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Le precedenti considerazioni aprono all’esistenza di una possibile relazione di complementarità tra le politiche di concorrenza per il mercato e gli interventi pubblici tesi a favorire la concorrenza nel mercato di cui si ripercorrono brevemente gli aspetti principali.

La concorrenza nel mercato consiste di fatto nella stipula di un contratto tra lo Stato o un Ente Locale e l’impresa concessionaria. In generale, non è rilevante che la concessione sia stata acquisita grazie ad una procedura di affidamento diretto ovvero dopo una procedura d’asta seguita ad un bando di gara. In entrambi i casi il problema che deve affrontare il regolatore è quello di scrivere il contratto in maniera da inserirvi degli elementi utili ad influenzare il comportamento dell’impresa concessionaria così da incentivarla ad assumere quelle decisioni produttive e allocative che essa assumerebbe spontaneamente in un ipotetico contesto competitivo. Innanzitutto, le politiche per la concorrenza nel mercato, proposte dalla letteratura economica o applicate in contesti reali, possono essere classificate in tre grandi approcci:

a) approccio cost-plus, con il quale, a partire dall’ammontare e dalla struttura dei costi dell’impresa concessionaria, si fissa la dinamica dei ricavi. Tale approccio è stato declinato in pratica con il meccanismo del Rate of Return (ROR), molto utilizzato nell’esperienza di regolazione statunitense, che garantisce un margine di rendimento sul valore del capitale investito. Il principale limite dell’approccio cost-plus è rappresentato dalla presenza di asimmetrie informative tra regolatore e impresa concessionaria. Infatti, il primo ha informazione limitata sull’ammontare e sulla struttura dei costi dell’impresa, la quale avrà, quindi, incentivo, da un lato a dichiarare un costo maggiore di quello effettivo (selezione avversa), dall’altro a non impegnarsi a sufficienza per contenere i costi stessi (azzardo morale). Nel caso particolare del ROR, questi limiti implicano un chiaro incentivo per l’impresa concessionaria ad adottare tecnologie a maggiore intensità di capitale, anche qualora queste non siano coerenti con l’efficienza allocativa, ad esempio perché il prezzo del capitale è eccessivamente elevato;

b) approccio fix-price, con il quale, in sostanza, si fissa una regola di variazione dei prezzi del servizio, regola cui l’impresa concessionaria è tenuta ad attenersi. Tale approccio ha trovato applicazione attraverso il meccanismo del price-cap, che consiste, una volta stabilito un livello iniziale del prezzo del servizio, nel consentire all’impresa concessionaria di adeguare la dinamica del prezzo all’inflazione a meno di un parametro esogeno fissato dallo Stato o dell’Ente locale, e che ha la funzione di incentivare l’impresa concessionaria ad un

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contenimento dei costi. I principali vantaggi di un approccio fix-price sono, in primo luogo la quantità esigua di informazione richiesta, in secondo luogo l’incentivo alla riduzione dei costi. Per contro, il principale svantaggio è dato dal fatto che è difficile per il regolatore distinguere una riduzione di costo generata da investimenti in innovazione tecnologica e/o organizzativa piuttosto che da tagli agli standard qualitativi del servizio offerto. Un ulteriore svantaggio del price-cap è legato alle modalità di fissazione del prezzo nell’anno base;

c) l’ultimo approccio è emerso come conseguenza dei risultati di un filone teorico, rappresentato dalla teoria degli incentivi, sviluppato in maniera decisiva dai contributi di Laffont e Tirole75. L’idea è quella di non offrire un contratto monodimensionale all’impresa

concessionaria, come nei precedenti due approcci che si concentravano di fatto sul prezzo, bensì un contratto che preveda più elementi: tipicamente oltre al prezzo si fissa anche una regola di fissazione di un sussidio che lo Stato o l’Ente locale sono tenuti a versare all’impresa concessionaria. Il principale vantaggio di tale approccio è rappresentato dalla sua capacità di fronteggiare le asimmetrie informative che caratterizzano il rapporto tra regolatore e impresa regolata76.

Oltre alle criticità messe in evidenza nei singoli punti, ci sono altri elementi, comuni a tutti e tre gli approcci, che possono far emergere inefficienze qualora si scelga un assetto di monopolio privato regolamentato, sia con riferimento ai servizi di pubblica utilità, sia con riferimento specifico ai servizi pubblici locali.

