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local utility – 4.6. I percorsi di sviluppo – 4.7. I modelli di business emergenti – 4.8. Considerazioni conclusive

4.1 Considerazioni introduttive

Negli ultimi anni del secolo XX si è affermato progressivamente in tutta Europa un nuovo modello di gestione dei servizi di pubblica utilità. Di fronte ai fenomeni di scarsa ef- ficacia ed efficienza nella fornitura dei servizi pubblici da parte dello Stato, l’Unione Euro- pea ha promosso un modello di gestione dei servizi pubblici, in cui la proprietà delle infra- strutture sia separata dalla fornitura del servizio e la produzione dei servizi di pubblica utili- tà sia affidata a vere e proprie imprese (di proprietà pubblica o privata) libere di competere sul mercato. In particolare, i servizi “a rilevanza economica”, tra cui rientrano anche i servi- zi a rete, sono stati sottratti alla gestione diretta dello Stato (attuata mediante la proprietà pubblica dei gestori e il comando e controllo da parte dei ministeri del governo nazionale e degli assessorati delle amministrazioni locali) ed affidati alla regolazione esterna (demandata quando possibile allo stesso mercato o a meccanismi di regolazione in grado di simulare il mercato), confidando nell’efficacia della regolazione e nel corretto funzionamento del mer- cato concorrenziale.

Pertanto, il presupposto alla base di questo nuovo modello di fornitura dei servizi pub- blici, proposto dall’Unione Europea, è il corretto funzionamento del mercato, in cui il pro- fitto esprima il grado di efficacia ed efficienza raggiunta dalle imprese di pubblica utilità, in termini di raggiungimento di condizioni di durevole equilibrio economico nella gestione a- ziendale e di soddisfacimento delle richieste degli utenti del servizio.

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Questa impostazione teorica ha guidato i processi di liberalizzazione dei servizi di pub- blica utilità e di privatizzazione delle imprese operanti nel settore, avviati con i provvedi- menti di ridimensionamento del ruolo dello Stato nell’economia, che si sono susseguiti a cavallo tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI secolo. Tali processi di liberalizzazione e privatizzazione, che sono all’origine di importanti cambiamenti negli assetti delle public uti- lity – in termini di mutamento dei modelli organizzativi, degli assetti proprietari, delle stra- tegie imprenditoriali e dell’approccio con il cliente finale – hanno inesorabilmente spinto le aziende di servizi di pubblica utilità a riconsiderare il proprio ruolo nel mercato.

In questo contesto, accanto all’analisi delle strategie adottate dai grandi player internazio- nali (ex monopolisti o incumbent), si colloca la tematica della gestione strategica delle local uti- lity. In particolare, la ricerca di risposte strategiche ai mutamenti dello scenario competitivo pone in risalto la questione della crescita delle local utility, sia in termini dimensionali (rag- giungimento di una massa critica adeguata per competere a livello internazionale) sia in termini di sviluppo del mercato – a livello geografico (internazionalizzazione) e a livello di business (diversificazione). La ricerca di nuove traiettorie di sviluppo rappresenta pertanto uno degli aspetti più significativi del processo di cambiamento che interessa le local utility e, in generale, l’industria delle public utility.

Dopo un’attenta descrizione del nuovo scenario competitivo dei servizi di pubblica utili- tà in Europa, determinato da cambiamenti del contesto normativo, tecnologico e concor- renziale, il presente capitolo si propone l’obiettivo di analizzare le risposte strategiche adot- tate dalle principali local utility europee (Iberdrola-Scottish Power, EnBW, Union Fenosa), con un focus particolare sulle maggiori local utility italiane quotate in borsa (AEM Milano e ASM Brescia, ora confluite in A2A, Hera, Iride ed Acea) – divenute ormai competitor a livello europeo – ed individuare le prospettive di sviluppo.

Inoltre, la dimensione sempre più globale, o comunque internazionale del mercato delle public utility ha amplificato ulteriormente gli effetti della concorrenza e del libero mercato al di là dei confini geografici dei singoli Stati, moltiplicando sia le opportunità di business sia le minacce per i competitor. È seguendo questa impostazione che l’analisi prosegue prendendo in considerazione le tendenze in atto ed i modelli di business emergenti nel settore delle local utility a livello internazionale, e si conclude con una valutazione comparativa sul nuovo ruo- lo, giocato da tali imprese, nel mercato europeo dell’energia elettrica e del gas naturale.

