1. TEORIE DI RIFERIMENTO
1.4 SULLA DIASPORA, IL CAMMINARE E IL NOMADISMO
1.4.3 Sul nomadismo
Proprio allo spazio liscio, Deleuze e Guttari hanno associato la figura del nomade, adatto a questo tipo di spazio aperto e insidioso “in cui la foresta si ritrae, in cui la steppa e il deserto crescono, e inventa il nomadismo come risposta a queste sfide” (Deleuze e Guattari 120). Lo spazio liscio del nomade è in contrasto con quello striato, normativo, dello Stato e della polizia.
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Qui si può rintracciare un punto di contatto con quanto osserverò nel corpus dei testi: i protagonisti sono ‘nomadi’ poiché decidono, o sono costretti, a non avere una stabilità spaziale, avendo rifiutato in alcuni casi di riconoscere come propri i luoghi distopici del proprio presente o del proprio passato prepandemico. La protagonista di On Such a Full Sea, ad esempio, lasciando la propria comunità chiusa ‘B-Mor’, e attraversando altri tipi di ambienti e realtà fino ad allora sconosciute nella speranza di ritrovare il proprio compagno scomparso, incarna un impulso utopico che liscia uno spazio striato: Fan rifiuta gli spazi del distopico e persevera nel proprio viaggio, aprendosi la strada a possibilità fino ad allora non contemplate.
Infine, in Mille Piani i due filosofi dedicano un capitolo a quella che chiamano Nomadologia, con riferimento al rizoma, il modello del sapere secondo Deleuze e Guattari che non vive secondo rapporti gerarchici ma per connessioni successive laterali (il rizoma non ha un centro, non ha inizio né fine). È proprio con la “nomadologia” che si può percorrere la trama di connessioni rizomatiche tra segni e saperi differenti.
A proposito di nomadismo filosofico ispirato da Deleuze, qui mi preme considerare anche la fondamentale nozione di ‘soggetto nomade’ elaborata dalla filosofa e femminista Rosi Braidotti, che recentemente ha pubblicato una nuova edizione del suo lavoro pubblicato originariamente nel 1994, Nomadic Subjects. Embodiment and Sexual Difference in Contemporary Feminist Theory, Second Edition (2011). Braidotti qui auspica l’instaurarsi di una ‘coscienza nomade’ come prospettiva di pensiero e come prassi che rifiuta di considerare qualsiasi identità come fissa, permanente. Da questo punto di vista, la sua auspicata attenzione alla soggettività nomade si sovrappone con quello sradicamento tipico della diaspora che abbiamo affrontato nella sezione precedente con Miguel Mellino e Paul Gilroy (cfr. 1.4.1), e che ritroveremo nei romanzi del corpus.
In effetti, in Braidotti torna con forza il pensiero critico ispirato a una prospettiva fluida e ibrida che riconosca le soggettività sfaccettate e diasporiche contemporanee che non possono più essere confuse o assimilate semplicisticamente sotto la semplice ‘metafora’ del nomadismo e della
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precarietà dell’individuo nelle società odierne. Tale semplificazione sarebbe solo dannosa se non si esplorassero le varie soggettività esistenti che, come afferma la stessa Braidotti, sono molteplici:
Being nomadic is not a glamorous state of jet-setting – integral to and complicitous with advanced capitalism (Alcoff 2006). It rather points to the decline of unitary subjects and the destabilization of the space-time continuum of the traditional vision of the subject. Be homeless, a migrant, an exile, a refugee, a tourist, a rape-in-war victim, an itinerant migrant, an illegal migrant, an expatriate, a mail-order bride, a foreign caretaker of the young or the elderly of the economically developed world, a high-flying professional, a global venture financial expert, a humanitarian relief worker in the UN global system, […] these are no metaphors. […] These are highly specific geopolitical and historic locations – it’s history and belonging tattooed on your body. (Braidotti 11)
In contrasto con identità fisse e stabili, Braidotti auspica una presa di coscienza etica, oltre che metodologica, per rendere finalmente conto in maniera efficace di queste varie soggettività stratificate e diasporiche – dal senzatetto, al turista, dal richiedente asilo, all’espatriato, alla vittima dello stupro di guerra – nei confronti delle quali sono necessari accurati e fondamentali distinguo dei vari contesti sociopolitici ed economici di origine che determinano queste soggettività ‘nomadi’ nel mondo globalizzato.
