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Veniamo ora ad uno dei nodi centrali della nuova disciplina, quello della liquidazione dei legittimari. L’art. 768-quater, 2° comma, c.c. dispone che “gli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni

societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti; i contraenti possono convenire che la liquidazione, in tutto o in parte, avvenga in natura”.

Come più volte anticipato, attraverso il patto di famiglia si procede, oltre al trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni sociali, anche alla liquidazione delle ragioni dei legittimari non assegnatari dei beni produttivi, con una somma corrispondente alla quota di legittima prevista dagli artt. 536 e ss. c.c. o, in alternativa, con beni in natura aventi il medesimo valore. Si tratta, ictu oculi, di un meccanismo che consente una sorta di compensazione delle spettanze di cui sono titolari i legittimari a fronte dell’assegnazione del complesso aziendale ad altro soggetto designato. I non assegnatari riceveranno, dunque, una somma di denaro in sostituzione e a tacitazione dei diritti di legittima loro spettanti su quella parte del patrimonio dell’imprenditore che è stata oggetto di trasferimento209. È

opportuno sottolineare come la liquidazione attribuita ai legittimari

208 G. Oberto, Il patto di famiglia, CEDAM, 2006, p. 75-76

209 B. Inzitari, Il patto di famiglia: negoziabilità del diritto successorio con la legge

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non assegnatari del patto di famiglia non rappresenti l’intera quota di legittima, ma soltanto quella parte che a ciascuno di quei soggetti spetterebbe sui beni aziendali, e che non necessariamente esaurisce l’intero asse ereditario del disponente.

La fase di liquidazione vede avvicendarsi due momenti fondamentali che precedono il pagamento in denaro (o in natura): in primo luogo, la determinazione, per comune accordo delle parti intervenute, del valore dell’azienda o della partecipazioni sociali, che rappresenta la base per il successivo calcolo e, in secondo luogo, la conversione della quota di legittima spettante ai non assegnatari sul bene trasferito nella quota di liquidazione, attraverso un calcolo matematico e proporzionale210.

Partendo dalla prima fase, è opportuno riferire come il dato normativo non fornisca alcun criterio legale per la determinazione del valore dei beni aziendali. Le difficoltà tecniche e l’importanza di tale momento, preordinato ad evitare future contestazioni tra i partecipanti, consiglierebbero di affidarsi a periti esterni per addivenire ad una determinazione del valore dell’azienda o delle partecipazioni il più possibile imparziale211.

Per quanto concerne il dato temporale al quale riferire il valore dei beni oggetto di trasferimento, la norma è chiara nel collocare il momento della valutazione in sede di stipula del patto di famiglia. Diversamente da quanto stabilito dall’art. 556 c.c., secondo il quale il valore dei beni ereditari deve essere riferito al momento della morte del de cuius, la valutazione dei beni trasferiti deve essere compiuta nel momento in cui il contratto viene in essere per due ordini di motivi: da

210 F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile Commentario, P. Schlesinger – D.

Busnelli, Giuffrè Editore, 2012, p. 207

211 A. Angrisani, Salvatore Sica, Il patto di famiglia e gli altri strumenti di

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un lato, vi è il combinato disposto del secondo e terzo comma dell’art. 768-quater, c.c. dal quale emerge con chiarezza il riferimento al “valore attribuito in contratto” e dall’altro, vi è il carattere fondamentale della nuova disciplina consistente nella dissociazione temporale tra la stipula del patto e l’apertura della successione dell’imprenditore212. Inoltre, da un punto di vista pratico, data la

necessaria presenza di tutti i legittimari alla conclusione del negozio giuridico, è evidente che, prima di prestare il proprio consenso, il non assegnatario dovrà e vorrà conoscere l’entità della liquidazione a lui spettante, al fine di poter valutare la convenienza dall’operazione economica complessivamente considerata213. Da quanto detto deriva che, una volta fissato il valore dei beni oggetto del trasferimento, sono da ritenersi irrilevanti eventuali successivi mutamenti del valore e della consistenza del complesso produttivo, anche in considerazione della disattivazione degli strumenti della collazione e dell’azione di riduzione di cui all’ultimo comma dell’art. 768-quater214.

