A conclusione dell’analisi degli strumenti alternativi al patto di famiglia per la trasmissione delle imprese, merita fare almeno un accenno alle società fiduciarie. La l. 23 novembre 1939, n. 1966, all’art. 1, definisce società fiduciarie e di revisione “quelle che,
comunque denominate, si propongono, sotto forma di impresa, di assumere l’amministrazione dei beni per conto terzi, l’organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni”. Possono formare oggetto di amministrazione
fiduciaria sia beni mobili che immobili, anche se per questi ultimi l’utilizzo di tale strumento è assolutamente infrequente a causa della elevata tassazione che investe i trasferimenti immobiliari: difatti, solitamente l’amministrazione fiduciaria riguarda beni mobili, quali strumenti finanziari, in particolare azioni o quote di società di capitali389.
L’attività posta in essere dalle società fiduciarie più consistere alternativamente in un’amministrazione “statica” o in un’amministrazione “dinamica”. La prima consiste in un’intestazione fiduciaria di beni e nell’esercizio dei relativi diritti nell’interesse del fiduciante ed in conformità delle sue direttive: se, ad esempio, i beni oggetto di amministrazione sono azioni di società, spetterà alla società fiduciaria partecipare alle assemblee, votare, impugnare le deliberazioni invalide, ecc. Tali beni rimangono intestati alla società fiduciaria finché il fiduciante lo ritenga opportuno; è possibile, infatti,
388 M. Bianca- A. De Donato (a cura di), Dal trust all’atto di destinazione
patrimoniale. Il lungo cammino di un’idea, Gruppo 24 Ore, Milano, 2013
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che ad un certo momento decida di riprenderne il possesso oppure di intestarle a terzi, oppure ancora che la fiduciaria le giri a un terzo al verificarsi di una certa condizione. L’amministrazione dinamica si caratterizza per maggiori poteri attribuiti alla fiduciaria rispetto a quella statica, la quale, oltre ai poteri previsti per l’altro tipo di amministrazione, anche quello di alienare i beni, acquistarne di ulteriori e reinvestire gli utili percepiti. Pur nel rispetto delle istruzioni del fiduciante, si distingue dunque per una maggiore discrezionalità conferita alla fiduciaria nell’esercizio del suo incarico390.
Nell’ipotesi dell’avvicendamento generazionale nell’impresa, il ruolo svolto dalle fiduciarie consiste nell’amministrazione del patrimonio delle famiglie imprenditoriali che si apprestano a cedere il testimone ai propri discendenti. Questo strumento si rivela particolarmente adatto sia ad agevolare l’inserimento della nuova generazione nell’ambito dell’impresa familiare, sia a soddisfare le aspettative e le esigenze dei legittimari non assegnatari dell’impresa, previa analisi delle caratteristiche e dell’entità del patrimonio familiare nel suo complesso. In concreto, l’inserimento del discendente prescelto può avvenire mediante l’attribuzione di incarichi manageriali o di consigliere di amministrazione oppure, al pari del patto di famiglia, mediante il trasferimento in proprietà delle partecipazioni societarie.
L’intera operazione, come detto, avviene sulla base delle istruzioni ricevute dall’imprenditore-fondatore, tant’è che il rapporto fiduciario è stato sovente assimilato a quello del mandato. È vietata, infatti, ogni pattuizione diretta ad escludere o limitare il potere del fiduciante di impartire in qualunque momento istruzioni vincolanti nei confronti della società deputata a favorire il passaggio generazionale dell’impresa. È pacifico, inoltre, che i beni amministrati non
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costituiscano un patrimonio autonomo e separato, né che passino nella titolarità della fiduciaria; essi rimangono in capo al fiduciante, con la conseguenza che non saranno aggredibili dai creditori della società fiduciaria. E ciò avviene anche nell’ipotesi di amministrazione dinamica, nonostante taluno abbia obiettato che in tal caso sarebbe opportuno esaminare le reali intenzioni delle parti, il contenuto del contratto e la natura dei beni fiduciati, per appurare se costoro avessero inteso operare o meno un trasferimento in proprietà391.
Per quanto riguarda le posizioni dei legittimari non assegnatari, sarà possibile, attraverso l’opera della società fiduciaria, attribuire loro strumenti finanziari le cui utilità patrimoniali rimangano legate alle
performance dell’impresa, ma non consentano loro possibilità di
interferire nella gestione (obbligazioni, partecipazioni rafforzate nei diritti patrimoniali, ecc.). Come per gli altri strumenti di trasmissione dell’impresa, anche qui si tratta di fare in modo che le quote di legittima non vengano intaccate essendo possibile in tale ipotesi che i legittimari lesi esperiscano le tipiche azioni successorie a seguito della morte del disponente, vanificando il trasferimento mediato dalla società di revisione.