4.2 La gestione strategica delle local utility

L’analisi che segue si fonda sulla letteratura di strategic management, in particolare quella at- tinente al tema della corporate strategy. Accanto agli studi di strategia aziendale vengono con- siderate anche le tematiche sviluppate nell’ambito del filone di studi sul management under re- gulation, che approfondiscono l’influenza del contesto normativo sulla gestione aziendale delle imprese in mercati regolati. In particolare, si fa riferimento al paradigma struttura- condotta-performance. Infatti, l’adozione di questo strumento d’analisi permette di definire ed interpretare i comportamenti che le local utility hanno adottato in seguito alla liberalizzazione

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del mercato e alla privatizzazione delle imprese operanti nel settore europeo dell’elettricità e del gas naturale1.

Un obiettivo centrale della letteratura di strategic management è quello di spiegare gli effetti della strategia sulle performance delle imprese, secondo un approccio contingente. In partico- lare, la teoria delle contingenze suggerisce che non vi è alcuna strategia ottimale per tutte le organizzazioni e postula che la scelta strategica più opportuna vari in funzione di determi- nati fattori, che vengono definiti “fattori di contingenza”2. Di conseguenza, gli studiosi di

strategic management hanno esaminato una vasta gamma di fattori imprevisti, tra cui l’ambiente, la struttura organizzativa3, la tecnologia4, e le scelte di marketing5, e, successiva-

mente, esplorato il modo in cui tali fattori interagiscono con le variabili strategiche al fine di spiegare le performance delle imprese oggetto d’analisi.

Più in dettaglio, un filone di studi, appartenente allo strategic management, ritiene che la struttura aziendale sia un fattore contingente dipendente dalla strategia perseguita. Un im- portante contributo in questo senso è riconducibile a Chandler6, che per primo ha esamina-

to la relazione contingente esistente tra la strategia dell’impresa e la sua struttura organizza- tiva interna (in particolare, modello divisionale versus modello funzionale). A sviluppare ul- teriormente il concetto di strategia nella direzione indicata da Chandler, arrivando sino alla formulazione di uno dei primi modelli organici prescrittivi della strategia aziendale – la SWOT Analysis – è stato Andrews, che ha pubblicato nel 1965 insieme a Christensen, Guth e Learned, il noto “Business Policy: Text and Cases”7. Il modello chandleriano, che è alla

1 Il paradigma struttura-condotta-performance è un’evoluzione, in chiave normativa, dell’approccio strutturale

che caratterizza gran parte della ricerca in economia industriale. Cfr. FACCIPIERI S. (1988), Concorrenza dinamica e strategie d’impresa, Cedam, Padova. Secondo tale schema, le caratteristiche strutturali del settore industriale condizionano in modo rilevante il comportamento strategico delle imprese e quindi le performance economico- finanziarie da queste ottenute. Tale modello, è stato sviluppato in due forme parzialmente diverse: l’interpretazione “forte” di matrice nord-americana, che risale al contributo iniziale di Bain (1956), e l’interpretazione “debole”, di stampo europeo (si vedano JACQUEMIN A.P.,DE JONG H.W. (1979), Economia e politica industriale, Il Mulino, Bologna), che, nel lungo periodo, ha senz’altro prevalso sull’interpretazione forte, anche per via dell’influenza degli studi di strategia manageriale, molto più concentrati sul comportamento strategico dell’impresa piuttosto che sulla struttura del settore industriale.

2 Sulla teoria delle contingenze si vedano BURNS T.,STALKER G.M. (1961), The Management of Innovation,

Tavistock Pubblication, Londra, (trad. it. Direzione aziendale e innovazione, Franco Angeli, Milano, 1971); LA- WRENCE P.R.,LORSCH J.W. (1967), Organization and Environment. Managing Differentiation and Integration, Harvard Graduate School of Business Administration, Cambridge (USA); THOMPSON J.D. (1987), Organization in Ac- tion, McGraw-Hill, (trad. it. L’azione organizzativa, Isedi, Torino 1988); DONALDSON L. (1996), “The Normal Science of Structural Contingency Theory”, in S.R.CLEGG,C.HARDY,W.R.NORD (Eds.), Handbook of Organ- ization Studies, Sage, London.

