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1. La disciplina in materia di valutazione dei rischi

1.1. L’ordinamento italiano

1.1.2. L’oggetto e la strategia complessiva

Dalle riflessioni dottrinali sull’istituto è possibile evidenziare in-nanzitutto la questione relativa all’oggetto della valutazione dei rischi, che è, a sua volta strettamente connesso a quello dell’ampiezza oggettiva della stessa obbligazione prevenzionisti-ca del datore di lavoro e della opportunità di introdurre (o con-siderare implicitamente operativo) il c.d. principio di precauzio-ne.

Si ritiene che il riferimento a “tutti i rischi presenti” debba essere inteso nel senso di comprendere «non solo quelli per così dire materialmente evidenti ed attuali, ma anche tutti quelli che anche in potenza potrebbero presentarsi in ragione del modo in cui si struttura l’organizzazione del lavoro» (F.OLIVELLI, op. ult. cit., p.

280; A. STOLFA, La valutazione dei rischi, I Working Papers di Olympus, 2014, n. 36, p. 10, che «La conferma di ciò giunge dal-lo stesso art. 28, comma 1, quando collega strettamente la valu-tazione dei rischi alla scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché alla sistema-zione dei luoghi di lavoro. Previsione che, letta attentamente, evidenzia l’importanza dell’agire organizzativo del datore di la-voro (la scelta delle attrezzature; la sistemazione dei luoghi) che una recente giurisprudenza di merito pare aver colto là dove ri-leva l’indelegabilità della scelta delle attrezzature di lavoro in quanto essa implica una valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori». Nello stesso senso C. LAZZARI, Per un (più) moderno diritto della salute e della sicurezza sul lavoro: primi spunti

di riflessione a partire dall’emergenza da Covid-19, cit., pp. 138 ss., evi-denzia come l’ampiezza dell’oggetto della valutazione è correlata anche alla evoluzione dei luoghi di lavoro, affermando che «sul piano squisitamente cogente, pare imporsi un’interpretazione davvero globale, nel senso d’integrata, dell’obbligo di valutazione dei rischi, sempre meno legato al tradizionale concetto fisico di luogo di lavoro e sempre più dipendente da quello, non reificato, di organizzazione, che, del resto, nei nuovi contesti produttivi del lavoro digitale si sta caratterizzando in termini viepiù de-materializzati. Non a caso, l’art. 2, comma 1, lett. q, del d.lgs. n.

81/2008 opportunamente definisce detto obbligo quale “valuta-zione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicu-rezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività […]”: dai rischi generati dall’organizzazione medesima e destinati a riflettersi altresì sull’ambiente esterno e sulla popolazione, come nel caso, anch’esso di stringente attualità stante la rivoluzione tecnologica in corso, dell’utilizzo di droni per lo svolgimento di attività lavo-rative all’aperto; ai rischi addirittura esogeni rispetto al progetto produttivo datoriale in senso stretto, ma pur sempre connessi all’occasione di lavoro, come quelli discendenti da condotte cri-minose/terroristiche di terzi o derivanti dalla presenza, nel luogo di destinazione in cui il lavoratore è inviato in missione, di ma-lattie infettive non diffuse nel Paese di provenienza. Invero, tale definizione, “facendo esplicito riferimento all’organizzazione come sede e fonte dei rischi, parrebbe evocare non solo una realtà logistico-funzionale (il luogo di lavoro ed il ciclo produtti-vo), ma anche lo stesso ‘insieme delle regole del processo’ di la-voro”, ossia “un’azione-che-organizza” più che un’entità mate-riale, della quale s’impone, pertanto, in un’ottica di prevenzione primaria, una considerazione in chiave analitica, tale, cioè, da permettere l’individuazione delle scelte rischiose e delle soluzioni organizzative alternative idonee a evitarle». Evidenzia inoltre il carattere dinamico e aperto dell’obbligo di valutazione dei rischi e della relativa documentazione L. ANGELINI, La valutazione di

tutti i rischi, in P. PASCUCCI (a cura di), Salute e sicurezza sul lavoro Tutele universali e nuovi strumenti regolativi a dieci anni dal d.lgs. n.

