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La messa in rete delle componenti funzionali: l’ap proccio sistemico

Introduzione al secondo capitolo

2.3 La città contemporanea e la metropolizzazione: rigenerazione e

2.3.1 La messa in rete delle componenti funzionali: l’ap proccio sistemico

ca di qualità urbana.

2.3.1 La messa in rete delle componenti funzionali: l’ap-

proccio sistemico

Nella seconda metà del Novecento il dibattito scientifico imbocca la strada del superamento dell’approccio analitico-deterministico del pensiero cartesiano per affrontare la complessità attraverso un approccio di tipo olistico-sistemico. Anche la conoscenza della città passa, quindi, da una scomposizione in parti dei fenomeni urbani e da una conoscenza del tutto intesa come loro sommatoria, a una vi- sione dell’oggetto di studio come unico e non conoscibile attraverso la sola individuazione delle relazioni tra le singole parti. Le ipotesi razionaliste per l’interpretazione della città non sono più adatte, quindi, a supportare la pianificazione urbana e territoriale al fine di governare le trasformazioni, sono necessarie, invece, nuove catego- rie concettuali capaci di fornire un modello interpretativo della città e del territorio che consentano di ridurne il grado di complessità ma che, al contempo, permettano di considerare la dinamicità, la non linearità e l’irreversibilità dei fenomeni studiati. Una logica di tipo sistemico appare, quindi, maggiormente adeguata a restituire la varietà e l’articolazione della città e dei suoi fenomeni.

Il pensiero sistemico

La concettualizzazione della città come “sistema di sistemi” è stata

sostenuta, a fine anni Sessanta, da Brian McLoughlin273, come decli-

nazione nel campo della pianificazione della teoria dei sistemi che si era andata formando, attraverso il contributo di numerosi stu-

diosi274, a partire dagli inizi del XX secolo nel campo delle scienze

273. J. B. McLoughlin, Urban & region-

al planning. A Systems Approach, Lon-

don, Faber and Faber, 1969.

274. Tra cui il biologo statuniten-

se Ross Harrison (1870-1959), il filosofo e medico russo Aleksandr Aleksandrovič Bogdanov (1873- 1928), il biochimico, filosofo e socio- logo statunitense Lawrence Hender- son (1878-1942), il filosofo e storico inglese Charlie Dunbar Broad (1887- 1971), il biologo e filosofo inglese Jo- seph Woodger (1894-1981), il biolo- go austriaco Ludwig von Bertalanffy (1901-1972) e il filosofo novegese Arne Dekke Eide Næss (1912-2009).

naturali, ma che si estese ben presto a diverse discipline.

Nella prima metà del Novecento, infatti, il pensiero organicista for- mula nuovi concetti per la descrizione della realtà, quali organiz- zazione, configurazione e relazione, ricompresi in un sistema, le cui proprietà derivano dalle relazioni ricorsive tra le sue parti costi- tuenti; il pensiero sistemico punta, quindi, a comprendere la realtà stabilendo la natura delle sue relazioni. Vengono formulati in segui- to ulteriori nuovi concetti che contribuiscono a definire l’approccio sistemico: l’emergenza, che individua nella gerarchia dei sistemi (l’esistenza di più livelli di sistema all’interno di ogni sistema più ampio) “comportamenti emergenti” ad un dato livello che non sono presenti al livello inferiore; l’ecosistema, che inquadra i caratteri di completezza e interdipendenza di un sistema all’interno del loro am- biente naturale; la rete, intesa come l’espressione formale dell’inte- grazione delle parti, in aggiunta a quello di comunità, indicante un insieme di parti integrate. Secondo tale visione, la natura è, dunque, composta di reti di reti.

Nel 1950, Ludwig von Bertalanffy, con l’articolo The Theory of Open Systems in Physics and Biology fornisce una cornice complessiva agli studi sulla sistemica sino ad allora condotti, intravvedendo nella “teoria generale del sistema” una “nuova dottrina” applicabile a tutti i sistemi, indipendentemente dalla loro natura.

The formal correspondence of general principles, irrespective of the kind of relations or forces between the components, leads to the conception of a “General System Theory” as a new scientific doctrine, concerned with the principles which apply to systems in general275.