Conclusioni
Dall’analisi della disciplina del patto di famiglia emerge la figura di un negozio giuridico decisamente complesso. Per la sua operatività è difatti richiesta la necessaria presenza e l’imprescindibile consenso di tutti i legittimari esistenti al momento della stipula. Si tratta evidentemente di un requisito non sempre semplice da soddisfare: ben può accadere che alcuni fra i legittimari si rifiutino di acconsentire all’assetto di interessi ideato dall’ascendente e preferiscano ottenere la propria quota riservata senza preoccuparsi
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delle sorti dell’impresa di famiglia. Dato che il loro eventuale disinteresse è sufficiente a neutralizzare l’efficacia del programma successorio pianificato dall’imprenditore, è possibile che la complessità della struttura possa arrivare a costituire un fattore idoneo a ridimensionare l’utilizzabilità del nuovo istituto. Sennonché, ad avviso di chi scrive, criticare il patto per questo suo limite intrinseco non è corretto: perché il patto sia davvero “di famiglia”, si rende necessario il massimo coinvolgimento del gruppo familiare il quale è tenuto a partecipare e a contribuire al raggiungimento di un assetto di interessi che porti benefici a tutti i componenti dello stesso. L’imprenditore, infatti, è allo stesso tempo leader all’interno dell’azienda e leader all’interno della famiglia, e lo è in special modo nelle piccole-medie imprese che sono il destinatario prediletto della nuova disciplina. È necessario, dunque, che la disciplina in esame non si preoccupi soltanto di sveltire il passaggio generazionale dell’impresa, ma dovrà parimenti evitare conflittualità all’interno della compagine familiare, che è un complesso di individui legati da vincoli principalmente affettivi, e solo in seconda battuta economici. Da ciò deriva che il potere di veto anche di uno solo fra i legittimari non solo è compatibile ma, direi, strumentale alla logica del patto.
Non è tuttavia questo l’unico problema che si pone in merito ai soggetti del patto di famiglia. Può accadere che l’imprenditore non sia assolutamente certo di quello che fra i propri discendenti rappresenti il soggetto più adatto a proseguire l’attività di impresa e che la prospettiva di un passaggio di proprietà definitivo potrebbe costituire un ostacolo alla volontà di avvalersi di tale negozio giuridico, considerando che anche altre tecniche (come il trust, ad esempio) consentono di raggiungere il medesimo risultato ma in modo più graduale e meno rischioso; lo stesso si potrebbe affermare nel caso in cui l'imprenditore, pur avendo individuato il discendente più idoneo a
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succedergli, non lo reputi ancora pronto per assumere le redini dell'azienda (perché minore, non sufficientemente maturo, ecc.).
Se il problema del definitivo passaggio in proprietà potrebbe essere aggirato, ad esempio, inserendo nel contratto una condizione risolutiva di reversibilità che consenta il ritorno dei beni trasferiti nella titolarità del disponente in caso di mala gestio da parte del beneficiario, più difficile risulta all’autonomia contrattuale dare una configurazione al patto tale da superare il secondo problema. A questo proposito sarebbe auspicabile l’introduzione di un articolo che preveda la nomina da parte dell'imprenditore di un terzo al quale delegare l'amministrazione dell'impresa o la designazione dell'assegnatario, precisando che ciò che sarà oggetto di attribuzione mediante patto non entri a far parte del patrimonio di costui e dunque non sia aggredibile da parte degli creditori di quest’ultimo, che agirà quale gestore di entità patrimoniali altrui, secondo un meccanismo molto simile a quello che caratterizza l’operato del trustee.
Sempre nell’ottica di una revisione del patto dal punto di vista dei soggetti coinvolti, sarebbe auspicabile anche la possibilità di ampliare il novero dei soggetti cui è ammesso trasferire l’azienda o le partecipazioni societarie. Infatti, limitare alla categoria dei legittimari il novero dei successibili è opzione che ostacola l’utilizzo dell’istituto in tutti quei casi in cui non vi siano discendenti in linea retta adatti (o non vi siano affatto) a ricevere l’azienda. Sarebbe opportuno, quantomeno in via sussidiaria, concedere al disponente la possibilità di trasmettere i beni produttivi anche a soggetti terzi, rispetto alla ristretta cerchia dei legittimari, ferma restando l’applicabilità del meccanismo di liquidazione di cui all’art. 768-quater c.c. nel caso in cui residuino legittimari non assegnatari.
