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In Italia, e più in generale in Europa, l’opzione del monopolio pubblico è stata largamente perseguita dai governi nazionali nel secolo scorso, in particolar modo dal secondo dopoguerra fino alla metà degli anni Ottanta, in quanto tale forma di intervento sembrava l’unica in grado di realizzare gli obiettivi di efficienza e di equità nel settore dei

delle imprese, Franco Angeli, Milano; e, dello stesso autore, (1993), La società pubblica per azioni, Franco Angeli, Milano.

37 servizi di pubblica utilità.

Ciò per diverse ragioni. Innanzitutto, erano necessari cospicui investimenti – poiché le infrastrutture necessarie per la produzione e la fornitura di servizi di pubblica utilità erano insufficienti, se non del tutto assenti – che però non sarebbero stati intrapresi da eventuali soggetti privati44. Inoltre, lo stato della tecnologia, in molti servizi a carattere industriale, non consentiva la coesistenza di più soggetti produttori, o anche solo fornitori, di quel servizio45. D’altra parte, la teoria economica più sviluppata sul versante dell’intervento

pubblico, ovvero la scienza delle finanze, aveva prodotto risultati rilevanti nella teoria della tassazione ottimale e della tariffazione ottimale, che sembravano poter essere di rilevante supporto all’azione di governo delle imprese pubbliche operanti nei settori di pubblica utilità. Infatti, in Europa, era piuttosto diffusa l’idea che l’intervento diretto nella produzione di servizi fosse un utile strumento di politica industriale, capace di potenziare la dinamica dello sviluppo economico del paese, e un utile strumento di entrata46. Infine, i

settori di pubblica utilità apparivano, agli occhi della classe dirigente di allora, assolutamente strategici anche per lo sviluppo sociale, oltre che economico, del paese.

Per quanto riguarda i servizi pubblici locali, l’intervento pubblico fu declinato mediante la gestione della produzione e della fornitura di tali servizi attraverso le aziende municipalizzate. In questo modo, gli Enti locali divenivano proprietari delle infrastrutture attraverso il possesso delle municipalizzate. Si realizzava pertanto, almeno per quanto riguarda l’Italia e la Germania, una delle prime forme concrete di decentramento delle funzioni dello Stato, sicuramente la più incisiva per quanto riguarda il ruolo economico. Da quel momento gli Enti locali, in particolare i Comuni, divennero i protagonisti assoluti nei settori del trasporto pubblico locale, della gestione dei rifiuti urbani, della gestione delle risorse idriche e, in qualche misura, nella produzione e fornitura del gas naturale e dell’energia elettrica, settore, quest’ultimo, nel quale le municipalizzate coesistevano con il gestore pubblico nazionale del servizio.

Alle convenienze del monopolio pubblico si possono ovviamente contrapporre alcuni svantaggi. In generale, comportamenti opportunistici da parte degli amministratori sono

44 Riguardo a questo punto, può risultare d’aiuto una argomentazione tipica dell’analisi costi-benefici. Si

può, infatti, affermare che l’ammontare di investimenti infrastrutturali che era necessario nel secondo dopo- guerra nei settori dei trasporti pubblici, dell’energia, delle telecomunicazioni, della rete autostradale, eccetera, era, dal punto di vista sociale, estremamente maggiore di quello che poteva garantire un valore attuale netto positivo ad un qualsiasi concessionario privato del servizio. Ciò sia a causa dell’orizzonte temporale ristretto di un soggetto privato sia in ragione del troppo elevato tasso di sconto che avrebbe utilizzato per la sua valu- tazione sia, infine, per la difficoltà di tener conto dei consistenti benefici sociali.

45 Dal punto di vista tecnologico, i vantaggi del monopolio nella fornitura del servizio elettrico sono ri-

conducibili soprattutto alla presenza di economie di scala ed economie di scopo. Le prime sono legate alle attività di trasporto dell’energia ma anche all’attività di generazione, che, fino alle più recenti innovazioni tec- nologiche, richiedeva impianti di dimensioni maggiori per il raggiungimento di un elevato livello di efficienza produttiva. Le economie di scopo sono invece legate alla possibilità offerta dall’integrazione verticale, di ri- condurre più funzioni nell’ambito della stessa organizzazione. Cfr. MARZI G. (2006), Concorrenza e regolazione nel settore elettrico, Carocci, Roma, pp. 55-56. Sulle economia di scala e di scopo, si veda, per tutti, DI BERNAR- DO,B. (1991), Le dimensioni dell’impresa: scala, scopo, varietà, Franco Angeli, Milano.

46 In tal senso si rileva la maggior facilità con cui l’impresa verticalmente integrata è in grado, quando è in

mano pubblica, di affrontare problemi legati all’obbligo di fornitura del servizio universale, in particolare a quello delle classi con livelli di reddito meno elevati.