81/2008, Franco Angeli, 2019, pp. 100-101).

Dal punto di vista della strategia complessiva, è necessario che questa si configuri in maniera duale. Le strutture dovranno esse-re aggiornate e esse-rese conformi ai nuovi standard posto che le so-luzioni più innovative per le nuove fabbriche sono ancora in via di sviluppo. Ciò che differenzia le procedure di revisione e di ammodernamento, non solo delle strutture, ma anche delle opera-tion delle strutture produttive dell’Industry 4.0 da quelle tradizio-nali, è senz’altro la rapidità dei processi di cambiamento che de-terminano l’obsolescenza dei processi e l’emersione di nuove esigenze – anche in termini di salute e sicurezza – e, quindi, la necessità di una altrettanto rapido adeguamento e compliance. Pa-rallelamente il «numero di configurazioni realizzabili per soddi-sfare le potenziali esigenze dovrà comportare una valutazione dei rischi separata per ciascuna di esse» necessario in tema di va-lutazione dei rischi, promuovere lo sviluppo di nuovi strumenti metodologici e gestionali come ad esempio gli strumenti per la gestione e il miglioramento della sicurezza che il World Class Ma-nifacturing (WCM) pone per giungere al pieno coinvolgimento dei lavoratori. In ottemperanza all’approccio proattivo promosso da WCM il DVR non sarà più necessario per la mera conformità formale agli obblighi imposti dalla normativa di settore, ma sarà indispensabile progettare le macchine o il ciclo produttivo in modo tale che possa inglobare al suo interno di default la prote-zione del lavoratore (M.TRONCI, La gestione della sicurezza nei pro-cessi industriali della smart factory e del digital manufacturing, in Ri-vista degli infortuni e delle malattie professionali, 2017, n. 2, pp. 233- 251).

Da questa impostazione dettata dal Testo Unico la dottrina fa discendere l’operatività del principio di precauzione dal momen-to che «nell’obbligo di valutare tutti i tipi di rischio professionale un’esplicita adozione del principio di precauzione, qualora non si

volesse accettare che tale criterio fosse già operante alla stregua dell’art. 2087 c.c.», A.ROTA, Stampa 3D: un nuovo rischio da ignoto tecnologico?, in Labour & Law Issues 2015, vol. 1, n. 1, p. 116. Nello stesso senso L. MONTUSCHI, Verso il testo unico sulla sicurezza del lavoro, in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, 2007, p.

802). Sul principio di precauzione, P. TULLINI, A rischio amianto?, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2007, I, pp. 453-474.

Con riferimento a siffatta formulazione dell’obbligo datoriale, la dottrina ha criticato l’impostazione legislativa che prevede sia un obbligo di valutazione generale (riferito cioè a tutti i rischi pre-senti) sia alcuni obblighi specifici di valutazione legati a situazio-ni ritenute dal legislatore particolarmente meritevoli di tutela (la valutazione dei rischi da stress lavoro correlato e quelli correlati al genere, all’età o alla provenienza da altri Paesi), ritenendo tale specificazione superflua e ridondante (E. GRAGNOLI, Commento all’art. 28 d.lgs. 81/2008, in C.ZOLI (a cura di), Principi comuni, La nuova sicurezza sul lavoro, Commentario diretto da L.MONTUSCHI, Zanichelli, 2011, pp. 396 ss.). In senso contrario è stato invece evidenziato come tale previsione sia perfettamente coerente con il sistema e funzionale a richiamare l’attenzione del datore su al-cuni rischi specifici da prendere sempre in considerazione, con il chiaro intento di «migliorare l’efficacia prevenzionale del sistema aziendale nel rilevare e gestire i rischi più significativi e guidare il datore di lavoro verso un adempimento corretto e esaustivo dell’obbligo di sicurezza che lo aiuti a non incorrere nelle re-sponsabilità che altrimenti ne deriverebbero» (L. ANGELINI, La valutazione di tutti i rischi, cit., p. 94).

1.1.3. I soggetti coinvolti. Il ruolo del medico competente