Di primario rilievo è la questione della provenienza dei valori con cui verranno liquidate le ragioni dei legittimari non assegnatari. Ad un prima lettura dell’art. 768-quater, 2° comma, c.c., sembra chiaro che tale obbligo sia posto in via esclusiva a carico dei beneficiari del patto di famiglia (“gli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni

societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto”).

Tuttavia, il riferimento contenuto nell’articolo in esame “al valore

delle quote previste dagli artt. 536 e seguenti” mette in collegamento

tale liquidazione con le quote di legittima, sottintendendo come i beni

212 Sul punto F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile Commentario, P.

Schlesinger – D. Busnelli, Giuffrè Editore, 2012, p. 209-210

213 In questo senso, G. Petrelli, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv.

notariato, fasc.2, 2006, pag. 401 e ss.

214 A. Angrisani, Salvatore Sica, Il patto di famiglia e gli altri strumenti di

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con cui dar luogo alla tacitazione delle spettanze dei legittimari vadano confrontati col patrimonio del disponente. Ora, sembra che il legislatore voglia, da un lato, far ricadere l’onere della liquidazione su colui che trae beneficio dalla conclusione del negozio, e dall’altro, utilizzare il patrimonio attuale dell’imprenditore come base di calcolo per compensare i non assegnatari della mancata attribuzione dell’azienda o delle quote sociali nei loro confronti215.

Se si ritiene che sia l’assegnatario il soggetto tenuto al pagamento delle somme in questione è gioco forza presupporre che costui abbia a disposizione un patrimonio ragguardevole e in grado di far fronte agli obblighi di liquidazione che nascono ex lege dalla conclusione del contratto (cosa di non facile accadimento, specialmente se di giovane età).

È discusso, tuttavia, in dottrina se l’aver individuato nell’assegnatario il soggetto passivo di tale obbligazione escluda che, nonostante il tenore letterale della norma, l’obbligo possa esser fatto gravare su altri soggetti, in particolare sull’imprenditore. In altri termini, ci si è chiesti se la liquidazione in favore dei legittimari possa essere effettuata anche dal disponente con beni propri e se, in tal caso, questi siano sottoposti alla deroga relativa a collazione e riduzione dell’ultimo comma del 768-quater c.c.216 Sul punto la dottrina si è

divisa.

I sostenitori della tesi negativa basano le proprie argomentazioni sul fatto che altrimenti si correrebbe il rischio di estendere la deroga a beni non produttivi: così facendo, innanzitutto, verrebbero aggirati i presupposti necessari per l’operatività dell’esenzione riguardante i rimedi tipici di diritto successorio e poi

215 B. Inzitari, Il patto di famiglia: negoziabilità del diritto successorio con la legge

14 febbraio 2006, n.55, G. Giappichelli Editore, 2006, p. 170 e ss.

216 F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile Commentario, P. Schlesinger – D.

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verrebbe contraddetta la lettera della legge in quanto sottratto a collazione e riduzione sarebbe solo “quanto ricevuto dai contraenti”. Il carattere eccezionale della disciplina del patto di famiglia imporrebbe, in definitiva, di interpretare la norma tenendo sempre ben presente la

ratio della riforma, onde evitare che la deroga venga estesa oltre quei

beni produttivi (azienda e partecipazioni sociali) puntualmente individuati dal legislatore217.

Altra parte della dottrina218 si è espressa in modo favorevole sulla possibilità che la liquidazione dei non assegnatari provenga da soggetti diversi rispetto a quelli che hanno beneficiato dell’assegnazione aziendale. È stato osservato che non raramente l’assegnatario sia piuttosto giovane e di conseguenza non possegga un patrimonio sufficiente a far fronte alle suddette esigenze di compensazione, né sarebbe da considerarsi una soluzione sostenibile quella di alienare immediatamente qualche cespite aziendale appurato che scopo della riforma è anche quello garantire l’unitarietà aziendale ed evitarne la disgregazione. La tesi prospettata, inoltre, avrebbe il merito di incentivare i legittimari a prestare il loro consenso (necessario) alla conclusione del patto di famiglia: sapendo di un intervento diretto del disponente, i legittimari vedono diminuire il rischio di veder pregiudicate le loro aspettative successorie in ordine all’adempimento dell’obbligo di liquidazione219.

