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Il rifiuto della tesi del contratto a favore di terzi e della donazione modale

3.2 La causa del patto

3.2.1 Il rifiuto della tesi del contratto a favore di terzi e della donazione modale

Che il patto di famiglia sia da ascrivere alla categoria degli atti fra vivi non può essere messo in dubbio alla luce di quanto

142 In generale sul tema della causa si veda E. Navarretta, La causa e le prestazioni

isolate, Giuffrè, 2000, e, più di recente, il contributo dell’A. in Dei contratti in generale (artt.1321-1349), (a cura di) Emanuela Navarretta e Andrea Orestano, UTET, 2012, p. 573 ss.

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precedentemente messo in evidenza circa l’effetto traslativo immediato che la conclusione del contratto produce. Che, tuttavia, il patto abbia anche effetti mortis causa non deve lasciare perplessi sol se si pone mente al fatto che “quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a

collazione o a riduzione” oppure che “all'apertura della successione dell'imprenditore, il coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato al contratto possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma prevista dal secondo comma dell'articolo 768-quater, aumentata degli interessi legali”. Com’è

evidente in entrambe le disposizioni, il trasferimento operato mediante patto di famiglia produce conseguenze che esplicano i loro effetti anche per il periodo successivo alla morte del disponente143. Non si capirebbe, altrimenti, che senso avrebbe esonerare da collazione i beni trasferiti col patto se la disposizione dovesse acquistare efficacia solo nel momento della morte del disponente, dato che l’istituto della collazione si applica solo ed esclusivamente ad attribuzioni liberali compiute in vita e dotate di efficacia fra vivi. Si tratta, in sostanza, di un contratto e di un contratto dotato di efficacia traslativa immediata.

Aver qualificato il patto di famiglia come un contratto avente tali caratteristiche può essere utile per eliminare qualsiasi dubbio circa la fondatezza di quelle teorie che vi hanno ravvisato i tratti di contratto a favore di terzo ovvero di una donazione modale.

La scelta di attribuire all’istituto in esame la natura di contratto plurilaterale, è di per sé sufficiente ad escludere la tesi che ricollega al patto di famiglia la natura di contratto a favore di terzo, cioè quel contratto al quale, oltre all’assetto di interessi tipico individuato della causa propria del negozio prescelto, si aggiunge un piano di interessi autonomo, atto a giustificare la disposizione del diritto che allo stesso

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sarebbe derivato verso il terzo estraneo al contratto144. La scelta operata in relazione alla natura plurilaterale di questo contratto mi porta a scartare l’ipotesi di coloro che scorgono nel patto un negozio concluso esclusivamente da disponente e assegnatario nel quale la presenza dei non assegnatari sarebbe necessaria solo al fine di rendere il patto efficace nei loro confronti145. I soggetti che decidono di aderire all’accordo tra disponente e assegnatario non sono soggetti estranei alla pattuizione ma soggetti indispensabili affinché il negozio esplichi i suoi effetti giuridici e non venga colpito da nullità. Sia qualificando la loro partecipazione come necessaria sia qualificandola come eventuale, nel momento in cui decidono di partecipare al patto perdono la loro qualifica di terzi e assumono quella di parti146147. Ma vi è anche un altro motivo non meno decisivo che induce a rigettare questa tesi: i legittimari non assegnatari non sono destinatari di soli effetti favorevoli, ma subiscono anche un effetto negativo, costituito dal fatto che, con la stipula del contratto, essi rinunciano per sempre e irrevocabilmente a far valere le loro ragioni di legittimari sull’azienda o sulle partecipazioni sociali148. Infatti, sulla base dell’art. 1411 c.c., è

possibile desumere l’inidoneità del contratto a favore di terzi a

144 Tale è la definizione di contratto a favore di terzo rintracciabile in Aa. Vv., Il

patto di famiglia, a cura di U. La Porta, UTET, 2007, p. 10

145 Nello stesso senso, si esprime Aa. Vv., art. 768 bis-768 octies, in Commentario

del Codice Civile, E. Gabrielli, Delle successioni, vol. III, UTET, 2010, p. 428 e ss.

