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2.1. Il divieto di patti successor

2.1.1 Segue Gli elementi accidentali del patto di famiglia

Qualunque delle tre suddette ricostruzioni l’interprete ritenga di seguire, il dato comune è rappresentato dal fatto che il trasferimento dei beni produttivi venga realizzato istantaneamente con la stipulazione del contratto. Non si è tenuto finora conto dei possibili esiti prospettabili nel caso in cui l’esplicarsi della volontà negoziale delle parti dia luogo ad un contratto con effetti differiti nel tempo. Riprendendo un argomento appena accennato a inizio paragrafo, mi accingo adesso a analizzare come l’autonomia privata possa in qualche modo modificare le suddette affermazioni in ordine alla qualità di atto

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inter vivos del patto di famiglia tramite l’inserimento nel contratto di

elementi accidentali.

Avendo il legislatore espressamente qualificato il patto di famiglia alla stregua di un contratto, è evidente come le parti possano influire sul suo contenuto dando vita sia ad un contratto ad efficacia immediata sia ad un contratto ad efficacia differita al momento della morte dell'imprenditore (ovvero ad un momento precedente)105. In effetti, la terminologia usata nel disciplinare l’art. 768-bis c.c. non preclude tale possibilità: fermo restando il rispetto dei limiti legali imposti dall’ordinamento, si rende possibile realizzare un atto negoziale con effetti differiti nel tempo che disponga della successione di taluno. Il problema è quello di verificare, volta per volta, la compatibilità di queste pattuizioni accessorie non solo con la disciplina del patto di famiglia, ma anche con il suo profilo causale nel senso di realizzare la funzione economico-sociale che l’operazione riveste e che potrebbe essere alterata dalla presenza di clausole accidentali funzionalmente incompatibili con l’assetto d’interessi ricercato dalle parti con la stipulazione del patto106.

105 L. Balestra, Il patto di famiglia a un anno dalla sua Introduzione, in Riv. trim. dir.

proc. civ., fasc.3, 2007, pag. 727 e ss.

106 Correttamente F. Volpe ,L'uso delle pattuizioni accessorie nel patto di famiglia, in

Contratto e impresa, 2014, p. 503 e ss., il quale non afferma una compatibilità sempre e comunque degli elementi accidentali del contratto con la disciplina della Capo V-bis ma ritiene opportuno vagliare di volta in volta la conformità di tale inserimento con il profilo causale del patto. Si legge nell’opera dell’autore: “Se lo spirito della legge è di garantire attraverso la nuova disciplina del patto di famiglia, il profilo, invero cruciale, del passaggio generazionale dell’impresa -nel delicato rapporto tra le obiettive istanze di continuità ed efficienza nella gestione del bene produttivo, da un lato, e le esigenze di tutela delle ragioni dei legittimari, coinvolte nella vicenda traslativa dell’azienda familiare, per altro verso- ne consegue che il regolamento d’interessi può tollerare l’inserimento nel contratto di elementi accidentali, purché il trasferimento del complesso produttivo realizzi quella stabilità

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Ragionando in questi termini, si rende necessario che alcune delle precedenti affermazioni in tema di valore del trasferimento e di diritto alla liquidazione della quota debbano essere necessariamente riviste. Con riguardo al trasferimento, è evidente che questo non avrà luogo nel momento stesso della stipulazione del patto ma successivamente, cioè quando si realizzerà la condizione sospensiva o sarà decorso il termine. Se l’effetto traslativo si verifica in un momento successivo a quello della conclusione del patto allora sarà opportuno che anche la determinazione del valore dei beni oggetto del trasferimento venga stabilito solo in quel momento. A tal fine, il patto potrà indicare i criteri per la determinazione del valore dei beni al momento del trasferimento oppure stabilire che tale determinazione sia affidata a un terzo (in tal caso il patto dovrà menzionare i criteri per la nomina dell’esperto). Quanto alla liquidazione dovuta ai legittimari non assegnatari, costoro non potranno esigere immediatamente la loro quota di legittima se il contratto non produce effetti immediati in ordine al trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie: dovranno necessariamente attendere il momento in cui si realizzerà la condizione o sarà decorso il termine, non essendo prospettabile che, a fronte di un differimento dell'efficacia traslativa del patto circa i beni dell’impresa, i non assegnatari possano fin da subito pretendere la liquidazione della quota107.

