• Non ci sono risultati.

Il monopolio privato regolato e la concorrenza per il mercato »

A partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso in Europa, e in particolare in Italia, si è sviluppato un significativo dibattito sull’opportunità del passaggio da un intervento diretto dello Stato nella fornitura dei servizi di pubblica utilità, ad un ruolo di regolatore dei mercati degli stessi servizi, nei quali dovrebbero operare soggetti privati o comunque che abbiano come finalità il perseguimento del profitto piuttosto che altri scopi. A sollecitare tale dibattito hanno concorso almeno cinque fattori:

• il progresso tecnologico intervenuto nella produzione di alcuni servizi53;

• l’eccessiva frammentazione dell’offerta dei servizi pubblici, in particolar modo di quelli locali54;

• i risultati di alcuni filoni della teoria economica, quali quelli della organizzazione industriale, della teoria degli incentivi e dei contratti, della teoria delle aste e della regolamentazione55;

• le esigenze più o meno generali di risanamento delle finanze pubbliche56;

• la presenza di un’ingente capitale infrastrutturale, accumulatosi nel corso di quasi ottanta anni di gestione pubblica57.

52 Per ulteriori approfondimenti sull’argomento si vedano AA.VV. (2007), Rapporto Enti territoriali e servizi

pubblici locali: liberalizzazioni, investimenti, gestione, Dipartimento di Economia Pubblica della Facoltà di Economia dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” in collaborazione con Dexia Crediop, Roma, pp. 112-116.

53 Hanno svolto un ruolo rilevante tutti quei progressi della tecnologia che hanno consentito, in alcuni

settori, la possibilità a più soggetti di produrre e/o fornire contemporaneamente uno stesso servizio insistendo sulla stessa infrastruttura di rete.

54 È stato fatto notare come la frammentazione dell’offerta di tali servizi comporti perdite di efficienza

sotto diversi punti di vista, tra cui prevale l’incapacità di sfruttare le economie di scala che, in molti servizi pubblici, sono assolutamente rilevanti. Si vedano su questo punto BURATTI ET AL. (2001), Privatizzazioni par- ziali e liberalizzazioni incomplete. Una nota sui servizi pubblici locali, XIII Riunione scientifica annuale della SIEP, Pavia, 5-6 ottobre 2001.

55 Per una rassegna dei più importanti risultati della teoria degli incentivi si LAFFONT J.J.,MARTIMORT D.

(2002), The Theory of Incentives, Princeton University Press, Princeton (NJ); mentre per le problematiche relative alle sue applicazioni nel settore pubblico si veda DIXIT A. (1997), “Power of incentives in private versus pu- blic organizations”, American Economic Review, volume 87, pp. 378-82. Per i risultati della teoria dei contratti si vedano HART O.,B.HOLMSTROM (1987), “The theory of contracts”, in T.F.BEWLEY (a cura di), Advances in Economic Theory, Fifth World Congress, Cambridge University Press, New York.

56 Alla fine degli anni Ottanta, la pressione sui governi italiani da parte delle istituzioni economiche

europee e internazionali divenne fortissima. Mentre per la gran parte dei paesi europei le politiche di privatizzazione e liberalizzazione dei servizi di pubblica utilità muovevano dalla convinzione che ciò avrebbe condotto a significativi guadagni di efficienza, nel caso italiano, le privatizzazioni rappresentavano anche uno strumento attraente per alleggerire i costi sociali del risanamento del bilancio pubblico e, in parte, sembravano poter dare sostegno alle politiche di riduzione dell’elevato debito pubblico.

40

Anche l’esperienza di privatizzazione inglese, pur in presenza di aspetti controversi, ha contribuito ad alimentare il dibattito in atto, ed ha costituito un naturale punto di riferimen- to nelle successive esperienze di privatizzazione, soprattutto per la diretta applicazione delle prescrizioni teoriche relative alla separazione gestionale e proprietaria degli elementi della filiera produttiva caratterizzati da condizioni di monopolio naturale58. Infine, è da segnalare la spinta delle istituzioni europee verso un arretramento dell’intervento pubblico, sotto forma di produzione di beni e servizi, attraverso la promulgazione di direttive e regolamen- ti tesi a favorire l’apertura del mercato alla concorrenza.