Pur non potendo ritenere il patto di famiglia un negozio di facile formazione (e ciò è confermato che la sua stesura avvenga sotto
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la guida di un notaio), si tratta nella maggior parte dei casi dello strumento più idoneo al trasferimento dell’impresa. E lo è poiché, oltre a dar luogo ad un trasferimento definitivo, vengono in principio scongiurate future contestazioni nel momento in cui si verrà ad aprire la successione nel patrimonio del disponente. Dato che la valutazione sul valore dell’azienda o delle partecipazioni societarie avviene al momento della formazione del contratto, i legittimari non assegnatari riceveranno una somma a titolo di liquidazioni dei diritti loro spettanti sull’impresa, perciò non potranno lamentare una lesione della quota nel caso in cui all’apertura della successione il valore dell’azienda sia aumentato, a maggior ragione se si pensa che tale incremento sia verosimilmente imputabile alle capacità dell’assegnatario che ha gestito l’azienda fino a quel momento. Come detto in precedenza, sarebbe doverosa l’introduzione di una relazione giurata di un esperto, designato dal tribunale o individuato di comune accordo dai legittimari, che contenga la descrizione dei beni e l'attestazione del loro valore, onde evitare eventuali “errate” valutazioni dei familiari più esperti e consapevoli a danno degli altri.
La diffusione del nuovo istituto nella prassi è stata, inoltre, agevolata da opportuni sgravi fiscali introdotti con la legge finanziaria per il 2008. L’attuale art. 3, comma 4-ter del TUS prevede che i trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia a favore dei discendenti (e del coniuge), di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggetti all'imposta sulle successioni e donazioni. Anche se dalla norma pare che il non assoggettamento si applichi soltanto al trasferimento dei beni produttivi e non riguardi anche l’attribuzione di somme di denaro o di beni eventualmente posta in essere dall’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni sociali in favore degli altri partecipanti al contratto, si tratta comunque di un forte incentivo all’utilizzo di questo strumento rispetto ad altri, quali ad esempio la donazione che, oltre ad essere gravata dall’imposta, è anche
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soggetta a collazione e riduzione. Ai fini del mantenimento dell’agevolazione è richiesto che i beneficiari, da un lato, proseguano l’esercizio dell’attività di impresa ovvero detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dal trasferimento, e dall’altro, rendano contestualmente alla stipula del patto, una dichiarazione con la quale si impegnino ad osservare le predette condizioni. L’esenzione si estende inoltre alle relative formalità di trascrizione e voltura catastale: il patto di famiglia è dunque esente dall’imposta di registro, da quella ipotecaria e a quella catastale.
La scelta del legislatore di escludere il patto di famiglia dall’applicabilità della disciplina fiscale in tema di successioni e donazioni risulta essere perfettamente in linea con lo scopo di agevolare il passaggio generazionale nella titolarità delle imprese ed evitare la disgregazione delle stesse dopo la prima generazione. L’imprenditore ha ora a disposizione uno strumento non solo creato appositamente allo scopo di favorire l’avvicendamento generazionale nell’impresa, ma anche fiscalmente più vantaggioso rispetto agli altri già esistenti e perciò preferibile.
In conclusione, dall’esame proposto dell’intera normativa sembra che la strada intrapresa dal legislatore sia quella giusta, anche se è indubbio che si tratti di una disciplina per molti aspetti perfettibile. Dal punto di vista fiscale, sarebbe certamente opportuno, de iure
condendo, estendere l’esenzione anche alle attribuzioni effettuate a
titolo di liquidazione dei legittimari, non essendo giusto che l’esistenza ovvero l’assenza di legittimari sia elemento condizionante ai fini dell’applicabilità della relativa imposta. In altri termini, non si vede perché un patto a struttura semplice debba risultare fiscalmente meno oneroso di uno a struttura complessa, dato che in tal modo l’applicabilità dell’imposta sarebbe ricollegata ad un elemento puramente casuale come la presenza o meno di altri legittimari oltre a quello designato come assegnatario.
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Da rivedere anche la tecnica lessicale utilizzata dal legislatore: l’evidente approssimazione con cui sono stilati gli enunciati normativi è in più punti fonte di numerose incertezze interpretative. Si rivela auspicabile perciò apportare modifiche mirate che eliminino le incertezze lessicali e diano al patto una struttura certa e inequivocabile circa gli aspetti essenziali della disciplina. Questo è senza dubbio il primo e principale aggiustamento che si rende necessario alla luce di quanto precede, poiché una disciplina così imprecisa rischia di dar luogo ad applicazioni pratiche differenti che portano con sé spiacevoli conseguenze in tema di certezza del diritto.
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