146 G. Oberto, Il patto di famiglia, CEDAM, 2006, p. 48

147 Per la tesi contraria, si veda Aa. Vv., Il patto di famiglia, a cura di U. La Porta,

UTET, 2007, p. 28, dove si afferma che la rubrica dell’art. 768-sexies definisce terzi i legittimari che non abbiano partecipato al patto e che da nessun dato normativo è consentito desumere che questo articolo faccia riferimento ai soli legittimari sopravvenuti e non anche ai legittimari che abbiano scelto di non aderire ad esso; gli uni e gli altri, infatti, restano estranei al patto, il quale è, dunque, per entrambi tali categorie di soggetti res inter alios acta, sia quanto al trasferimento di impresa, sia quanto alla determinazione del loro valore ed alla conseguente quantificazione del credito spettante ai non assegnatari.

148 In questo senso, Aa. Vv., Il patto di famiglia, a cura di G. Palermo, G.

Giappichelli Editore, 2009, p. 101 nonché G. Oberto, Il patto di famiglia, CEDAM, 2006, p. 49

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produrre effetti giuridici sfavorevoli nei confronti del terzo, dato che la rubrica e il primo comma del citato articolo recano la locuzione “a

favore di terzi”, e il secondo comma prevede per il terzo l’acquisto di

un diritto, cioè di una situazione giuridica soggettiva a lui favorevole149. Non sarebbe, del resto, ammissibile ricorrere a tale figura neppure per qualificare il rapporto verso i legittimari non partecipanti alla stipulazione, in quanto sopravvenuti, i quali, purtuttavia, vengono espressamene qualificati come “terzi” dall’art. 768-sexies c.c. Infatti, nel momento in cui questi soggetti decidono di aderire ex post al contenuto del patto, andrebbero in tal modo a disporre di diritti (la quota di legittima sull’azienda) senza che tale atto di disposizione possa essere qualificato come effetto favorevole nei loro confronti150.

Se, infine, è vero che la riforma ha di mira il trasferimento, mentre l’imprenditore è ancora in vita, dei beni strumentali all’esercizio dell’impresa, allo scopo di assicurare la stabilità del passaggio di consegne così realizzato, la ricostruzione del patto alla stregua di stipulazione a favore di terzo fallisce l’obiettivo di scongiurare l’instabilità del trasferimento cui ha dato luogo. Difatti, ritenere la partecipazione dei legittimari come il momento in cui l’efficacia della pattuizione viene estesa anche a costoro, significa che la trasmissione dell’azienda o delle partecipazioni potrebbe comunque essere ostacolata, dopo la morte del disponente, dall’esperimento dell’azione di annullamento da parte dei soggetti indicati dall’art. 768-

sexies, 2° comma (ovvero ciascuno dei legittimari non aderenti al

patto)151.

149 Aa. Vv., art. 768 bis-768 octies, in Commentario del Codice Civile, E. Gabrielli,

Delle successioni, vol. III, UTET, 2010, p. 432

150 G. Oberto, Il patto di famiglia, CEDAM, 2006, p. 49

151 Aa. Vv., art. 768 bis-768 octies, in Commentario del Codice Civile, E. Gabrielli,

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Va, tuttavia, menzionata l’opinione di chi ritiene che il dovere di partecipazione non assumerebbe per tutti gli interessati la stessa valenza, poiché l’operazione realizzerebbe interessi diversi. Mentre l’interesse del disponente e dell’assegnatario sarebbe diretto al trasferimento dei beni produttivi ed alla attribuzione ai terzi di un credito pecuniario, l’interesse di questi ultimi consisterebbe nella valutazione circa l’accordo attributivo del credito stesso, da cui discenderebbe la possibilità di scegliere fra aderire al patto in via immediata oppure attendere l’apertura della successione dell’imprenditore per poter esperire l’azione di annullamento ex art. 768-quinquies152. Seguendo tale impostazione, però, la stabilità o

definitività del trasferimento non si realizza al momento della conclusione del contratto, ma soltanto quando, o meglio, qualora i legittimari intervengano avendo valutato in maniera positiva la convenienza dell’affare.

