1. La disciplina in materia di valutazione dei rischi
1.1. L’ordinamento italiano
1.1.4. La disciplina sulla valutazione dei rischi alla
Sono emerse, più nella riflessione medico legale che giuslavori-stica, critiche nei confronti del sistema di valutazione dei rischi rispetto all’efficacia e idoneità di tutela relativa a quelli di natura psicosociale.
Quanto agli strumenti per tutelare la salute del lavoratore in que-sto quadro nuovo e dinamico, gli Autori evidenziano una
inade-guatezza della normativa vigente in tema di valutazione del ri-schio. Tale normativa, infatti, si sovrappone a quella sullo stress creando incertezze, ambiguità e distinguo che non trovano giu-stificazione. Il d.lgs. n. 81/2008, infatti, fa propria la nozione di salute così come intesa dall’Organizzazione mondiale della sani-tà, ossia «stato di completo benessere fisico, mentale e sociale», rendendo con ciò evidentemente superflui i provvedimenti in-centrati sulla nozione di «benessere organizzativo», che risulta inglobata in quella di salute. Data la coincidenza dell’oggetto del-le due del-legislazioni (la salute dei lavoratori) «ciò che nei fatti si ve-rificava era che nel caso dello stress una valutazione basata sulle percezioni dei lavoratori fosse (ed è tuttora) considerata “even-tuale” e comunque non sufficiente per la stima del rischio, men-tre nel caso del benessere organizzativo una valutazione basata sulle percezioni dei lavoratori venisse considerata appropriata».
Si auspica quindi un’armonizzazione e una semplificazione della normativa e un «aggiornamento delle indicazioni della Commis-sione consultiva, che incentivasse in maniera più chiara e netta l’adozione della valutazione approfondita, eliminando quanto-meno la sua subalternità alla valutazione preliminare e racco-mandandone l’utilizzo in particolare in quei contesti a rischio noto per lo stress da lavoro» (C. BALDUCCI, F. FRACCAROLI, Stress lavoro-correlato: questioni aperte e direzioni future, in Giornale ita-liano di psicologia, 2019, n. 1-2, pp. 53-54).
La metodologia dell’INAIL, per conformarsi alle indicazioni del-la Commissione consultiva tramite le c.d. check list, pur rappre-sentando un lodevole sforzo dell’amministrazione per la sensibi-lizzare sul tema dello stress e dei rischi psicosociali e per il sup-porto alle aziende per implementare e validare tale metodologia (inclusa la messa a punto di una piattaforma online, utilizzabile gratuitamente, che assiste in tutte le fasi del ciclo di controllo dello stress), presenta delle criticità (C. BALDUCCI, F. F RACCA-ROLI, op. ult. cit., p. 54).
È stato sottolineato come la valutazione del rischio stress lavo-ro-correlato sia particolarmente complessa, e questa complessità non è adeguatamente presa in considerazione sia dalla normativa sia dagli strumenti approntati dall’INAIL. Tra i limiti presentati da quest’ultimo, degno di nota è il considerare i c.d. “eventi sen-tinella” come cause, e non come potenziali esiti di una condizio-ne di stress già in atto. Risulta inoltre improprio dal punto di vi-sta scientifico indicare una soglia per delimitare la necessità di interventi migliorativi, poiché lo stress lavorativo risente di una elevata complessità determinata da una quantità di fattori dina-mici e interdipendenti tra loro che possono portare esiti diffe-renti da un gruppo di lavoratori ad un altro. Sarebbe opportuno abbandonare il concetto di soglia e prevedere una valutazione del rischio finalizzata alla definizione delle priorità di intervento, introducendo un miglioramento continuo delle condizioni psi-cosociali del lavoro. L’accordo europeo definisce lo stress lavo-rativo come «uno stato che si accompagna a malessere e disfun-zioni fisiche, emotive e psichiche o sociali, conseguente alla sen-sazione individuale di non essere in grado di affrontare le richie-ste e le attese porichie-ste dal lavoro». La reazione da stress si attiva at-traverso l’amigdala (un complesso nucleare situato nella parte dorso-mediale del lobo temporale del cervello, che gestisce le emozioni, e la paura in particolare) quando si percepisce o si in-tuisce una minaccia fisica o psicologica, e diventa nociva quando si è impossibilitati nel far fronte adeguatamente alla situazione.
La valutazione del rischio stress lavoro-correlato dovrebbe quindi rilevare le condizioni lavorative che possono configurare una situazione minacciosa per il lavoratore. A tal proposito, le indicazioni della Commissione promuovono una valutazione
“oggettiva”, da non intendersi però nei termini di una stima ma-teriale della nocività dei fattori psicosociali, impossibile da farsi.