dell’attribuzione che è alla base del patto di famiglia, e che permette di distinguere la figura in esame dagli altri istituti alternativi di trasmissione della ricchezza familiare. […] nessun ostacolo si pone alla previsione di una serie di condizioni, capaci di influenzare la produzione degli effetti sotto l’aspetto sia a) del profilo del trasferimento del complesso aziendale; sia in relazione all’aspetto b) della tacitazione delle ragioni dei legittimari non assegnatari”.

107 L. Balestra, Il patto di famiglia a un anno dalla sua Introduzione, in Riv. trim. dir.

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Parte della dottrina108 ha riconosciuto nel patto di famiglia sottoposto al termine iniziale cum moriar o alla condizione sospensiva

si praemoriar l’esistenza di un atto mortis causa. Qualora gli effetti del

patto di famiglia siano sottopostial termine iniziale coincidente con la morte del disponente o alla condizione sospensiva di premorienza del medesimo, il profilo causale del contratto verrebbe inevitabilmente a colorarsi dell’evento morte del disponente. Che il patto di famiglia così configurato diventi atto mortis causa è dimostrato dalla conformità dei suoi caratteri a quelli ritenuti rilevanti nella definizione di atto mortis

causa, ovvero il fatto che l’entità dell’oggetto del trasferimento e la

persona del beneficiario sono presi in considerazione al momento della morte109. Infatti, da un lato, l’oggetto dell’attribuzione, vale a dire l'azienda, non viene in considerazione così come esso si configura al momento del patto, ma necessariamente al tempo della morte del disponente, posto che l'azienda è bene strumentale per l'esercizio dell'attività d'impresa e che, nel tempo intercorrente tra la stipula del patto e la morte del disponente, essa continuerà ad essere impiegata dall'originario imprenditore per lo svolgimento dell'anzidetta attività. Dall’altro, se obiettivo del patto è quello di eleggere quello che tra i discendenti appare il più capace a proseguire l’attività d’impresa, si noti come, nel caso di premorienza del discendente designato, il patto di famiglia con termine iniziale coincidente con la morte del

108 L. Balestra, Il patto di famiglia a un anno dalla sua Introduzione, in Riv. trim. dir.

proc. civ., fasc.3, 2007, pag. 727 e ss.

109 Così G. Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una

teoria dell’atto di ultima volontà, Milano, 1954, p. 42, per il quale, nel definire le caratteristiche degli atti a causa di morte, è rilevante "la considerazione dell'oggetto dell'attribuzione come entità commisurata in tutti i suoi elementi (esistenza, consistenza e modo di essere) al tempo della morte dell'attribuente, e la considerazione della persona del beneficiario come esistente in quello stesso momento".

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disponente o sottoposto alla condizione sospensiva di premorienza del medesimo non sia in grado di svolgere la propria funzione.

Dunque, condizionare l’efficacia del contratto al venir meno del disponente determina una rilevante modifica nella struttura del patto che da atto inter vivos con effetti traslativi immediati diventa atto a causa di morte con effetti che inizieranno a decorrere soltanto nel momento della morte dell’imprenditore. Ne deriva che il patto di famiglia verrebbe a configurarsi allo stesso modo di un patto successorio (istitutivo) idoneo a essere ricompreso nel relativo divieto di cui all’art.458 c.c. ma eccezionalmente ammesso in virtù dell’inciso iniziale della norma medesima.