3 Sul punto si veda, tra gli altri, MILLER D. (1988), Relating Porter’s Business Strategies to Environment

and Structure, Academy of Management Journal, 31(2): 280-308.

4 Per un approfondimento del tema si vedano DOWLING M.J.,MCGEE J.E.(1994), Business and Tech-

nology Strategies and New Venture Performance: A Study of the Telecommunications Equipment Industry, Management Science, 40(12): 1663-1677.

5 Sulle scelte di marketing si vedano CLAYCOMB C.,GERMAIN R.,DROEGE C. (2000), The Effects of For-

mal Strategic Marketing Planning on the Industrial Firm’s Configuration, Structure, Exchange Patterns, and Performance, Industrial Marketing Management, 29(3): 219-234.

6 Cfr. CHANDLER A. (1962), Strategy and Structure: chapters in the history of the American industrial enterprise, The

Mit Press, Cambridge.

7 Cfr. ANDREWS K.R.,CHRISTENSEN C.R.,GUTH W,and LEARNED E. (1965), Business Policy: text and cases,

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base della scuola classica di Harvard, viene ripreso anche da Scott8, il quale, oltre a sostene- re che i cambiamenti della struttura seguano la strategia, esplicita l’importanza della pres- sione competitiva, ed in particolare, di quella originata dal mercato.

Ansoff9 ha proposto, invece, un approccio alla strategia alternativo rispetto a quello clas-

sico harvardiano. Tale approccio, cui hanno aderito numerosi studiosi – si ricordano, tra gli altri, Hofer e Schedel, Channon, McNichols, Paine e Nanes – è noto come approccio alla strategia in senso stretto o, utilizzando la classificazione di Mintzberg, scuola della pianificazio- ne, che ha portato alla luce la problematica del posizionamento competitivo dell’impresa10,

quale fattore di contingenza predominante nelle scelte strategiche11.

Il paradigma chandleriano che sintetizza la relazione gerarchica tra strategia e struttura ha comunque dominato l’approccio al management per molti anni. Tuttavia, negli anni Set- tanta e Ottanta del secolo scorso, si è sviluppato un filone di studi che sostiene che la rela- zione causale tra struttura e strategia sia reciproca, ovvero che anche la struttura può in- fluenzare la strategia d’impresa. Il precursore di questo approccio è Bower (1970), al quale si sono affiancati altri studiosi, che hanno analizzato questa relazione sia a livello teorico sia a livello empirico: ovvero Rumelt (1974), Hall e Saias (1980), Pitts (1980), Grinyer e Yasai- Ardekani (1981), Williamson (1985), Keats e Hitt (1988)12. Alcuni autori hanno evidenziato

che il rapporto che lega la strategia alla struttura dipende anche da competenze, capacità di- stintive13 e stili cognitivi14 sviluppati dal management dell’impresa, e che tali fattori influiscono sulla definizione delle strategie.

8 Per un approfondimento del pensiero dell’autore sul modello strategia-struttura si veda SCOTT B.R.

(1971), Stages of Corporate Development, Harvard Business School, Boston.

9 Cfr. ANSOFF H.I. (1965), Corporate strategy: An analytic approach to business policy for growth and

expansion, McGraw-Hill, New York.

10 Il tema del posizionamento competitivo è stato oggetto di studio di numerosi autori. Si ricordano, tra gli

altri, BOSTON CONSULTING GROUP (1968), Perspective on Corporate Strategy, B.C.G. Inc., Boston (USA);ABELL

D.F. (1980), Defining the Business: The Starting Point of Strategic Planning, Prentice Hall, Englewood Cliffs, (N.J.); PORTER M.E. (1980), Competitive Strategy. Techniques for Analyzing Industries and Competitors, Free Press, New York, (trad. it. La strategia competitiva. Analisi per le decisioni, Editrice Compositori, Bologna, 1982), e dello stesso autore, PORTER M.E. (1985), Competitive Advantage. Creating and Substaining Superior Performance, Free Press, New York, (trad. it. Il vantaggio competitivo, Edizioni di Comunità, Milano, 1987); infine,SINATRA A. (1989), Impresa e sistema competitivo: strategie di innovazione e strategie di consolidamento, Utet, Torino, 1989.