217 Ancora F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile Commentario, P.

Schlesinger – D. Busnelli, Giuffrè Editore, 2012, p. 227 e ss.

218 In questo senso Aa. Vv., Il patto di famiglia. Legge 14 febbraio 2006, n. 55, a

cura di Giorgio De Nova, IPSOA, 2006, p. 24 e ss.

219 Così S. Delle Monache, Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto

di famiglia, in Riv. notariato, fasc.4, 2006, pag. 901, il quale si sofferma sul carattere incentivante che racchiude tale ricostruzione. Ragionando diversamente il patto rischierebbe di diventare un istituto privo di concreta rilevanza applicativa. Per l’A. “non vi è ragione per escludere […] che il disponente, oltre ad attribuire l’azienda o le partecipazioni societarie a qualcuno dei suoi discendenti, possa trasferire altri suoi cespiti ai partecipanti cui non sono stati destinati i beni d’impresa. D’altronde, negando che sia ammissibile un patto così strutturato, si finirebbe col frapporre un

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Per quanto riguarda le argomentazione addotte per sostenere la tesi affermativa, si noti come, sulla base dell’interpretazione delle medesime norme utilizzate per sostenere la tesi negativa, gli interpreti siano giunti a conclusioni diametralmente opposte. Se, infatti, era stata criticata l’eventualità che le attribuzioni patrimoniali dell’imprenditore potessero essere ricomprese nell’esonero da riduzione e collazione poiché non si trattava di beni produttivi, qui si sostiene che l’ampia formulazione letterale dell’art. 768-quater, u. c. c.c. sia idonea a includere la liquidazione delle ragioni dei legittimari nell’ambito di applicabilità della norma e ciò in quanto tale articolo si riferisce a “quanto ricevuto dai contraenti”: se per contraenti intendiamo anche i non assegnatari che sono, lo ripeto, parti necessarie del contratto, ne deriva che saranno destinatarie dalla disciplina normativa anche quelle somme o quei beni conferiti a titolo di liquidazione indipendentemente dalla loro provenienza220. Inoltre, il terzo comma dell’art. 768-quater, c.c. parla di beni attribuiti ai legittimari non assegnatari, facendo pensare che questi possano provenire anche dal disponente, dal momento che la norma si esprime in termini di “beni assegnati” piuttosto che di “beni liquidati”221.

Passando alla seconda fase, quella afferente alla conversione della quota di legittima in quota di liquidazione, è opportuno, innanzitutto, precisare come tale momento preceda, e quindi abbia luogo, indipendentemente da un’eventuale rinunzia totale o parziale da parte dei legittimari alle somme indicate dall’art. 768-quater, 2°

grave ostacolo alla concreta fruibilità del nuovo istituto, giacché esso potrebbe allora essere utilizzato soltanto nei casi in cui il discendente assegnatario dei beni d’impresa godesse già di sostanze sufficienti a far fronte all’obbligo legale di cui all’art. 768- quater, secondo comma, c.c.”

220 Così G. Petrelli, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv. notariato,

fasc.2, 2006, pag. 401 e ss. e S. Delle Monache, Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia, in Riv. notariato, fasc.4, 2006, pag. 889

221 Sostenitore della tesi affermativa è anche F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice

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comma, c.c. In questa fase, infatti, si tiene conto solo del numero complessivo dei legittimari ai fini del calcolo delle rispettive quote, mentre eventuali rinunce, rimandate al termine di questa operazione, non potranno incidere in questa fase necessaria del procedimento di liquidazione poiché il diritto di credito di cui sarebbero titolari i legittimari non è ancora sorto222. Al termine della determinazione della quota di liquidazione, che è il risultato di una mera operazione matematica, saranno le parti a diventare protagoniste potendo rinunciare alla quota oppure pervenire ad un accordo volto ad attribuire ad alcuni fra essi quote maggiori o minori di quelle legalmente necessarie alla definitiva tacitazione delle loro ragioni223.