Nella pubblicazione del 1968 General System Theory, von Berta- lanffy definisce il sistema come un complesso di elementi intera- genti, aperti all’ambiente e alle interazioni con esso; inoltre, attra- verso l’emergenza, esso può acquisire nuove proprietà qualitative ed è, pertanto, in continua evoluzione. In virtù di ciò, i sistemi pos-

sono auto-regolarsi e correggersi276. I principi che emergono sono i

seguenti:

ି i sistemi si stabiliscono in quanto totalità di parti in relazione continua (ricorsiva), pertanto la proprietà del sistema non è riconducibile alle singole parti, inoltre il sistema non possiede proprietà ma ne acquisisce continuamente grazie all’interazio- ne (interdipendenza);

ି il mondo è fatto di sistemi – formati a loro volta da altri sistemi – di complessità variabile e, pertanto, a ogni livello si riscontra- no proprietà non direttamente riconoscibili nelle parti che lo compongono (emergenza);

ି la natura è una trama interconnessa di relazioni, pertanto il suo studio può avvenire solo mediante una visione complessiva (olistica, ecosistemica) delle parti nel contesto, non già attra- verso lo studio analitico delle singole parti (non sommatività). Per quanto utile a questa ricerca, va sottolineata innanzitutto la so- stanziale differenza del concetto di sistema da quello di insieme, in

275. L. Von Bertalanffy, «The theory of

open systems in physics and biology»,

Science, n. 111:2872, 1950, p. 28.

276. Cfr. L. von Bertalanffy, Teoria

generale dei sistemi. Fondamenti, svi- luppo, applicazioni, trad. it Enrico Bel-

lone, Milano, Mondadori, 2004 (ed. orig. General System Theory. Founda-

tions, Development, Applications, New

quanto, mentre quest’ultimo è dato da un gruppo di elementi con una qualche caratteristica in comune (che rappresenta l’unico tipo di legame esistente tra quegli elementi), il sistema è invece stabilito proprio dalla presenza di legami al suo interno (che possono artico- larlo in sistemi di livello inferiore) e verso l’esterno (che generano un sistema di livello superiore), evidenziando così una gerarchia che però ha un carattere non verticistico; tali elementi sono, dunque, legati da leggi di comportamento, dove una qualsiasi variazione di un elemento comporta una variazione di tutti gli elementi con cui in relazione. L’insieme delle relazioni di un sistema, ne costituisce la struttura la quale ne determina il comportamento; il sistema delle relazioni e del comportamento di un sistema definisce la sua orga- nizzazione.

Sotto la spinta dell’informatizzazione, alla teoria dei sistemi, si sono aggiunte più tardi le teorie dei sistemi complessi che rinunciano alle assunzioni di linearità nei sistemi dinamici per indagarne più a fon- do il comportamento. Il fine è quello di decifrare le dinamiche dei comportamenti di sistemi in cui le relazioni e la gerarchia non sono immediatamente riconoscibili e in cui il tempo rappresenta una variabile fondamentale. I sistemi complessi infatti, sono: dinamici, poiché le relazioni tra le sue componenti evolvono; non lineari; ir- reversibili; caotici, poiché presentano un’entropia maggiore a quella che il sistema può tollerare. La teoria dei sistemi e il paradigma del- la complessità appaiono, pertanto, opportuni per la conoscenza, la pianificazione e la gestione di un sistema urbano o territoriale, in quanto presenta tali caratteristiche.

L’approccio sistemico nella pianificazione

Le ampie possibilità di applicazione della teoria dei sistemi erano ben note a von Bertalanffy, tanto che nell’introduzione al suo testo del 1968 scrive «Il pensare in termini di sistemi gioca un ruolo do- minante in un ampio intervallo di settori che va dalle imprese in- dustriali e dagli armamenti sino ai temi più misteriosi della scienza

pura»277 e richiama altresì la richiesta di un “approccio in termini

di sistemi” reclamata dai politici dell’epoca rispetto «a problemi pressanti, quali quelli dell’inquinamento atmosferico e idrico, del congestionamento del traffico, del deperimento urbano, della de- linquenza giovanile e del crimine organizzato, della progettazione della città […], ecc., indicando tutto ciò come un “nuovo concetto

rivoluzionario” […]»278. Circa l’adozione di tale concetto in campo

urbanistico, von Bertalanffy segnala, nella stessa introduzione, gli

studi di Harry B. Wolfe del 1967279 ma, come anticipato, è soprat-

tutto attraverso il testo del 1969 Urban and Regional Planning: a Systems Approach di J. Brian McLoughlin che i risultati delle ricerche sulla sistemica applicati alla conoscenza dell’ambiente urbano e alla sua pianificazione trovano ampia diffusione.