In definitiva, la ricostruzione del patto in questi termini si presta alle stesse obiezioni a suo tempo formulate contro la teoria della bilateralità del patto; obiezioni che finiscono per rendere il nuovo istituto non maggiormente preferibile per il discendente assegnatario rispetto alla semplice donazione.

Passando ora a trattare della tesi che sorge nel patto di famiglia una donazione modale, mi pare opportuno innanzitutto esaminare le ragioni che hanno indotto alcuni interpreti ad accostare l’istituto in commento ad una donazione. Sembrerebbe, in primo luogo e da un punto di vista letterale, che il termine “beneficiari” utilizzato all’art. 768-sexies c.c. per designare i legittimari assegnatari metterebbe in risalto il carattere di negozio gratuito del patto, il quale sarebbe

152 F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile Commentario, P. Schlesinger – D.

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finalizzato ad anticipare in vita disposizioni di tipo testamentario153. In secondo luogo, nell’intero corpo della legge non si farebbe mai riferimento ad un corrispettivo della cessione da assegnare al cedente i beni aziendali o le partecipazioni societarie154. Infine, argomenti a favore di questa tesi sono anche la specifica sottrazione alla collazione, che è istituto avente per oggetto proprio le donazioni, nonché la definizione del patto di famiglia in termini di atto di donazione riportata nel testo del già ricordato disegno di legge del 1997 proposto su iniziativa del Sen. Pastore155.

Così ragionando, il patto di famiglia realizzerebbe una liberalità avente per oggetto l’azienda o le partecipazioni sociali, realizzata a favore di uno o più discendenti e accompagnata dall’onere, legalmente stabilito, di liquidare le ragioni dei legittimari non assegnatari, da determinarsi con riferimento al momento della conclusione del contratto.

Questo modo di vedere il patto di famiglia è, tuttavia, suscettibile di una serie di obiezioni a mio parere decisive. Innanzitutto, l’unico elemento che la donazione e il patto di famiglia hanno in comune, come si vedrà meglio in seguito, consiste nel carattere liberale dell’attribuzione; infatti, il patto di famiglia può essere concluso solo da soggetti espressamente individuati dalla legge e per beni determinati; l’obbligo di liquidare i non assegnatari (l’ipotetico modus) è meramente eventuale in quanto sia all’atto della stipulazione che all’apertura della successione dell’imprenditore tali

153 G. Oberto, Il patto di famiglia, CEDAM, 2006, p. 50

154 Così, A. Merlo, Il patto di famiglia, in www.romoloromani.it, 2006

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soggetti possono non figurare; l’attribuzione realizzata dal patto non è soggetto a collazione, né ad azione di riduzione156.

Ciò sarebbe sufficiente a dimostrare l’impossibilità di ricondurre il patto sotto la categoria giuridica proposta; ma vi è di più. Fondamentale è l’assenza di animus donandi nel disponente, per cui all’essenziale gratuità del negozio non corrisponderebbe la volontà di arricchire il destinatario del trasferimento, ma soltanto di anticipare la propria successione garantendo un passaggio di mano nella titolarità dell’azienda o delle partecipazioni il più possibile esente da rischi157.

Se è vero che l’animus donandi non è del tutto estraneo all’intento di anticipare la propria successione, dato che, nella pratica dei rapporti familiari, le successioni vengono sovente anticipate da donazioni, l’insostenibilità di quest’ultima tesi è resa palese dal carattere necessitato dell’attribuzione patrimoniale prevista a carico del beneficiario e nei confronti dei non assegnatari: la liquidazione è, dunque, elemento imprescindibile per la validità del patto, cosa che lo rende incompatibile con il concetto di modo che, al contrario, è elemento meramente accidentale nella donazione158. L’attribuzione della quota di legittima sotto forma di liquidazione ex art. 768-quater, 2° comma, c.c., salvo il caso di rinuncia totale o parziale da parte dei non assegnatari, è atto dovuto e perciò in contrasto con il carattere tipicamente accessorio del modus donativo.