In questa parte dedicata alle prospettive teoriche di riferimento, e in questo paragrafo dedicato in particolare al nomadismo, accennare al lavoro di Braidotti – che non si ferma ovviamente al testo da me citato ma anzi è proseguito e prosegue tuttora36 – costituisce un punto utile non solo a esplicitare
un riferimento necessario, ma anche per evidenziare come questa consapevolezza critica sul concetto di nomadismo e le sue varie articolazioni abbiano senza dubbio influenzato e arricchito anche il
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discorso della critica letteraria e non solo, proprio perché, come sostiene Braidotti, l’immaginazione è strumento imprescindibile:
The nomadic subject is a myth, or a political fiction, that allows me to think through and move across established categories and levels of experience: blurring boundaries without burning bridges. Implicit in my choice of this figuration is the belief in the potency and relevance of the imagination, of myth making, as a way to step out of the political and intellectual stasis of our times. Political fictions may be more effective, here and now, than theoretical systems. (26)
Per la filosofa, anche la capacità di ‘creare miti’ che sta alla base di un concetto politico come il suo soggetto nomade, può non solo permetterci di fuoriuscire dalla stasi dei nostri tempi ma anche di avere un riverbero politico, più efficace persino di interi sistemi teorici. Braidotti prosegue puntualizzando i termini entro i quali si muove il suo ragionamento sul nomadismo: “The nomadism in question here refers to the kind of critical consciousness that resists settling into socially coded modes of thought and behaviour” (Braidotti 26). Braidotti include nella sua impresa teorica anche i soggetti nomadi ‘del pensiero’, coloro quindi che non necessariamente intraprendono una dislocazione spaziale, a sottolineare che lo stato nomadico riguarda primariamente un risveglio della coscienza e la sovversione di convenzioni prestabilite. Nei testi che andrò ad analizzare (cfr. Capp. 3, 4 e 5), mi concentrerò invece sul dato della mobilità spaziale dei personaggi, ma tale focus non ridurrà l’impatto della nozione di ‘soggetto nomade’ della filosofa, anzi mostrerò proprio come i personaggi sovrappongono nel proprio percorso di fuoriuscita dalla società distopica e nel loro rifiuto dello stanziamento postapocalittico, un impulso utopico che è tale proprio perché nomadico nel senso braidottiano, quindi spiccatamente politico, in quanto quelle componenti individuate dalla filosofa di “consciousness-raising and the subversion of set conventions” (27) costituiscono proprio gli ingredienti per l’insorgere di una nuova consapevolezza e di un desiderio che viene educato – direbbe Levitas – a sovvertire proprio le ‘set conventions’ del mondo di partenza, ovvero costituirebbero
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l’utopia. Dunque, nelle distopie critiche che vedremo, stato nomadico e impulso utopico si mostreranno come non mai affini e vicendevolmente intrecciati.
In maniera interessante, si può anche notare che tale componente di nomadismo e di dislocamento è affine anche all’esperienza stessa della lettura e ai meccanismi della narrazione. Sembra che la storia, e soprattutto quella delle lingue, abbia da sempre apparentato infatti quella forma in scala ridotta del nomadismo che è il vagare, e la narrazione. Pensiamo, per esempio, ai cavalieri erranti nell’Orlando Furioso di Ariosto, che errano in più di un senso, prima di tutto attraversando i continenti e imbattendosi in nuove avventure, e secondariamente errano perché gli imprevisti da cui sono colti li spingono spesso a prendere decisioni sbagliate che origineranno nuove disavventure. Per il piacere di chi legge, la divagazione non cessa di essere contemporaneamente motore di peripezie sempre nuove e motore della narrazione (che, ci sembra, potrebbe durare all’infinito).