È discusso in dottrina se, a seguito di rinuncia alla quota da parte di un legittimario, la stessa vada ad accrescere le quote degli altri non assegnatari, oppure vada a beneficio del discendente che ha ricevuto l’azienda o le partecipazioni sociali. La soluzione dipende dalla qualifica che si dà a tale atto di rinuncia. Se si ritiene che tale rinunzia dia luogo ad una remissione del debito (che determina estinzione del rapporto obbligatorio) ne consegue l’impossibilità di veder accresciute le quote degli altri non assegnatari. Chi, invece, configura la mancata accettazione come una rinuncia al credito vera e propria è portato a sostenere che la quota rinunciata si accresca agli altri contitolari del rapporto obbligatorio224. A mio avviso, la questione

perde gran parte della sua rilevanza se si pensa che l’atto di rinuncia viene compiuto nel pieno della fase della negoziazione davanti al pubblico ufficiale, il quale verosimilmente non mancherà di invitare le

222 F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile Commentario, P. Schlesinger – D.

Busnelli, Giuffrè Editore, 2012, p. 214 e ss.

223 In questo senso G. Petrelli, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv.

notariato, fasc.2, 2006, pag. 401 e ss.

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parti a trovare un accordo su chi sarà il destinatario della quota in tutto o in parte rinunciata.

Più rilevante è, semmai, illustrare le modalità con cui è possibile che venga adempiuto l’obbligo di liquidazione. A seguito della conversione della quota di legittima nella quota di liquidazione, nasce in capo ai discendenti estromessi dall’assegnazione del complesso aziendale un diritto di credito che, salvo rinuncia, dovrà essere soddisfatto secondo una delle seguenti modalità.

La più semplice è certamente quella dell’adempimento immediato che potrà avvenire mediante il pagamento delle somme previste oppure, fermo restando il consenso dei creditori, mediante trasferimento di beni in natura. La liquidazione attuata attraverso il pagamento di somme di denaro non pone molti problemi, in quanto si tratterà dell’adempimento di un’obbligazione di dare e, precisamente, di un’obbligazione pecuniaria alla quale sarà applicabile la relativa disciplina codicistica225.

Più problematica è la possibilità, prospettata da molti commentatori della legge, che la liquidazione avvenga attraverso pagamento dilazionato. L’ostacolo che tradizionalmente si oppone alla configurabilità di una tale forma di pagamento è da rinvenire nel fatto che solo con un adempimento immediato dell’obbligo di liquidazione si consentirebbe di ottenere quella stabilità degli effetti che necessariamente deve connotare il patto di famiglia: solo così si avrebbe quella tacitazione delle ragioni successorie dei legittimari in grado di determinare la disattivazione dei rimedi della collazione e della riduzione226. Tuttavia, mi trova concorde chi ritiene eccessivo

225 F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile Commentario, P. Schlesinger – D.

Busnelli, Giuffrè Editore, 2012, p. 218 e ss.

226 A. Angrisani, Salvatore Sica, Il patto di famiglia e gli altri strumenti di

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precludere l’assunzione di obbligazioni di pagamento nel patto di famiglia, tanto più che i legittimari possono addirittura rinunciare alla liquidazione: e chi può rinunciare alla liquidazione può evidentemente rinunciare anche alla “tutela reale”, rappresentata dal pagamento immediato, accontentandosi di una “tutela meramente obbligatoria”227.

Aderendo a questa ricostruzione228, si è poi sostenuto come i legittimari, avendo pattuito la dilazione del pagamento, non potranno godere della tutela offerta dall’art. 768-sexies, 2° comma, c.c., ma potranno soltanto affidarsi ai normali rimedi previsti per l’inadempimento229.

Alternativa alla liquidazione attraverso una somma di denaro è quella che prevede il trasferimento di beni in natura ai non assegnatari. Come anticipato, presupposto per la liquidazione in natura è il necessario consenso di tutti i contraenti. La dottrina ha tentato di dare un qualificazione giuridica al trasferimento di beni in natura osservando come ciò non rappresenti un’attribuzione per spirito di liberalità né da parte dell’assegnatario, né da parte del disponente, dato che la liquidazione dei legittimari non deriva da un atto di volontà, bensì da un obbligo di previsto dalla legge230: ne consegue la natura di

atto traslativo gratuito non liberale con causa solutoria231. Una causa

solutoria che certamente colora anche la causa dell’intero patto di

227 Fietta, Patto di famiglia, in CNN Notizie, 14 febbraio 2006, cit.

228 Così A. Angrisani, Salvatore Sica, Il patto di famiglia e gli altri strumenti di

successione nell'impresa, G. Giappichelli Editore, 2007, p. 80 e ss.