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stati studiati dalla letteratura sulle dinamiche della burocrazia47 e da quella sui modelli di comportamento opportunistici di soggetti politici e imprese private48. Il punto di partenza è che amministratori pubblici e politici potrebbero non mirare alla massimizzazione del benessere sociale, bensì all’ottimizzazione di una qualche diversa funzione obiettivo che incorpori interessi propri piuttosto che della collettività49. Tali comportamenti inducono due conseguenze sul piano dell’inefficienza: in primo luogo, le imprese pubbliche possono essere meno sensibili alle pressioni della riduzione dei costi, soprattutto nella misura in cui non è agevole, da parte degli organi di controllo, raccogliere informazioni sulla reale struttura dei costi50; in secondo luogo le imprese pubbliche, possono essere spinte ad

implementare regole di fissazione dei prezzi (o delle tariffe) non sempre coerenti con l’allocazione di first best. Infatti, sia partendo dai presupposti della teoria della burocrazia, sia partendo da quelli della teoria delle scelte collettive, il manager pubblico può essere incentivato ad applicare, ai servizi, prezzi pari al costo medio (average cost pricing) anziché al costo marginale (marginal cost pricing), anche nei casi in cui il marginal cost pricing non darebbe luogo a perdite di bilancio51. In quest’ultimo caso, le rendite del monopolista affluiscono

47 Sulla burocrazia e il comportamento burocratico si vedano, tra gli altri, SIMON,M. (1947), Administrative

Behavior: a Study of Decision-Making Processes in Administrative Organization, 4th ed. in 1997, The Free Press, New York; WEBER,M. (1961), Economia e Società, Edizioni di Comunità, Milano; CROZIER M. (1964), The Bureaucrat- ic Phenomenon, University of Chicago Press, Chicago; SELZINCK P. (1984), TVA and the Grass Roots: a Study in the Sociology of Formal Organization, University of California Press, Los Angeles; WILLIAMSON O.E (1974), The Economics of Discretionary Behavior: Managerial Objectives in a Theory of the Firm, Kershaw Publishing Company, London; e, dello stesso autore, (1975), Markets and Hierarchies, Analysis and Antitrust Implications: a Study in the Economics of Internal Organization, The Free Press, New York; BARZELAY M. (1992), Breaking Through Bureaucracy, University California, Press, Berkley; PETERS B.G.(1997),The Politics of Bureaucracy, Routledge, London.

48 Sui modelli di comportamento opportunistici di soggetti politici e imprese private si vedano NISKANEN

W. (1971), Bureaucracy and Representative Government, Chicago: Aldine-Atherton; ALCHIAN A., DEMSETZ H. (1972). Production, Information Costs, and Economic Organization. The American Economic Review, 62 (5): 777-795; WILLIAMSON O.E (1974), The Economics of Discretionary Behavior: Managerial Objectives in a Theory of the Firm, Kershaw Publishing Company, London; FAMA E.F. (1980), Agency Problem and the Theory of the Firm, Journal of Political Economics, 88(2): 288-307; FAMA E.F.,JENSEN M.C. (1983), Separation of Ownership and Control, Journal of Law and Economics, 26(2): 301-325; EGEBERG M. (1999), The Impact of Bureaucratic Structure on Policy Making. Public Administration, 70(1): 155-170; HARRISON P.D.,HARRELL A. (1993), Impact of “Adverse Selection” on Managers’ Project Evaluation Decisions, Academy of Management Journal, 36(3): 635- 643; HANSEN K.M.,EJERSBO N. (2002), The Relationship Between Politicians and Administrators – a logic of disharmony, Public Administration, 80(4): 733-750; MOE T. (2002), Political Control and the Power of the Agent. Pa- per presented at the Conference for controlling the Bureaucracy, Texas; BOWLING C.J.,CHO C.L.,&WRIGHT

D.S. (2004), Establishing a Continuum from Minimizing to Maximizing Bureaucrats: State Agency Head Pre- ferences for Governmental Expansion – a Typology of Administrator Growth Postures, 1964-98, Public Ad- ministration Review, 64(4): 489-499; CHRISTENSEN T.,LAEGREID P. (2005) “Autonomization and Policy Capaci- ty: dilemmas and challenges facing political executives”, in M. Painter & J. Pierre (Eds.), Challenges to State Poli- cy Capacity: global trends and comparative perspectives, Palgrave Macmillan, Basingstoke; LANE J.E. (2005), Public Administration and Public Management. The principal-agent perspective, Routledge, London.

49 Ad esempio, gli amministratori sono più orientati al raggiungimento degli equilibri gestionali, mentre i

politici sono più interessati alla propria elezione o rielezione.

50 In tal senso emerge un problema di asimmetria informativa tra gestione (politica o amministrativa)

dell’impresa pubblica e controllo di tale attività da parte, in ultima istanza, dei cittadini.

51 Nel settore elettrico, i modelli di regolazione che hanno tradizionalmente accompagnato il monopolio

pubblico si basano sul controllo delle tariffe all’utenza finale e consentono all’impresa regolata di ottenere il riconoscimento pressoché completo di tutti i costi sostenuti, come nel caso del modello di regolazione del rendimento del capitale (Rate of Return – RoR), ove tipicamente veniva fissato un livello delle tariffe che fornisse un adeguato volume di ricavi all’impresa regolata. Cfr. MARZI G. (2006), op. cit., pp. 103-105.

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direttamente agli utenti del servizio e non contribuiscono ad incrementare le entrate dello Stato o del Comune, i quali potrebbero poi utilizzarle per finanziare i propri programmi, siano essi di politica industriale, sociale, o anche semplicemente fiscale (riduzione della pressione tributaria o dell’aliquota media effettiva di una particolare imposta)52.