La progressiva riduzione dell’intervento pubblico diretto nella produzione dei servizi di pubblica utilità e, in particolar modo, nei servizi pubblici locali ad alto contenuto imprendi- toriale, è, quindi, un fenomeno che, con diversa intensità, ha riguardato, negli ultimi venti anni, molti paesi europei. Tuttavia, il crescente ruolo dei privati nella gestione diretta dei servizi pubblici non comporta la fine dell’intervento pubblico, ma la sua ridefinizione, at- traverso lo spostamento del baricentro dalla produzione del servizio alla regolazione del settore e alla predisposizione delle politiche volte all’introduzione della concorrenza. Infatti, la semplice sostituzione di monopoli privati a monopoli pubblici, in industrie caratterizzate da situazioni di monopolio naturale, non permette né la protezione dei consumatori dalla posizione monopolistica del monopolista privato né l’introduzione di forme di concorrenza indiretta al fine di fornire alle imprese, operanti in regime di monopolio, gli incentivi, tipici di un mercato concorrenziale, a produrre al minimo costo.

specialmente in alcuni settori (elettricità, telefonia, ferrovie). D’altra parte, permangono ostacoli tecnico- ambientali alla replicabilità di alcune infrastrutture, tipicamente le reti, che impediscono, di fatto, che la concorrenza si sviluppi lungo l’intera filiera produttiva del servizio. In linea di principio, nella misura in cui si ritiene che un aumento della concorrenza sia utile ad incrementare il benessere collettivo, gli investimenti che creano le condizioni tecniche per l’interazione di più soggetti sono di interesse pubblico e quindi potrebbero rientrare nella sfera degli investimenti pubblici di competenza dello Stato. Peraltro, negli anni più recenti si è sviluppata una letteratura e si sono moltiplicate esperienze di partecipazione dei privati al finanziamento delle infrastrutture, circostanza questa che può essere assolutamente inclusa tra quelle che hanno sollecitato il dibattito sull’apertura al mercato dei servizi di pubblica utilità. Sull’argomento si veda PEDONE A. (2003), “Pubblico e privato nel finanziamento delle infrastrutture”, in GUERRA C.,ZANARDI A. (a cura di), La finanza pubblica italiana, Rapporto 2003, Il Mulino, Bologna, pp. 171-191.

58 La privatizzazione consiste nel parziale o totale trasferimento della proprietà di un’impresa dal settore

pubblico a quello privato e rappresenta quindi un processo antitetico a quello della nazionalizzazione. In par- ticolare, si possono evidenziare due diverse forme di privatizzazione: la privatizzazione formale e la privatizzazione sostanziale. Con la prima gli enti pubblici economici vengono trasformati in società per azioni, e quindi assog- gettati alle norme di diritto privato pur rimanendo sotto il controllo del soggetto economico pubblico; la se- conda forma di privatizzazione si verifica, invece, quando il pacchetto azionario di controllo di tali società è ceduto dallo Stato a soggetti privati. Le motivazioni alla base delle numerose iniziative di privatizzazione cui sì è assistito in Europa, negli anni Ottanta, hanno carattere sia economico sia politico: dal lato economico, il fal- limento del modello keynesiano – che sosteneva la politica di ampliamento del deficit del bilancio pubblico come strumento di riforma del mercato ed espansione dello Stato mediante il sostegno statale alla crescita e- conomica e all’occupazione – si è manifestato in parallelo con l’esigenza di risanamento dei bilanci statali; le motivazioni politiche riguardano, invece, il convincimento di una parte ideologica, quella conservatrice, che le privatizzazioni siano uno strumento di democratizzazione, grazie all’apertura del capitale azionario ad un pubblico diffuso, e la considerazione per cui tale processo riduca il potere delle organizzazioni sindacali, che, non potendo più sperare in ambigui sussidi incrociati alle imprese pubbliche, devono quindi adattarsi alle re- gole di mercato. Sul punto si veda, tra gli altri, CASSESE S. (1998), “Le privatizzazioni: arretramento o riorga- nizzazione dello Stato?”, in G. MARASÀ (a cura di), Profili giuridici delle privatizzazioni, Giappichelli, Torino, pp. 1-11.

41

La strada seguita per tutelare i consumatori e, contemporaneamente, fornire alle imprese i corretti incentivi alla minimizzazione dei costi consiste, quindi, nell’introduzione di forme di concorrenza potenziale59 – si parla in questo caso di contendibilità del mercato60 – e di concorrenza

per il mercato61 nelle attività ove, per l’esistenza di monopoli naturali, non sia possibile intro-

durre la concorrenza nel mercato62, delineando così un nuovo assetto strutturale del settore dei servizi di pubblica utilità.

