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1. TEORIE DI RIFERIMENTO

1.3 SPAZIO E LETTERATURA

Negli ultimi decenni, una fondamentale conseguenza della svolta spaziale negli studi umanistici è stata una nuova sensibilità nell’analisi delle rappresentazioni letterarie dello spazio. Sia che si tratti della città, del panorama urbano o del paesaggio naturale, gli studiosi e le studiose della letteratura hanno iniziato a spostare il proprio focus sulle immagini dei resti e delle macerie, sui monumenti o sulla densità delle strade e delle vie in un romanzo oppure sulla componente naturale, ad esempio sul cambiamento climatico, e ipotizzando le implicazioni che tali rappresentazioni potessero avere ai fini della costruzione di una certa poetica sottesa nel testo32.

Campi del sapere e della ricerca come la cartografia letteraria, la geografia letteraria e la geocritica sono i principali modi in cui si è espresso questo nuovo interesse e hanno già avuto un

32 Una panoramica pubblicata in Italia su questa nuova prospettiva è Il senso dello spazio. Lo spatial turn nei metodi e

nelle teorie letterarie, a cura di Flavio Sorrentino (2010). Sempre in ambito italiano, un dettagliato e prezioso compendio sullo studio dello spazio in letteratura è stato scritto da Giulio Iacoli (2008).

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impatto significativo, come sottolineato da importanti teorici di questo ampio interesse per i luoghi letterari come Robert Tally Jr (2013), Lawrence Buell (2005) e Eric Prieto (2012). In vario modo tali discipline elevano gli spazi e i luoghi letterari a indicatori chiave della poetica veicolata dal testo e non si limitano a considerare lo spazio rappresentato una sorta di metafora, ma un agente che contribuisce, insieme ai protagonisti, alla costruzione del mondo immaginato dall’autore o autrice, con importanti implicazioni per una visione del mondo proiettata fuori dal testo. Di seguito, vediamo più da vicino gli elementi più significativi in particolare della geocritica di Bertrand Westphal, che recentemente ha riscosso un discreto successo nell’ambito della critica letteraria incentrata sul panorama urbano, e il rapporto tra Cartografia e Geografia letteraria, per come lo ha inteso in modo inedito lo studioso Tally.

La geocritica, fondata dal comparatista francese Bertrand Westphal, si fonda su un’analisi dei resoconti letterari di luoghi realmente esistenti. Ad esempio, la Parigi letteraria viene ‘ricostruita’ attraverso un lavoro di assemblaggio delle varie Parigi immaginate e descritte da scrittori e scrittrici nel corso della storia: pensiamo alla Parigi di Charles Baudelaire, a quella di Raymon Queneau, di Colette, di Simone de Beauvoir o di Victor Hugo. Al centro vi è sempre lo spazio che in tale riaffermazione della propria importanza scalza quella dell’autore: al centro non vi è dunque la città francese secondo Colette o Hugo, ma Parigi solamente, restituita da differenti angolature.

Nell’affermazione di un intreccio tra resoconto dello spazio che mette in evidenza come esso viene percepito e il fatto che tale rappresentazione non sia necessariamente stabile, Westphal accoglie la lezione di Lefebvre sullo spazio come prodotto complesso, sottolineando la multifocalizzazione degli sguardi su uno spazio scelto di riferimento. Egli afferma poi un legame profondo, di interdipendenza, tra luogo e rappresentazione:

La geocritica invece affronta un referente la cui rappresentazione letteraria non è più da considerarsi deformante, bensì fondatrice, dal momento che lo spazio cosiddetto “reale” è polifonico e non viene considerato singolare, stabile e affrancato dalle rappresentazioni di cui è oggetto. […] il referente e la sua

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rappresentazione sono interdipendenti, se non addirittura interattivi, legati tra loro in una relazione dinamica, sottomessa a un’incessante evoluzione. (Westphal 160)

Nonostante la sua prospettiva mal si inserirebbe in una ricerca incentrata sulle distopie, dove non si ha a che fare con luoghi realmente esistenti, la prospettiva della Geocritica contiene un principio che però si rivela estremamente interessante e utile, proprio in un contesto letterario utopico- fantascientifico. Tale principio si basa sulla convinzione che gli spazi rappresentati possano aprire visioni inaspettate della realtà che conosciamo. Una componente dunque di immaginazione e di prefigurazione che ricorda chiaramente le abilità del testo utopico e che possiamo riconoscere come qualità anche dei romanzi del corpus nel prossimo capitolo di analisi: qui non si prefigurano infatti città del futuro ma, come ipotizzerò, si articola la necessità di abbandonare forme precedenti distopiche del vivere insieme – le comunità recintate – per un approccio più aperto e dinamico alla convivenza e per ritrovare la spontaneità nella riappropriazione dello spazio, come ad esempio è il caso del Museum of Civilization nel romanzo di Emily St. John Mandel (cfr. Cap. 4) e la Casa d’argilla nel romanzo di Margaret Atwood (cfr. Cap. 5). Se la letteratura, secondo Westphal, riesce a immaginare possibilità, si potrebbe fare un passo ulteriore e riconoscere che tale merito è già quello proprio del genere utopico nato con More.

La geografia letteraria invece, in particolare attraverso il lavoro della studiosa Sheila Hones, ha confini più fluidi sia nelle prospettive che nell’applicazione e si riconosce quale recente sviluppo di una tradizione più lunga che rintraccia le proprie radici in testi come La poetica dello spazio di Gaston Bachelard (1957) e l’Atlante del romanzo europeo 1800-1900 (1997) di Franco Moretti. Robert Tally ricostruisce i rapporti tra Geografia e Cartografia letterarie con un punto di vista molto interessante: secondo lo studioso, la Cartografia è la prospettiva di chi scrive, il quale o la quale, non fa altro che scrivere una mappa narrativa (Tally ne parla proprio come di ‘map maker’), mentre la Geografia letteraria è la prospettiva di chi legge, la posizione che ha il compito di decifrare la ‘mappa’ immaginata e scritta dall’autore o autrice (Tally 2013). Questo doppio movimento di scrittura e lettura, che rendono le due discipline degli ambiti complementari, mi sembra che rimandi alla famosa

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tesi di Umberto Eco sul fatto che ogni testo sia incompleto e che la lettura sia dunque un processo di cooperazione (Lector 1979): la scrittura lascia degli spazi bianchi che devono essere colmati da chi legge il testo facendo riferimento a una serie di competenze.

Nella presente ricerca, tali ambiti critici non verranno adottati singolarmente e in maniera pedissequa ma risuoneranno nell’analisi del corpus nei termini di una particolare sensibilità nei confronti dello spazio rappresentato, inteso come depositario di nuovi significati e come agente. Nei romanzi, le rappresentazioni letterarie di luoghi non esistenti e di future non-città interpretano un nuovo senso di incertezza ma costituiscono anche il destinatario degli sforzi del soggetto utopico che vuole tentarne il sabotaggio e il superamento.