11 Sul punto si veda BERETTA ZANONI A. (1997), Strategia e politica aziendale negli studi italiani ed internazionali,

Giuffrè Editore, Milano.

12 Per un approfondimento dell’approccio di causalità reciproca tra strategia e struttura si vedano BOWER

J.L. (1970), Managing the Resource Allocation Process, Harvard University Press, Cambridge; RUMELT R.P. (1974), Strategy, Structure and Economic Performance, Harvard University Press, Cambridge; HALL D.J.,SAIAS M.A. (1980), Strategy Follows Structure!, Strategic Management Review, 1(2): 149-163; PITTS R.A. (1980), Toward a Contin- gency Theory of Multibusiness Organization Design, Academy of Management Review, 5(2): 203-210; GRINYER P. H.,YASAI-ARDEKANI M. (1981), Strategy, Structure, Size and Bureaucracy, Academy of Management Journal, 24(3): 471-486; WILLIAMSON O.E. (1985), The Economic Institutions of Capitalism: Firms, Markets, and Relational Contracting, Free Press, New York; KEATS B.W.,HITT M.A. (1988), A Causal Model of Linkages Among En- vironmental Dimensions, Macro Organizational Characteristics, and Performance, Academy of Management Journal, 31(3): 570-598.

13 Sul ruolo delle capacità distintive si vedano PRAHALAD,C.K.,&BETTIS,R.A. (1986), The Dominant

Logic: A New Linkage Between Diversity and Performance, Strategic Management Journal, 7(6): 485-501.

14 Sugli stili cognitivi si veda WALSH J.P. (1990), Knowledge Structures and the Management of Organizations. Un-

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All’interno del filone di studi di strategic management che sostiene che la progettazione del- la struttura non sempre viene definita dalla strategia, si pone anche il contributo di Min- tzberg15, il quale ha affrontato il tema dei processi decisionali legati alla definizione della

strategia, proponendo uno schema interpretativo che lega le strategie intenzionali alle stra- tegie realizzate attraverso l’individuazione dei concetti di strategie deliberate, non realizzate ed emergenti. La formulazione della strategia è descritta dall’autore come risultato dell’interazione fra le due forze rappresentate dall’ambiente mutevole e dal “momento bu- rocratico”, mediante la variabile “leadership”. Al di là della terminologia usata, si evince la presa di coscienza dell’immanente contraddizione tra l’ambiente (come somma di fenomeni mutevoli) e l’impresa (tendenzialmente rigida)16 legata alle opzioni strategiche adottate e,

quindi, agli investimenti effettuati, per cui emerge il ruolo creativo e discrezionale del management17. Infatti, la distinzione del processo decisionale strategico in fasi, ossia in for- mulazione ed implementazione della strategia, rischia di essere fuorviante, non contem- plando l’emergere spontaneo di comportamenti “decisionali” strategici. Inoltre, la separa- zione artificiosa della formazione della strategia in fasi e momenti distoglie l’attenzione dall’interazione effettiva tra impresa, ambiente e management. In una prospettiva più deter- ministica, la struttura può motivare o impedire l’attività strategica che si svolge secondo modalità impreviste18.

La crisi della pianificazione strategica è evidenziata anche da Quinn19, il quale, analizzan- do l’impatto del cambiamento strategico sui sistemi di pianificazione formale, muove una critica all’impostazione tradizionale, che sembra concepire la pianificazione esclusivamente come processo logico-sequenziale nell’ambito di un monolitico sistema di pianificazione, proponendo una visione in cui la pianificazione formale rappresenta solo uno dei compo- nenti della definizione delle strategie. L’autore, prendendo spunto dagli studi di Mintzberg, pone l’accento sul processo di formulazione della strategia, e sottolinea come esso segua una logica incrementale20. È, infatti, attraverso il processo di formulazione della strategia che i manager di successoi danno impulso a tutta la struttura organizzativa e generano il co- involgimento psicologico che consente un’implementazione flessibile della strategia. L’inte-