La concorrenza per il mercato si fonda sull’ipotesi che le imprese abbiano la stessa opportu- nità di accedere agli input della produzione e che non colludano tra loro63. Essa ha luogo

attraverso interventi che mirano a creare artificialmente le condizioni di contendibilità del monopolio naturale sottostante un servizio di pubblica utilità, infatti le imprese competono tra loro per ottenere il diritto a servire il mercato. I principali strumenti elaborati dalla teoria economica per introdurre la concorrenza in industrie altrimenti monopolistiche sono il fran- chise-bidding64, la yardstick competition 65 e la capital market competition.

Il franchise-bidding, o asta competitiva, consiste nell’attribuzione ad imprese private, trami- te il ricorso ad asta competitiva, del diritto (esclusivo o in concorrenza con altri) ad offrire un dato servizio, in una data area geografica e alle condizioni specificate nel bando di con- corso indetto dall’ente pubblico appaltante il servizio66. Sebbene l’intuizione che meccani-

59 La concorrenza potenziale si estrinseca nella possibilità di entrare ed uscire dal mercato senza costi. In tal

caso, la minaccia di entrata di altre imprese spinge l’impresa monopolistica ad adottare comportamenti effi- cienti che si traducono nella fissazione di prezzi uguali ai costi medi, ovvero ad una condizione di ottimo di second best, che consente di raggiungere il massimo benessere garantendo, allo stesso tempo, l’equilibrio eco- nomico all’impresa.

60 Sulla contendibilità del mercato si vedano, per tutti, BAUMOL W.J.,PANZAR J.C.& WILLING R.D.

(1982), Contestable Markets and the Theory of Industry Structure, Harcourt Brace Jovanovich, New York.

61 Sul tema della concorrenza per il mercato si vedano DEMSETZ H. (1968), “Why Regulate Utilities?”,

Journal of Law and Economics, 11: 55-66; KAHN A.E. (1971), The Economics of Regulation, J. Wiley and Sons, New York; VICKERS J.,YARROW G. (1988), Privatisation: an economic analysis, MIT Press, Cambridge; VICKERS J., YARROW G. (1991), “Reform of the Electricity Supply Industry in Britain: An Assessment of the Develop- ment of Public Policy”, European Economic Review, 35(2/3): 485-495; HENRY C. (1993), “Public Service and Competition in the European Community Approachs to Communications Networks”, Oxford Review of Eco- nomics Policy, 9(1): 45-66; e GULLÌ F. (1995), “Liberalizzazione e concorrenza per il mercato dei servizi di pub- blica utilità: un caso significativo di non-price competition”, Economia e politica industriale, 88; SPIEZIA F. (2004), I servizi pubblici locali, Giuffrè, Milano.

62 Sul tema della concorrenza nel mercato si vedano CERVIGNI G.,D’ANTONI M. (2001), Monopolio natura-

le, concorrenza, regolamentazione, Carocci, Roma; MELE R. (2003), Economia e gestione delle imprese di pubblici servizi tra regolamentazione e mercato, Cedam, Padova.

63 Sul punto si veda DEMSETZ H. (1968), “Why Regulate Utilities?”, Journal of Law and Economics, 11: 55-66. 64 Per un approfondimento dei meccanismi del franchise-bidding si vedano WILLIAMSON O.E., (1976)

“Franchise bidding for natural monopolies: in general and with respect to CATV”, Bell Journal of Economics and Management Science, 7(1): 73-104; MILGROM P. (1979), “A Convergence Theorem for Competitive Bidding with Differential Information”, Econometrica, 47(3): 679-688; e MCMILLAN J. (1994), “Selling Spectrum Rights”, Journal of Economic Perspectives, 8(3):145-162.

65 Sul tema della yardstick competition si vedano, tra gli altri, FARRELL M.J. (1957), “The Measurement of

Productive Efficiency”, Journal of the Royal Statistical Society, 120(3): 253-290; e SHLEIFER A. (1985), “A Theory of Yardstick Competition”, RAND Journal of Economics, The RAND Corporation, 16(3): 319-327.

