura della successione, lungi dall’essere istituto in grado di agevolare il passaggio generazionale, è, al contrario, l’emblema della macchinosità che caratterizza il nostro sistema successorio, un sistema che, in nome della tutela dei legittimari, pone onerosi limiti alla facoltà dell’imprenditore di decidere subito chi e in che modo debba continuare l’impresa360.

Fra gli istituti negoziali idonei a porre in essere un ben definito assetto di interessi di natura patrimoniale in tempi anticipati rispetto all'evento dell'apertura della successione, probabilmente il più comune e frequente nella prassi è quello della donazione. L’imprenditore, al fine di evitare future rivendicazioni da parte dei legittimari, poneva in essere un “fascio” di donazioni nei confronti di ciascuno di questi

360 In questo senso, Aa. Vv., Il patto di famiglia, a cura di U. La Porta, UTET, 2007,

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soggetti, tra le quali figurava anche la donazione avente per oggetto l’impresa in favore del discendente prescelto361.

Tale soluzione, invero, non appare molto appagante per varie ragioni. In primo luogo, per il disponente si rendeva necessario reperire nel proprio patrimonio beni di valore sufficiente a tacitare le quote di riserva dei legittimari: cosa non semplice se, come spesso accade, gran parte del patrimonio è costituito proprio dall’impresa che si intende trasferire. In secondo e più importante luogo, un’operazione così congeniata non sarebbe stata idonea ad scongiurare la possibilità di esperire l’azione di riduzione a causa della mancata cristallizzazione dei beni donati al momento del passaggio di titolarità. Infatti, eventuali lesioni della quota di legittima debbono essere calcolate con riferimento al valore che i beni donati hanno al momento dell’apertura della successione dell’imprenditore, e non a quello posseduto all’atto del trasferimento. Pertanto, se medio tempore l’azienda avesse assunto un valore maggiore rispetto a quello che aveva al momento della donazione, tale incremento (merito, verosimilmente, della capacità gestionali e professionali del figlio donatario dell’impresa) avrebbe potuto determinare una lesione dei diritti di riserva degli altri legittimari, i quali ritornavano ad essere titolari del potere di utilizzare il rimedio dell’azione di riduzione362. Viceversa, questa eventualità è

neutralizzata dalla disciplina del patto di famiglia poiché la valutazione in ordine ai beni oggetto del trasferimento avviene al momento della stipula ed è definitiva, così impedendo che successive variazioni possano incidere sul valore dell’azienda o delle partecipazioni sociali. Inoltre, l’esonero da collazione e riduzione stabilito dal 4° comma

361 M. C. Lupetti, Il finanziamento dell’operazione: family buy out, in Aa. Vv., Patti

di famiglia per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2006

362 Ancora M. C. Lupetti, Il finanziamento dell’operazione: family buy out, in Aa.

Vv., Patti di famiglia per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2006

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dell’art. 768-quater c.c. chiude il cerchio evitando future rivendicazioni da parte dei legittimari contraenti.

A ben vedere, non è questo l’unico modo utilizzato nella pratica, in particolare quella notarile, di attuare il trasferimento dell’impresa mediante donazione. Difatti, è possibile che ciò avvenga mediante la stipula di un atto contenente sia una donazione che una compravendita. L’ipotesi è quella dell’imprenditore che, una volta scelto il discendente più dotato per continuare l’azienda familiare, ricorra ad una donazione dell'azienda in quote indivise a favore di tutti i legittimari esistenti, i quali contestualmente procedono alla vendita delle quote loro donate al discendente prescelto. È evidente, all’interno di tale operazione, il ruolo dominante rappresentato dall’imprenditore, al quale è dato non solo scegliere autonomamente quale sia il soggetto più incline a proseguire l’attività d’impresa, ma anche il potere di determinare insindacabilmente il valore dell’azienda e, di conseguenza, il prezzo di vendita delle singole quote.

L’idoneità di tale artifizio giuridico a realizzare un trasferimento stabile del complesso aziendale è presto ridimensionata da alcune decisive critiche che possono essere mosse contro di esso. La bontà di questo atto negoziale è infatti subordinata alla mancata sopravvenienza di legittimari al momento dell’apertura della successione del donante. Se fra la stipula dell’atto e la morte dell’imprenditore dovessero palesarsi nuovi legittimari (si pensi al caso di nuove nozze del disponente, alla nascita o al riconoscimento di figli, ecc.), è chiaro che le donazioni di identico valore precedentemente effettuate -in modo tale da non incidere la legittima di alcuno- dovranno essere riviste proprio per la presenza di nuovi soggetti legati al de cuius da vincoli di stretta parentela. In tale ipotesi, l’esperimento da parte di costoro dei rimedi posti a tutela dei legittimari finirebbe per vanificare la complessa operazione precedentemente realizzata.

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Dal confronto con la disciplina del patto di famiglia, emerge come tale problema, in virtù del disposto dell’art. 768-sexies c.c., non possa mai venire in essere. La norma, infatti, esclude che la sopravvenienza di legittimari al momento dell’apertura della successione dell’imprenditore possa mettere in discussione il trasferimento dell’azienda o delle quote sociali. Ai nuovi legittimari è attribuito, in luogo della quota di legittima, un mero diritto di credito, corredato dei dovuti interessi, nei confronti di coloro che abbiano beneficiato della conclusione del patto di famiglia e precludendo loro il potere di avvalersi della collazione e dell’azione di riduzione363.