Non mi sembra che la causa dell’istituto sia stravolta solamente per il fatto che il termine di efficacia sia fatto coincidere con la morte del disponente: lo scopo di trasmettere l’azienda scegliendo quello che fra i discendenti dell’imprenditore appare il più capace viene raggiunto ugualmente, anche se in momento successivo rispetto a quello in cui le parti raggiungono l’accordo. Resta chiaramente inteso che, alla stregua di quanto osservato, il patto di famiglia non è di per sé un atto mortis

causa; più semplicemente esso può strutturarsi, in virtù dell'esplicazione dell'autonomia negoziale, sia come atto inter vivos sia come atto mortis causa, potendosi quest'ultima ipotesi verificarsi ogniqualvolta le parti abbiano stabilito che il termine iniziale di efficacia debba coincidere con la morte del disponente.

Seguendo tale impostazione ritengo che si possa arrivare a scorgere nel patto, seppur attraverso l’estrinsecarsi dell’autonomia contrattuale, un atto mortis causa con la conseguenza che la deroga operata all’art. 458 c.c. non ha più bisogno di giustificarsi negli atti di disposizione o di rinuncia alla quota di liquidazione né, tanto meno, in un eccessivo timore del legislatore nel derogare una delle colonne portanti del nostro diritto successorio, ma trova la propria ragion

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d’essere proprio nell’art. 768-bis c.c., il quale, per la sua ampia formulazione, apre la strada a diverse configurazioni del patto, tra cui quella di patto successorio mortis causa. Il legislatore avrebbe forse pensato che il diverso modo di atteggiarsi dell’autonomia privata in un contratto con un oggetto e finalità così particolari avrebbe potuto portare alla nascita di un contratto parzialmente diverso da quello tratteggiato dalla riforma, in cui la morte diventava il fattore determinante l’operatività del trasferimento, e fosse, quindi, stato necessario garantire la validità del patto in ogni sua possibile conformazione giuridica. Così ricostruendo, la deroga al divieto di patti successori trova una sua spiegazione lineare in grado di eliminare sia il problema di stabilire se la deroga si riferisca solo al primo o anche al secondo periodo dell’art. 458 c.c., sia la contraddizione di non trovare nella disciplina degli artt. 768-bis e ss. un patto successorio, nonostante l’esplicito rinvio dell’art. 458 c.c.110.

Minori problemi di compatibilità pone l’apposizione di clausole condizionali diverse dalla morte del disponente. Vediamo alcuni casi.

Sicuramente ammissibile e coerente con il profilo causale del patto è apposizione di una clausola condizionale che preveda la preventiva liquidazione delle ragioni dei legittimari non assegnatari rispetto al trasferimento del complesso produttivo. Essendo la definitiva tacitazione delle pretese dei legittimari elemento imprescindibile della disciplina in commento, è pacifico come

110 Ricordo che per sostenere la tesi secondo cui il patto di famiglia da luogo a patti

successori dispositivi o rinunciativi ex art. 768-quater, 2° comma, c.c. sia necessario riferire l’inciso anche al secondo periodo dell’art. 458 c.c. (questione su cui non tutti i commentatori della legge sono d’accordo), mentre, se si ritiene che il patto di famiglia non dia luogo ad alcun patto successorio vietato, la giustificazione (a mio parere non sufficiente) della deroga andrebbe ricercata nella smodata preoccupazione del legislatore di salvaguardare la validità di un negozio al confine con la categoria dei patti successori.

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l’introduzione di una clausola di tal genere sia perfettamente valida e in grado di rafforzare la posizione dei non assegnatari verso eventuali inadempimenti perpetrati dal o dai beneficiari del patto nei loro confronti: sottoponendo l’efficacia traslativa del patto alla previa liquidazione dei diritti dei non assegnatari, questi ultimi si assicurano che il patto non darà luogo a sperequazioni determinate dal mancato adempimento degli obblighi incombenti sui prescelti soggetti ex art. 768-quater, 2° comma111.