«Per sua stessa definizione, lo stress lavoro-correlato può essere valutato passando per la percezione/descrizione/valutazione che i lavoratori attribuiscono alle condizioni di lavoro». In un’ottica di prevenzione generale del rischio da stress lavorativo,
l’analisi della percezione dei lavoratori tramite tecniche psicolo-giche si presta quale metodo più valido e corretto per mappare l’ambiente lavorativo (così P. CAMPANINI, Stress lavoro-correlato e la sua valutazione, in Giornale italiano di psicologia, 2019, n. 1-2, pp.
79-86).
Inoltre, gli eventi sentinella «sono indicatori molto grezzi di stress e […] i risultati evidenziavano delle correlazioni tra eventi sentinella e i fattori di contenuto e di contesto del lavoro defini-te, rispettivamendefini-te, deboli. […] Un ulteriore elemento cruciale riguarda l’assenza di evidenze di affidabilità della check list, affi-dabilità intesa non solo nei termini del test-retest, ma in particolare come accordo tra i risultati ottenuti da due somministrazioni nelle quali sono coinvolti lavoratori diversi dello stesso gruppo omogeneo». Analogamente, lo strumento indicatore copre solo un set ristretto di fattori di rischio psicosociale, mostrando anch’esso una vulnerabilità di validità rispetto al contenuto (C.
BALDUCCI, F. FRACCAROLI, Stress lavoro-correlato: questioni aperte e direzioni future, cit., pp. 54-57; C.BARBARANELLI ET AL., Assessing objective and verifiable indicators associated with work-related stress: Vali-dation of a structured checklist for the assessment and management of work-related stress, in Frontiers in Psychology, 2018, n. 9, pp. 2424 ss.).
Un’altra criticità è quella relativa all’assenza di un approccio di genere nelle normative relative all’istituto.
Più precisamente emerge come esista una tutela precisa per le donne, ma non vi siano riferimenti relativi a come effettuare una valutazione dei rischi insisti nei luoghi di lavoro e legati alle dif-ferenze di genere. Per questo si rende necessario strutturare delle linee guida per la valutazione dei rischi dato che è una operazio-ne delicata e difficoltosa poiché «la progettaziooperazio-ne delle attrezza-ture produttive e dei dispositivi di protezione individuale è “ma-schilmente neutra” ovvero concepita per l’uomo medio e, quin-di, risulta del tutti inadatta a molte donne» (S. FERRUA, Rapporto EU-OSHA: la prospettiva di genere nelle politiche per la salute e la sicu-rezza sul lavoro, in Diritto delle relazioni industriali, 2015, n. 1, p 291.
L’Autrice valutando le normative europee e l’invito da parte del-la commissione europea di attuare un mainstreaming di genere –
«l’integrazione sistematica delle rispettive situazioni, priorità e necessità delle donne e degli uomini in tutte le politiche, nell’intento di promuovere la parità fra donne e uomini e mobili-tare tutte le politiche e le misure generali per raggiungerla ed at-tuarla, tenendo conto fin dalla fase di pianificazione, apertamen-te ed attivamenapertamen-te, dei loro effetti sulle situazioni rispettive delle donne e degli uomini nelle fasi di attuazione, monitoraggio e va-lutazione» – in tutte le politiche nota che comunque non si è an-cora sviluppata una precisa analisi e valutazione dei rischi di ge-nere nelle realtà lavorative. Di contro R.NUNIN, Lavoro femminile e tutela della salute e della sicurezza: nuovi scenari per una prospettiva di genere dopo il d.lgs. n. 81/2008, in Rivista del Diritto della Sicurezza so-ciale, 2011, n. 2, evidenzia le positività del sistema, in particolare ponendo l’accento su come sia innovativo in questo ambito il d.lgs. n. 81/2008 prevedendo l’obbligo per i datori di lavoro, nell’esercizio di valutazione dei rischi, di considerare l’impatto delle scelte sulle differenze di genere al momento della valuta-zione dei rischi al datore di lavoro non è chiesto soltanto di con-siderare gli stati di gravidanza e allattamento (situazioni di stretta peculiarità femminile), ma anche i dati (dal 2008 costruzione da parte dell’INAIL di una Banca dati al Femminile) per evidenzia-re tutti quei rischi e situazioni che sviluppano situazioni di po-tenziale pericolo per la componente femminile della forza lavo-ro, ma anche i rischi di molestie sessuali che possono svilupparsi nei contesti di lavoro, nonché la considerazione dei rischi deri-vanti da fenomeni legati allo stress lavoro-correlato. Tuttavia la stessa Autrice, richiamando i dati pubblicati dall’Ispesl (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro), evidenzia la necessità di considerare il doppio lavoro delle donne (profes-sionale e familiare) che impatta significativamente sui livelli di stress e fatica percepiti).
1.2. L’ordinamento spagnolo