15 Cfr. MINTZBERG H. (1978), Patterns in Strategy Formation, Management Science, 24(9): 934-948.

16 La consapevolezza di tale ineliminabile contrasto è alla base di un filone di studi sulla genesi del rischio

generale d’impresa e sulle politiche di gestione volte al suo contenimento e fronteggiamento, che può essere, per molti versi, considerato la via italiana allo studio della strategia aziendale. Si vedano, tra gli altri, AMADUZ- ZI A. (1936), Sulla variabilità del processo produttivo, Cacucci, Bari; SASSI S.(1940), Il sistema dei rischi d’impresa, Val- lardi, Milano;GIANNESSI E. (1960), Le aziende di produzione originaria, volume I, Le aziende agricole, C. Cursi, Pisa; FERRERO G. (1968), Istituzioni d’economia d’azienda, Giuffrè, Milano; BERTINI U. (1977), Il sistema d’azienda. Schemi d’analisi, Opera Universitaria, Pisa. Ora anche: Giappichelli, Torino, 1990;DEZZANI F. (1971), Rischi e politiche d’impresa, Giuffrè, Milano.

17 Cfr. ZAN L. (1992), Strategic Management. Materiali critici, Utet, Torino.

18 Sulla strategia emergente si veda MINTZBERG H. (1979), The Structuring of Organization, Prentice Hall,

Englewood Cliffs (N. J.).

19 Per un approfondimento del pensiero dell’autore sulla pianificazione strategica si veda QUINN J.B.

(1980), Strategy for Change: Logical Incrementalism, Irwin, Homevood (Ill.)

20 Quando una strategia comincia a cristallizzarsi e focalizzarsi alcune sue parti sono state già implementa-

te, per cui i manager di successo, operando secondo l’incrementalismo logico, migliorano la propria comprensione e sviluppano il coinvolgimento all’interno dei processi stessi che creano le strategie così da porre in essere una strategia più efficace.

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grazione costante dei processi simultanei ed incrementali di formulazione ed implementa- zione della strategia rappresenta, quindi, il nucleo di una gestione strategica efficace21.

Sempre negli anni Ottanta-Novanta del secolo scorso, anche la scuola italiana di eco- nomia aziendale si è confrontata con il rapporto tra strategia e struttura. In quegli anni, l’interesse degli accademici italiani si è rivolto in misura preponderante all’articolazione dei rapporti tra l’azienda e l’ambiente22, alla concezione di strategia aziendale e alla sua formu-

lazione ed attuazione23, nonché alla funzione di imprenditorialità24. Gli studi di strategia

aziendale della scuola di economia d’azienda italiana «hanno gettato, inoltre, una nuova luce sui legami tra l’azienda e l’ambiente, evidenziando la problematicità insita in tali rapporti e l’importanza da essi rivestita» 25.

Strategia e struttura si sviluppano così in relazione reciproca l’una con l’altra. A seconda di quale aspetto strategico venga osservato empiricamente, sia «la struttura segue la strategia» sia «la strategia segue la struttura» possono essere considerate affermazioni corrette. L’approc- cio dialettico al rapporto tra strategia e struttura è sottolineato, tra gli altri, da Cafferata26, il

quale propone una riflessione sulla criticità delle relazioni tra le variabili di struttura, ovvero sui rapporti tra le caratteristiche formali che danno coerenza all’azienda, come organizza- zione complessa, rispetto al bisogno di stabilità. L’autore pone l’accento sulle determinanti del cambiamento organizzativo, affermando che l’equilibrio strutturale interno dell’azienda non risponde solo al bisogno di adattamento al contesto ambientale esterno, ma è dettato anche dall’esperienza e dalla storia aziendale, o, in altri termini, dall’apprendimento e dalla cultura aziendale.

21 Cfr. MINTZBERG H. E QUINN J.B.(1991), The Strategy Process: Concepts, Contexts, Cases, Prentice Hall, En-

glewood Cliffs (N. J.).

22 Sui rapporti tra l’azienda e l’ambiente si vedano, tra gli altri, BERTINI U.(1980), Il sistema d’azienda. Schemi

d’analisi, Giappichelli, Torino; FERRERO G. (1980), Impresa e management, Giuffrè, Milano; CAFFERATA R. (1984), Teoria dell’organizzazione. Un approccio non contingente, Franco Angeli, Milano; SCIARELLI S. (1987), L’impresa flessibile, Cedam, Padova; e SINATRA A. (1989), Impresa e sistema competitivo: strategie di innovazione e strate- gie di consolidamento, Utet, Torino, 1989).