Non molto dissimile dalla previsioni dell’art. 768-septies è l’ipotesi che si viene a configurare nel caso in cui si inserisca nel patto la cd. clausola di reversibilità. La dottrina maggioritaria ne afferma la validità sostenendo, per quanto riguarda gli effetti, la vicinanza di tale clausola alla previsione di recesso convenzionale sancita dal 2° comma dell’art. 768-septies c.c.; inoltre, nessun dato letterale sembra poter escludere la configurabilità di una clausola che permetta al disponente di riottenere i beni trasferiti col patto di famiglia in caso di mala gestio da parte degli assegnatari. Una fattispecie simile, ammessa e disciplinata dal nostro Codice Civile dall’art. 791 c.c., consente al donante di riappropriarsi dei beni donati qualora il donatario o il donatario e i suoi discendenti siano a lui premorti. La ratio della norma è chiara: il donante desidera che determinati beni vengano attribuiti ad un soggetto, ma non vuole che in caso di morte di questo (ed eventualmente dei suoi eredi) l’oggetto della donazione pervenga a terzi verso i quali la sua liberalità non era prevista né voluta. Il disponente vuole evitare che un’errata valutazione nella scelta del successore che dovrà assumere le redini dell’impresa dia luogo ad una cattiva gestione comportante livelli di produttività inferiori o addirittura la cessazione dell’attività. L’ammissibilità di tale condizione risolutiva è da ricercarsi nel fatto che, trattandosi di un

111 F. Volpe, L'uso delle pattuizioni accessorie nel patto di famiglia, in Contratto e

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trasferimento a titolo gratuito al pari della donazione, il disponente desidera attribuire i beni all’assegnatario, ma preferisce altresì ritornare nella loro titolarità nel caso in cui la nuova gestione non soddisfi le aspettative riposte nel discendente al momento della stipulazione del patto di famiglia. La meritevolezza di tale clausola deve essere ricercata, infine, in quelle stesse esigenze che hanno indotto il legislatore a introdurre la nuova disciplina codicistica, e cioè nella necessità di attuare un passaggio generazionale che garantisca stabilità e produttività evitando la frammentazione dell’impianto produttivo: scopi che saranno meglio salvaguardati qualora si consenta al disponente, come estremo rimedio, di recuperare il possesso dell’impresa male amministrata dagli assegnatari112.

Un ultimo esempio di clausola condizionale è rappresentato da quella pattuizione con la quale si stabilisca che, in caso di nascita di un nuovo legittimario, gli effetti del patto vengano automaticamente meno113. Il legislatore della riforma del 2006 ha previsto all’art. 768-

quater, 1° comma l’ipotesi della sopravvenienza al patto di ulteriori

legittimari quali titolari di un diritto alla liquidazione della quota, aumentata degli interessi legali, da parte dei beneficiari del contratto. Con l’inserimento di una clausola condizionale di tal genere si determina non un meccanismo che permetta ai non partecipanti di ottenere la liquidazione della quota a loro dovuta se fossero stati presenti al patto, ma addirittura una caducazione degli effetti del patto stesso che coinvolga tutti i familiari che dalla stipula del contratto abbiano acquistato diritti. La clausola di nuovo legittimario quindi non attribuisce un mero diritto di credito come quello di cui all’art. 768- quater, 1° comma, bensì il diritto di ottenere l’estinzione degli effetti

112 F. Volpe, L'uso delle pattuizioni accessorie nel patto di famiglia, in Contratto e

impresa, 2014, p. 503 e ss.

113 F. Volpe, L'uso delle pattuizioni accessorie nel patto di famiglia, in Contratto e

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già prodottisi come se il contratto non fosse mai venuto in essere, con la conseguenza che l’azienda o le partecipazioni societarie torneranno nella titolarità del disponente, il quale potrà proporre la stipulazione di un nuovo patto di famiglia coinvolgendo i legittimari sopravvenuti oppure lasciare che i beni siano oggetto della sua normale successione.