66 Tale procedura è stata utilizzata estensivamente in Francia, specialmente nel settore idrico; in Gran Bre-

tagna, nel settore ferroviario, nel settore radiotelevisivo e in molti servizi pubblici locali non complessi (ad e- sempio illuminazione pubblica e igiene urbana); e in Italia è prevista, nel settore idrico, dalla Legge Galli (legge 5 gennaio 1994, n. 36) e dall’art. 35 della Legge finanziaria 2002 sulla riforma dei servizi pubblici locali.

42

smi d’asta potessero emulare le virtù del mercato venga fatta risalire al contributo seminale di Chatwick (1859), i risultati sono stati rigorosamente formalizzati da Demsetz67 (1968). Le condizioni principali affinché un meccanismo d’asta riesca a produrre una allocazione effi- ciente sono tre:

a) riuscire a scrivere un contratto completo;

b) assicurarsi che i partecipanti all’asta non abbiano comportamenti collusivi; c) fissare un’adeguata durata della concessione (e quindi del contratto)68.

Occorre, tuttavia, avvertire che la contemporanea presenza di tutte le condizioni richie- ste si riscontra assai raramente nella realtà.

Per quanto riguarda la completezza dei contratti è ben nota la difficoltà di scrivere contratti che siano capaci di prevedere tutti gli stati del mondo possibili nonché l’insieme dei comportamenti implementabili dai contraenti69. D’altra parte, la possibilità di collusione è tanto maggiore quanto minore è il numero di partecipanti, quindi in generale sarebbe opportuno non porre barriere alla partecipazione a procedure di gara. Tuttavia, se da un lato è conveniente aprire la gara d’appalto alla partecipazione del maggior numero possibile di concorrenti in maniera da minimizzare la probabilità di collusione, dall’altro si rischia di assegnare la fornitura di un servizio a soggetti che potrebbero non possedere la necessaria competenza ed esperienza, generando, in definitiva, problemi di selezione avversa70.

Il problema collusivo assume connotati ancor più rilevanti nell’ambito dei servizi pubblici locali. In tale contesto, infatti, il numero dei partecipanti alle gare è mediamente basso e crea potenziali incentivi, per le imprese, ad accordarsi in modo da ottenere almeno una concessione tra quelle disponibili sui vari mercati locali, organizzando la loro partecipazione alle procedure di gara71. La probabilità che si verifichino simili situazioni

potrebbe essere accentuata anche da un contesto di partenza in cui i soggetti che partecipano alle gare siano gli attuali concessionari (gli incumbent) che hanno interesse a cooperare. Nel contesto dei servizi pubblici locali sarebbe, quindi, sotto questo punto di vista, cruciale incentivare la partecipazione alle gare da parte di soggetti nuovi (ad esempio società straniere), che possano avere maggiore incentivo a deviare dall’equilibrio

67 Cfr. DEMSETZ H. (1968), “Why Regulate Utilities?”, Journal of Law and Economics, vol. 11, pp. 55-66. 68 Inoltre, nei servizi pubblici non complessi l’asta competitiva si differenzia dal franchising in senso stretto

perché il concessionario non sopporta nessun rischio di vendita, in quanto il servizio è direttamente venduto dall’ente pubblico concessionario del servizio, e per questo prende il nome di compulsory competitive tendering.

69 È il caso, ad esempio, che molti decisori pubblici debbono affrontare nella predisposizione dei contratti

di servizio applicabili nei confronti delle imprese (private) che si aggiudicheranno il diritto a fornire il servizio.

70 Tipicamente, una condizione posta nei bandi per la partecipazione ad una gara è che i soggetti parteci-

panti abbiano maturato un certo numero di anni di esperienza nella produzione o nella fornitura del servizio in oggetto. Tali condizioni, da un lato limitano di gran lunga la possibilità di partecipare alla gara da parte di nuovi entranti, dall’altro implicano una riduzione del numero di partecipanti creando così le condizioni per comportamenti collusivi.

71 In termini formali, questo risultato è molto simile a quello generato da un modello di oligopolio dove le

imprese competono à la Cournot, nel caso in cui queste facciano un commitment che conduca alla produzione della quantità aggregata di monopolio e alla spartizione del surplus. Sul tema si veda, per tutti, COURNOT A.A. (1838[1980]), Recherches sur les principes mathématiques de la théorie des richesses, Hachette, Paris (reprint in COURNOT A.A. (1980), Oeuvres complètes, vol. III, G. Jorland ed., Librairie philosophique J.Vrin, Paris.