156 Così, F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile Commentario, P. Schlesinger

– D. Busnelli, Giuffrè Editore, 2012, p. 177, mette in luce la differenze che intercorrono tra gli istituti in esame al fine di dimostrare il suo rifiuto per tesi della donazione modale.

157 Nello stesso senso si esprimono G. Oberto, Il patto di famiglia, CEDAM, 2006, p.

50 e F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile Commentario, P. Schlesinger – D. Busnelli, Giuffrè Editore, 2012, p. 180

158 G. Petrelli, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv. notariato, fasc.2,

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3.2.2 La tesi del patto di famiglia come negozio

divisorio

Un’altra tesi che è stata proposta dai commentatori della novella per dare al patto una qualificazione causale è quella che intravede nella nuova figura contrattuale un negozio avente natura divisoria. A differenza delle precedenti sopra esposte (e rigettate), questa teoria ha da parte sua il merito di aver individuato un istituto che, quantomeno strutturalmente, è innegabilmente omogeneo a quello del patto di famiglia. Che poi il patto sia anche qualificabile come negozio con funzione distributiva deve essere dimostrato, ed è ciò che questa parte della dottrina ha tentato di fare avanzando argomenti piuttosto convincenti.

In primo luogo, il legislatore ha collocato il nuovo istituto nel nuovo Capo V-bis che è posto a chiusura della disciplina sulla divisione ereditaria. La vicinanza alle norme relative alla divisione, piuttosto che a quella della donazione, farebbe propendere gli interpreti ad attribuire al patto natura divisionale159. In secondo luogo, il carattere materialmente divisorio può essere ritrovato nella tecnica legislativa scelta per regolare l’assegnazione dell’azienda: è, infatti, fedelmente riprodotto con l’imposizione dell’obbligo di liquidazione dei legittimari non assegnatari il meccanismo relativo alla divisone di immobili non divisibili di cui all’art. 720 c.c.160. In terzo luogo, essendo giunti a riconoscere nel patto un contratto necessariamente plurilaterale, ne consegue che la necessaria partecipazione di tutti i legittimari sia elemento comune alla divisione testamentaria e al patto

159 F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile Commentario, P. Schlesinger – D.

Busnelli, Giuffrè Editore, 2012, p. 183

160 C. Bauco, V. Capozzi, Il patto di famiglia. Profili civilistici e fiscali, Giuffrè

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di famiglia161. Infine, da un punto di vista strettamente funzionale, viene in rilievo la stretta correlazione tra l’assegnazione del bene produttivo al discendente scelto per subentrare nella gestione dell’impresa, e la conseguente liquidazione della quota spettante ai non assegnatari: la conversione della quota spettante a ciascuno dei condividenti con l’attribuzione di beni o diritti è, difatti, un meccanismo tipico delle vicende divisorie162.

Si verrebbe così a realizzare col patto di famiglia un’anticipazione dell’effetto devolutivo in quanto si assegnerebbero alcuni beni facenti parte del patrimonio dell’imprenditore prima dell’apertura della sua successione. Una devoluzione che acquisterà il carattere della stabilità soltanto a seguito della liquidazione dei non assegnatari, essendo loro precluso il potere di utilizzare i rimedi della collazione e dell’azione di riduzione163. Sul fatto che si tratti di una

divisione anticipata non sembrano esservi dubbi, dato che gli effetti derivanti dalla futura successione vengono appunto anticipati al momento della stipulazione del patto, anche se limitatamente alla titolarità dell’azienda o delle partecipazioni e non all’intero relitto164. Va, infine, precisato che quella parte della dottrina che sostiene questa teoria attribuisce a tale forma di successione anticipata il carattere di successione a titolo particolare, avendo per oggetto una massa consistente in uno o più beni determinati165.