Quando Teresa de Lauretis mette in relazione il senso di meraviglia con il vagare, una parentela che vive solo nella lingua inglese, sottolinea la connessione tra l’esperienza dello spazio e l’esperienza della lettura: ‘wonder’ e ‘wander’ sono separate nel significato solo da una vocale, e hanno anche la stessa pronuncia. De Lauretis afferma:
The reader’s sense of wOnder as awe, marvel, portent, revelation is replaced by a sense of wAndering through a mindscape both familiar and unfamiliar. Displaced from the central position of the knowledgeable observer, the reader stands on constantly shifting ground, on the margins of understanding, at the periphery of vision: hence the sense of wAnder, of being dislocated to another space-time continuum where human possibilities are discovered in the intersection of other signs with other meanings. (de Lauretis 165)
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In quello che sembrerebbe un omaggio forse non troppo involontario a un soggetto postmoderno privo di riferimenti37 – e ai suoi debitori principali, Jorge Luis Borges e Italo Calvino – de Lauretis
parla del senso di sorpresa, forse più uno spiazzamento, del lettore, il quale decentrato rispetto a un punto di vista oggettivo e centrale sugli eventi narrati, giunge presto a un senso di spaesamento perché privo di punti di riferimento, e così vaga nel testo.
Nei romanzi che analizzerò nel prossimo capitolo, si vedrà come a essere significativamente presente sia un panorama in cui l’umanità, o una parte significativa di essa, attraversi una crisi profonda che la investe su un piano non solo materiale, ma relativa anche al senso di unità e di appartenenza a una comunità sicura. Ci sarà in effetti, un senso di spaesamento che si accompagna al paesaggio incerto, ma non per affermare semplicemente uno stato di dolore o di sgomento dei protagonisti, semmai è il punto di partenza per tentare, da parte loro e a modo loro, di abbandonare quello stesso spaesamento. In On Such A Full Sea, gli esseri umani sono o divisi in comunità chiuse oppure esclusi all’esterno, nelle caotiche, poverissime e violente Provincie; in Station Eleven, un’epidemia porta i pochi sopravvissuti a impadronirsi di ciò che rimane lontano dalle città, scomparse ormai perché collassate e abbandonate; in MaddAddam, dopo un’epidemia che ha ucciso gran parte dell’umanità, i pochi esseri umani superstiti cercano di sopravvivere riadattandosi come possono in ciò che rimane delle strutture ancora in piedi da prima del collasso.
Come avrò modo di mostrare, l’assenza della città sembra implicare non solo una mera riarticolazione del topos del collasso della civiltà, ma anche uno stato di spaesamento che coinvolge la dimensione esistenziale dei personaggi, in cerca di una stabilità sempre difficile da raggiungere e che forse non raggiungeranno mai. L’ipotesi è che a fronte di un tale panorama distopico, vi siano personaggi che incarnano un impulso utopico e siano anche gli stessi che fanno proprio quello
37 In un “classico” del postmoderno letterario come Città di vetro di Paul Auster, più identità si sovrappongono portando
il protagonista da un volontario gioco del doppio alla sua progressiva dissoluzione nel tessuto urbano, fino alla sua totale sparizione anche dal testo.
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spaesamento rielaborandolo in senso positivo, come se fosse la risposta più plausibile: alcuni di loro scelgono infatti di abbandonare i luoghi di origine e di partire, scegliendo una vita in movimento; in un caso, come in MaddAddam, i personaggi che ora tentano di ricostruire una civiltà, rammentano il proprio vagabondaggio esistenziale tra vari luoghi e identità prima che il mondo finisse. Anche in tal caso quindi i personaggi fanno proprio un nomadismo esistenziale in risposta alla società distopica di partenza che li vuole stabili e controllabili, spostandosi non solo da un luogo all’altro, ma anche da un ruolo e da un’identità all’altra.
Prima però di procedere con l’analisi dei testi, dedicherò il prossimo capitolo a un generale inquadramento del corpus delineando i criteri di selezione, e al genere letterario al quale appartengono i testi considerati, ovvero un particolare tipo di distopie: le ‘distopie critiche’.
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