23 Sulla concetto di strategia aziendale si vedano MARCHINI I. (1967), La pianificazione strategica a lungo termi-

ne nell’impresa industriale, Giappichelli, Torino; EMINENTE G.(1981), La gestione strategica d’impresa, Il Mulino, Bologna; e, dello stesso autore, (1986), Pianificazione e gestione strategica dell’impresa, Il Mulino, Bologna.; RISPOLI

M. (1986), “Innovazione e strategie aziendali”, in AIDEA e Sociatà Italiana Economisti, Incontro di studio sul tema: “Riflessioni dell’innovazione sulle strutture di mercato e sulla condotta delle imprese: teorie e prassi operative”, Jesi, 5-6 ottobre; e, dello stesso autore, (1987), “Il valore aggiunto nel controllo della strategia d’impresa”, in AA.VV., Scritti in economia aziendale per Egidio Giannessi, volume II, Pacini, Pisa; SICCA L. (1987), La strategia d’impresa. La formazione del gruppo italiano: la Sme, Etas Libri, Milano; CODA V. (1988), L’orientamento strategico d’impresa, Utet, Torino; SCIARELLI S.(1988), Il sistema d’impresa, IV Edizione, Cedam, Padova; INVERNIZZI G. (1999), Il sistema delle strategie a livello aziendale, McGraw Hill, Milano; e, dello stesso autore, (2008) Strategia aziendale e vantaggio competitivo, McGraw Hill, Milano; e COLLINS D.J.,MONTGOMERY C.A.,INVERNIZZI G.,MOLTENI M. (2007), Corporate Strategy, McGraw Hill, Milano.

24 Sulla funzione di imprenditorialità si vedano, tra gli altri, FAZZI R. (1982), Il governo dell’impresa, volume

I., Giuffrè, Milano; CODA V. (1988), op. cit.; RANALLI F. (1992), Aree funzionali e governo d’impresa, Aracne, Ro- ma, pp. 295-316.

25 Cfr. RANALLI F. (1992), op. cit, p. XVII.

26 Sul punto si veda, tra gli altri, CAFFERATA R. (1981), Organizzazione e ambiente esterno: un rapporto

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Il tema del rapporto tra strategia d’impresa e struttura organizzativa è stato affrontato a fondo in letteratura (si pensi, ad esempio, al contributo di Amburgey e Dacin27). Sorpren- dentemente sembra, però, che la letteratura abbia mostrato «poca attenzione ad estendere la pro- blematica relativa al rapporto tra strategia e struttura verso altri aspetti di organizzazione del business»28.

Questa scarsa considerazione della letteratura sugli effetti contingenti della strategia sulle performance è stata affrontata da Amit e Zott29 mediante l’introduzione del modello di business,

quale nuovo fattore contingente che influenza la struttura dell’impresa.

Il termine modello di business descrive una vasta gamma di modelli formali e informali, che vengono utilizzati dalle imprese per rappresentare i vari aspetti del business, come, ad esem- pio, i processi operativi, le strutture organizzative, e le previsioni finanziarie. Sebbene l’origine del termine possa essere rintracciata già negli anni Cinquanta del secolo scorso, l’accezione corrente si è diffusa solo a partire dagli anni Novanta. Si può osservare che, a livello internazionale, nella letteratura di strategic management si va affermando sempre più il consenso da parte degli studiosi verso un concetto di modello di business inteso come espres- sione di sintesi o, meglio, quale disegno esplicativo delle modalità di generazione di valore in un mercato orientato alla clientela.

In particolare, Magretta30 evidenzia l’elemento “narrativo” del modello di business: «il model-

lo di business racconta una storia logica che spiega chi sono i vostri clienti, ciò che per loro rappresenta valo- re, e come si può guadagnare, fornendo loro quel valore». Linder e Cantrell31, ampliano la definizione del modello di business, che viene inteso come «la logica di base dell’organizzazione per la creazione di valore», il quale comprende al suo interno «l’insieme di proposte di creazione di valore che un’organizzazione offre ai suoi stakeholder, mediante il funzionamento dei processi operativi, e l’organizzazione di un sistema coerente, che si basa e, contemporaneamente, sviluppa asset, capacità e rela- zioni per creare valore». Hawkins32 sottolinea che un modello di business può diventare un prodot-

to in sé e per sé33. Esistono, comunque, molte altre concettualizzazioni del modello di business,

tutte hanno diversi gradi di somiglianza o differenza34.