161 F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile Commentario, P. Schlesinger – D.

Busnelli, Giuffrè Editore, 2012, p. 183

162 F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile Commentario, P. Schlesinger – D.

Busnelli, Giuffrè Editore, 2012

163 C. Bauco, V. Capozzi, Il patto di famiglia. Profili civilistici e fiscali, Giuffrè

Editore, 2007, p. 23

164 F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile Commentario, P. Schlesinger – D.

Busnelli, Giuffrè Editore, 2012, p. 184

165 S. Delle Monache, Tradizione e modernità nel diritto successorio: dagli istituti

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Mi sembra che questa tesi sia utile per capire quale sia il funzionamento del patto di famiglia da un punto di vista effettuale, ma che lo stesso non si possa dire per comprendere pienamente il profilo causale del contratto in questione. Vi sono, infatti, altrettante argomentazioni che impediscono di ritenere il patto un negozio divisorio strictu sensu. Come da molti autori166 è stato giustamente osservato, mancherebbe, al momento della stipula del patto, una situazione di comunione che è destinata a sorgere soltanto all’apertura della successione dell’imprenditore167. Inoltre, il profilo distributivo

potrebbe anche mancare in quanto l’effettiva liquidazione dei legittimari potrebbe essere assente in caso di rinuncia o nel caso in cui non vi siano legittimari da liquidare: poiché l’effettività della liquidazione deriva da questi due ultimi fattori, è gioco forza ritenere che il profilo distributivo non rappresenti un carattere essenziale, ma meramente eventuale in quanto subordinato all’esistenza di legittimari e di legittimari desiderosi di ottenere la liquidazione della propria quota168.

166 Fra gli altri, si veda F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile Commentario,

P. Schlesinger – D. Busnelli, Giuffrè Editore, 2012, p. 184, e G. Petrelli, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv. notariato, fasc.2, 2006, pag. 401 e ss.

167 Per la tesi contraria si veda S. Delle Monache, Tradizione e modernità nel diritto

successorio: dagli istituti classici al patto di famiglia, Cedam, 2007, p. 342 e ss. dove si afferma che “il negozio divisorio non si caratterizza per una propria costante attitudine a determinare lo scioglimento di un previo stato di comunione. Al

contrario, il fenomeno delle successioni a causa di morte conduce ad enucleare un diverso concetto di quota rispetto a cui è possibile che si attuino le operazioni divisionali […] Poste codeste premesse, appare allora evidente come la natura di negozio divisorio del patto non possa essere esclusa sul semplice rilievo che esso non determina lo scioglimento di alcuno stato di contitolarità. Se la divisione è certo idonea a produrre tale effetto, ciò non significa che il fenomeno trovi il suo

imprescindibile presupposto nell’esistenza di una comunione relativa a beni da distribuire”

168 Aa. Vv., Il patto di famiglia, a cura di G. Palermo, G. Giappichelli Editore, 2009,

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In conclusione, è possibile riconoscere al patto una finalità divisionale e di regolamentazione preventiva dei rapporti successori ma oltre a ciò non è concesso andare: pur favorendo le operazioni divisionali, non è consentito parlare di patto di famiglia come negozio divisorio strettamente inteso, anche perché si tratta di un istituto che, differentemente dalla divisione, dà luogo ad attribuzioni di beni facenti parte di diversi patrimoni, a meno che non si ritenga che a dover adempiere l’obbligo di liquidazione sia l’imprenditore e non l’assegnatario (contrariamente da quanto risulta dalla lettera dell’art. 768-quater, secondo comma, c.c.)169. Non è perciò possibile accostare il concetto di negozio divisorio all’istituto in discorso con la convinzione che questa etichetta aderisca perfettamente al patto di famiglia, ma potrà essere semmai utilizzato in senso descrittivo per indicare solo una delle potenziali funzioni dello stesso, non essendo ragionevole incasellare il patto in una delle figure giuridiche già note. Si tratta, in definitiva, di un ulteriore contratto, avente una sua funzione tipica di natura complessa, irriducibile a quella dei tipi contrattuali precedentemente disciplinati dal codice civile170.