229 A conclusione opposte arriva F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile

Commentario, P. Schlesinger – D. Busnelli, Giuffrè Editore, 2012, p. 221, il quale esclude la possibilità di utilizzare i tradizionali rimedi contro l’inadempimento delle obbligazioni, e sottopone l’operatività della dispensa da collazione e riduzione all’adempimento dell’obbligazione pecuniaria da parte dell’assegnatario.

230 F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile Commentario, P. Schlesinger – D.

Busnelli, Giuffrè Editore, 2012, p. 222 e ss.

231 A. Angrisani, Salvatore Sica, Il patto di famiglia e gli altri strumenti di

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famiglia ma non la esaurisce, vista la complessità di interessi al cui soddisfacimento il negozio è preposto.

L’ultima forma di liquidazione contemplata dalla legge si desume dal disposto dell’art. 768-quater, 3° comma, secondo periodo, c.c. il quale prevede che “l’assegnazione può essere disposta anche

con successivo contratto che sia espressamente dichiarato collegato al primo e purché vi intervengano i medesimi soggetti che hanno partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti”.

Questa norma disciplina l’ipotesi di una liquidazione successiva alla conclusione del patto di famiglia che si realizza attraverso un contratto collegato dimostrando come anche il patto di famiglia possa configurarsi come una fattispecie a formazione progressiva232. Il motivo che ha indotto il legislatore ad introdurre la norma in commento deve essere ravvisato, da un lato, nella probabile difficoltà di ottenere contestualmente il consenso alla stipula del patto da parte di tutti i legittimari, (posto che l’assenza di uno soltanto fra questi impedisce la disattivazione dei rimedi successori esperibili all’apertura della successione dell’imprenditore) e, dall’altro, nell’eventuale mancanza, in capo all’assegnatario, di finanze adeguate a liquidare i non assegnatari dei beni d’impresa233. In tali situazioni, infatti,

piuttosto che rimandare la stipulazione di un patto di famiglia, privo dei necessari presupposti, ad un momento indeterminato, risulterà più conveniente per tutti procedere alla stipulazione di due contratti collegati in cui la produzione degli effetti riguardante la liquidazione dei legittimari viene rinviata ad un momento successivo234. Così, il

232 Tra gli altri si vedano G. Petrelli, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv.

notariato, fasc.2, 2006, pag. 401 e ss. e F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile Commentario, P. Schlesinger – D. Busnelli, Giuffrè Editore, 2012, p. 234

233 A. Angrisani, Salvatore Sica, Il patto di famiglia e gli altri strumenti di

successione nell'impresa, G. Giappichelli Editore, 2007, p. 87

234 F. Volpe, Patto di famiglia, in Il Codice civile Commentario, P. Schlesinger – D.

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patto di famiglia, data la complessità degli interessi coinvolti, sarà composto da una sorta di preliminare di trasferimento in cui si stabiliscono gli elementi fondamentali (il valore dei beni trasferiti, la quota di liquidazione dei legittimari, i tempi entro cui deve essere concluso il secondo contratto) ed un contratto definitivo collegato al primo in cui tutti, legittimari compresi, vengono soddisfatti in ciò che spetta loro235.

Inoltre, è fondamentale, poiché lo impone la lettera della legge, che il secondo contratto “sia espressamente dichiarato collegato al

primo”. La previsione è finalizzata a palesare l’unicità complessiva

dell’operazione e rivela la soggezione del secondo contratto alle vicende giuridiche che coinvolgono il patto di famiglia. In altri termini, questo tipo di collegamento negoziale farebbe parte di quella categoria in cui l’interdipendenza tra i due contratti ha natura unilaterale, per cui il secondo negozio è subordinato e accessorio rispetto al primo e ne segue la medesima sorte, ma non viceversa. Si tratta, inoltre, di un collegamento volontario e non necessario, in quanto, pur essendo un’ipotesi prevista dalla legge, è determinante la libera volontà delle parti in tal senso236.

Per quanto, infine, riguarda l’ultima parte dell’inciso dove si dice “purché vi intervengano i medesimi soggetti che hanno

partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti”, è

doveroso precisare come la partecipazione al primo contratto dei legittimari sia finalizzata a determinare il valore dell’azienda e, perciò,