In primo luogo, quando il servizio di pubblica utilità è fornito da un monopolista privato gli utenti non hanno né l’opzione di exit, che avrebbero in condizioni di concorrenza, né l’opzione di voice, che gli utenti potrebbero teoricamente esercitare qualora il servizio fosse fornito da imprese sotto il controllo diretto delle istituzioni politiche77.

In secondo luogo, la presenza di un monopolista privato (poiché regolato) comporta necessariamente un’attività di regolazione in itinere, che comporta anch’essa dei costi, un tema – quello dei costi della regolazione – su cui la letteratura economica si è cimentata con minore passione.

In terzo luogo, qualora il meccanismo di voice funzionasse adeguatamente, le condizioni

75 La moderna teoria della regolazione (New Regulatory Economics), che prende l’avvio dal pioneristico studio

di Laffon e Tirole (1993), si fonda sul superamento dei problemi di asimmetria informativa tra il regolatore (principale) e impresa regolata (agente) attraverso la definizione di un sistema di incentivi. Sull’argomento si vedano LAFFONT J.J.,TIROLE J.(1987), “Auctioning Incentive Contracts”, Journal of Political Economy, volume 95, pp. 921-37, e LAFFONT J.J.,TIROLE J.(1993), A Theory of Incentives in Regulation and Procurement, MIT Press, Cambridge (MA).

76 I modelli di regolazione incentivanti si distinguono in due grandi categorie, i modelli che utilizzano i

meccanismi bayesiani di incentivi (BARON E MYERSON,1982;SAPPINGTON,1983;LAFFONT E TIROLE,1986) e quelli che utilizzano modelli non bayesiani (VOGELSANG,2002), tra cui ricordiamo il price cap, che, negli ul- timi anni, ha assunto un ruolo preminente nella regolazione delle tariffe Cfr. MARZI G. (2006), op.cit.

77 L’esercizio della voice è poi ulteriormente complicato, in linea di principio, quando responsabilità pubbli-

che e private si sovrappongono. Potrebbe essere il caso, ad esempio, della gestione di servizi pubblici locali da parte di società private a capitale pubblico qualora nel consiglio di amministrazione siedano esponenti politici locali. Si vedano, ad esempio, GAVANA G.,OSCULATI F.,ZATTI A.(2006), “Il capitalismo municipale e le e- sternalizzazioni fredde. Qualche rimedio”, in MARRELLI M.,PADOVANO F.,RIZZO I. (a cura di), Servizi pubbli- ci, Franco Angeli, Milano.

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operative di un’impresa pubblica potrebbero essere in linea di principio modificate in qualsiasi momento, mentre i contratti di servizio stipulati con un’impresa privata concessionaria possono essere modificati solo con l’accordo delle parti (salvi casi di gravi motivazioni) o alla scadenza degli stessi. Si tenga inoltre conto del fatto che interventi ricorrenti di modifica dei contratti di servizio durante la loro vigenza possono avere effetti sulla reputazione dello Stato nella sua attività di regolazione e ridurre fortemente l’incentivo da parte degli investitori privati ad operare in tali settori, con possibili problemi di selezione avversa.

In quarto luogo, con specifico riferimento al ricorso al mercato per la fornitura di servizi pubblici locali, esiste un problema istituzionale aggiuntivo, che si configura come asimmetria di potere rispetto al governo centrale.

Nel caso degli Enti locali, infatti, la privatizzazione dei servizi pubblici corrisponde, con una certa probabilità, ad una cessione di potere maggiore a quella implicita nella cessione delle utility nazionali da parte del governo centrale. In quest’ultimo caso, infatti, lo Stato centrale rinuncia al ruolo di produttore del servizio per assumere quello di regolatore. Inoltre, lo Stato centrale mantiene strumenti piuttosto potenti di intervento da utilizzare qualora lo ritenesse necessario, fatta salva la necessità di non provocare effetti deteriori sulle aspettative e sulle decisioni degli investitori internazionali. Gli Enti locali, in particolare i Comuni, non hanno invece potere legislativo, e il loro coinvolgimento nella regolazione dei mercati dei servizi pubblici locali potrà forse avvenire in modo più indiretto, soprattutto in presenza di autorità di regolazione settoriali.