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2. IL CORPUS: LE DISTOPIE CRITICHE

2.2 IL GENERE DISTOPICO

2.2.2 La distopia critica

In “Three Faces of Utopianism (Revisited)” (1994), Lyman Tower Sargent aveva riconosciuto in romanzi come He, She, It di Marge Piercy, un’inedita commistione di eutopia e distopia. Per lo studioso americano tuttavia, non si trattava di proclamare la nascita di un ibrido “eutopico-distopico”, semmai di registrare una nuova tendenza all’interno del solo genere distopico. Sargent definisce poi

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anche altrove questa nuova evoluzione del genere chiamata da allora critical dystopia, che definise nelle seguenti righe:

[…] a non-existent society described in considerable detail and normally located in time and space that the author intended a contemporaneous reader to view as worse than contemporary society but that normally includes at least one eutopian enclave or holds that the dystopia can be overcome and replaced with a eutopia (Sargent, “US Utopias” 165).

Per quanto riguarda l’aggettivo “critical”, Sargent si rifà all’uso che ne aveva fatto Moylan in riferimento alle utopie critiche affrontate nel paragrafo precedente, quindi testi che rifiutano l’utopia come modello di società perfetta ma che la mantengono in quanto ‘sogno’ di un cambiamento radicale che può avvenire senza una formula prescrittiva e soprattutto in maniera dinamica e autocritica, cosciente dei propri limiti e sempre rivolta al miglioramento.

A partire dall’osservazione di Sargent sull’opportunità di riconoscere un nuovo tipo di distopie con la possibilità di chiamarle “critiche”, sulla scia dello studio delle utopie critiche di Moylan, è Baccolini che approfondisce struttura, forme e contenuti della distopia critica, in particolare quella scritta da donne e in prospettiva femminista, sottolineando in particolare quanto tali distopie veicolino il loro portato di contestazione attraverso il gioco che lega indissolubilmente genere letterario e prospettiva di genere: da qui il titolo del suo saggio “Gender and Genre in the Feminist Critical Dystopias of Katharine Burdekin, Margaret Atwood and Octavia Butler” (Baccolini 2000). Dopo le utopie degli anni sessanta e settanta, l’utopia sembra infatti giunta a una crisi come forma letteraria in grado di veicolare un’istanza di cambiamento. Era arrivato il momento delle distopie critiche le quali, sorprendentemente e a loro modo, sarebbero state le sole a mantenere un’istanza di resistenza e speranza.

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Baccolini ha riconosciuto come ad aver contribuito allo sviluppo di tale categoria, siano state in particolare opere di fantascienza femministe che hanno al centro temi come la discriminazione istituzionalizzata delle donne, con un conseguente controllo dei corpi e della riproduzione, e una generalizzata discriminazione basata sul genere e l’orientamento sessuale che a propria volta è intrecciata con una discriminazione etnica e di classe4. Nel saggio in cui realizza questo puntuale

riscontro, la studiosa analizza in particolare i romanzi Swastika Night (1937; edizione italiana La notte della svastica 1993) di Katharine Burdekin, Kindred (1979; ed. it. Legami di sangue 2005) e The Parable of the Sower (1993; ed. it. La parabola del seminatore 2000) di Octavia Butler e The Handmaid’s Tale (1985; ed. it. Il racconto dell’ancella 1988) di Margaret Atwood.

In questo nuovo sottogenere distopico sono presenti due elementi fondamentali. Innanzitutto, a caratterizzare questi romanzi è la loro capacità di preservare un impulso utopico, per quanto flebile, al loro interno, tramite dei finali aperti o attraverso un’enclave utopica (come nel caso di Parable of the Sower di Octavia E. Butler) a differenza dei classici della distopia centrati su un punto di vista maschile (dove la stereotipizzazione dei generi sembra contagiare anche l’autore) come 1984 di Orwell e Brave New World di Huxley, nei quali il protagonista distopico alla fine del romanzo soccombe venendo “riassorbito” dal sistema.

Secondariamente, l’aspetto che li caratterizza è l’erosione dei confini tra i generi. Mescolando convenzioni provenienti da altre forme letterarie – come il romanzo epistolare o il romanzo storico – le distopie critiche femministe riescono a rinnovare la tradizione della fantascienza, monopolizzata da una prospettiva patriarcale e maschilista.

L’analisi di Baccolini contempla testi degli anni ottanta e novanta – Atwood e Butler come anticipato – ma include anche il romanzo di Burdekin che, nonostante sia stato pubblicato nel 1937,

4 Per un approfondimento dettagliato sul genere fantascientifico scritto da donne e sulla sua specificità, si veda Quando

la fantascienza è donna di Federici (2015) che inquadra il genere come erede della tradizione utopica femminista dell’Ottocento.

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permette alla studiosa di sottolineare come tale tendenza, sebbene l’oblio storico inflitto all’autrice, fosse già in nuce circa cinquant’anni prima. Per autrici come Burdekin, e come più tardi Atwood e Butler, riscrivere un genere letterario contaminandolo, costituisce una pratica sovversiva per eccellenza e che oltretutto le ricollega a quel percorso di autocritica e autoconsapevolezza del genere utopico iniziato con le utopie critiche:

It is this element of openness and resistance to closure that the new dystopia of the 1980s and 1990s shares with the critical utopia of the 1960s and 1970s. To paraphrase what Moylan (and feminist critics) say about the critical utopia, in their formal operations, both critical utopias and dystopias negate static ideals, preserve radical action, and create a space in which opposition can be articulated and received. (Baccolini, “Gender” 17)

I testi del corpus, come si vedrà, non solo e semplicemente rientrano in questa particolare categoria dal momento che sono ambientati in un mondo riconoscibile come distopico e caratterizzati dal persistere di un impulso utopico incarnato in un personaggio o un gruppo di personaggi, ma sembrano proseguire questa stessa tradizione.

A conclusione di questa parte dedicata alle caratteristiche della distopia e della distopia critica, il prossimo ed ultimo paragrafo di questo capitolo sul corpus, è incentrato su un aspetto particolarmente importante per alcuni testi considerati nell’analisi, e che è stato approfondito da Baccolini: l’importanza della memoria e la nozione di nostalgia critica.

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