43 cooperativo.

Per quanto riguarda la durata del contratto, è consolidato, dal punto di vista teorico, che la durata della concessione non debba essere né troppo breve né troppo lunga, poiché nel primo caso si scoraggerebbe il concessionario dal realizzare il livello ottimale di investimenti mentre, nel secondo caso, si correrebbe il rischio di temperare eccessivamente la pressione della concorrenza che l’incumbent subisce all’avvicinarsi della scadenza del suo mandato. Per trovare un equilibrio tra questi due elementi, si è tentato di studiare dei meccanismi di trasferimento degli asset tali da non disincentivare l’investimento dell’incumbent, anche qualora la durata della concessione sia relativamente breve. Questa situazione è particolarmente rilevante quando non è pensabile una duplicazione della rete, ossia se i sunk cost legati alla produzione del servizio sono così elevati da impedire la contendibilità del mercato72.

In alcuni casi, l’applicabilità della gara è però sconsigliata dalla stessa natura dei servizi pubblici, in particolare in caso di servizi tecnologicamente complessi, in presenza di forti investimenti e nel caso di difficoltà nella valutazione degli asset da trasferire. In tali circo- stanze è possibile introdurre nel settore forme di regolazione economico-tariffaria, o me- glio, è possibile introdurre la yardstick competition, o concorrenza per comparazione, che permette di introdurre elementi di concorrenza indiretta attraverso una formula tariffaria nei servizi di pubblica utilità. Infatti, il regolatore può ridurre il gap informativo, esistente con le imprese, utilizzando la struttura industriale delle public utility: la remunerazione di un’impresa regolata è fatta dipendere in qualche modo dalle performance di imprese analoghe ma operanti su altri mercati. In altri termini, il prezzo che ogni impresa può praticare è lega- to ad una certa funzione dei costi delle altre imprese nell’industria. In questo modo, attra- verso un effetto di concorrenza indiretta, ogni impresa ha un incentivo a tagliare i costi e ad assumere comportamenti efficienti, in quanto è residual claimant della differenza fra i propri costi e quelli dell’intera industria (industry yardstick). In altre parole, ogni impresa, anziché es- sere regolata su base individuale, riceve un compenso, o le è permesso praticare un prezzo, per il servizio prestato ai cittadini che dipende dalla sua efficienza relativa73. Tale procedura

è stata utilizzata, ad esempio, nell’industria idrica in Inghilterra e in Galles.

Infine, la capital market competition, o competizione tramite il mercato azionario, si basa sul mercato azionario come strumento di simulazione della concorrenza: se le imprese sono effettivamente scalabili la minaccia di un take-over dovrebbe indurre il management ad assume- re quei comportamenti efficienti (minimizzazione dei costi) tipici di un mercato competiti- vo74. Naturalmente, affinché le imprese di pubblica utilità siano effettivamente scalabili non

è sufficiente una privatizzazione formale, ma è richiesta la dismissione delle partecipazioni

72 L’esperienza italiana è densa di situazioni in cui le gare hanno mantenuto inalterate le situazioni esistenti

– cioè assegnato il servizio all’incumbent – generando disaffezione nei confronti dei potenziali meccanismi di liberalizzazione.

73 Nella pratica, l’utilizzo della yardstick competition come strumento di regolazione è complicato dal fatto

che le imprese oggetto della comparazione, pur offrendo gli stessi servizi, si trovano ad operare in condizioni talvolta molto diverse, dal punto di vista della scala, della densità di utenti, eccetera.

74 Comunque, la concorrenza attraverso il mercato azionario dovrebbe essere abbinata a forme tradiziona-

li di regolazione economica, in quanto riesce a produrre gli incentivi alla minimizzazione dei costi ma non rie- sce a proteggere i consumatori dall’abuso di posizioni monopolistiche.

44

di controllo da parte dello Stato o degli Enti locali. Poiché per la sua attuazione necessita di una privatizzazione sostanziale la competizione tramite il mercato azionario richiede tempi più lunghi per la sua applicazione rispetto alle altre forme di concorrenza per il mercato, anche perché il soggetto economico pubblico è piuttosto restio a cedere il pacchetto di controllo delle imprese di pubblica utilità.