Se noi consideriamo la città come un sistema dinamico che si evolve in risposta a molte influenze, ne segue che i piani per questa città de- vono essere elaborati in modo coerente a questo principio; come dice Mitchell[280] essi: «saranno i piani relativi alla natura, i valori, la quantità

277. Ivi, p. 25. 278. Ivi, p. 27.

279. H. B. Wolfe, «Systems Analysis

and Urban Planning-The San Fran- cisco Housing Simulation Model»,

Transactions of the New York Academy of Sciences, n. 29:8, 1967, pp. 1043–

1049.

280. La citazione proposta da Mc-

Loughlin è contenuta in R. B. Mitchell, «The new frontier in metropolitan planning», Journal of the American

Institute of Planners, n. 27, 1965, pp.

e la qualità del mutamento urbano cioè piani per un processo di svi- luppo. Essi saranno espressi in termini dinamici, piuttosto che statici; partiranno dalle condizioni presenti per puntare nella direzione del mutamento»281

Sappiamo di avere a che fare con un sistema complesso e probabilistico in cui ogni mutamento delle attività, degli spazi che le ospitano, o del- le comunicazioni attraverso i loro canali, determina ripercussioni che modificano il sistema. Questi mutamenti del sistema spingono altri a modificare il contesto in cui si trovano e così via282.

Anche la città, pertanto, viene considerata un sistema, costituita da componenti e dalle relazioni tra di esse, che producono effetti difficilmente conoscibili. Ciò riguarda sia l’interpretazione dei feno- meni che sono all’origine delle trasformazioni, sia l’individuazione dei modelli organizzativi da perseguire tanto in un singolo sistema, quanto in quello stesso sistema considerato come componente del “sistema città”, a sua volta considerabile come componente del “si- stema territorio”. Il modello che emerge è, in qualunque caso, for- mato da un fenomeno fisico (le componenti) e un fenomeno rela- zionale (le interazioni tra componenti e le leggi che le regolano), che variano nel tempo, la cui evoluzione non è prevedibile in modo lineare a partire da condizioni iniziali note: la città ha, dunque, le caratteristiche di un sistema dinamico complesso, costituito da spazi e attività localizzati nel territorio in relazione tra loro.

281. J. B. McLoughlin, La pianificazio-

ne urbana e regionale, trad. it Paolo

Ceccarelli, Paolo Rigamonti, Padova, Marsilio, 1973, p. 67 (ed.orig. Urban

and Regional Planning: a Systems Approach, London, Faber and Faber,

1969). 282. Ivi, p. 77.

Figura 2.5 Un sistema e le sue relazio- ni. (Fonte: McLoughlin, 1969, p. 76)

Conseguentemente, la pianificazione assume il significato dell’a- zione atta a conoscere, controllare e modificare il processo di tra- sformazione del sistema, entro il quale possono essere riconosciuti molteplici sotto-sistemi (fisico, funzionale, antropico, ecc.), le cui componenti possono essere analizzate staticamente o dinamica- mente. Se l’obiettivo è quello di studiare le proprietà e le funzio- ni di un sistema, si ammette implicitamente che esso sia una unità riconoscibile, distinta dai suoi macro- o sub-sistemi; un momento fondamentale è, pertanto, il suo riconoscimento attraverso la de- terminazione del suo confine, entro il quale vanno incluse le sue componenti e la sua organizzazione. Risulta evidente che l’indivi- duazione di un sistema, effettuata in quanto sempre finalizzata a una particolare operazione, non può che essere arbitraria, come già

indicato da Stafford Beer:

La definizione di un qualsiasi sistema particolare è arbitraria … l’uni- verso sembra essere costituito di un insieme di sistemi, ciascuno dei quali è contenuto in un sistema maggiore, come nel caso di un insieme di blocchi da costruzione vuoti. Così come è sempre possibile espandere il sistema in una dimensione più ampia, è anche possibile ridurlo ad una versione minore … Il punto da afferrare è che se vogliamo considerare le interazioni relative ad una più semplice entità, dovremo anche definire quell’entità come parte di un sistema. Il sistema che vogliamo definire è un sistema in quanto contiene parti interrelate tra loro e in un certo senso costituisce un’entità completa in se stessa. L’entità che si conside- ra farà certamente parte di un certo numero di questi sistemi, ciascuno dei quali è a sua volta un sotto-sistema di una serie di sistemi più ampi. Così il problema di definire il sistema che desideriamo studiare non ri- sulta affatto facile283.

La determinazione del confine di un sistema complesso, come quel- li che ricadono nel campo della pianificazione, risulta soggettiva e, tuttavia, necessaria: distinguere le relazioni tra componenti che qualificano il sistema in modo significativo da quelle più deboli permette di definire il sistema oggetto di studio e l’ambiente ester- no, ancorché – soprattutto nella pratica – difficilmente si potranno ignorare le relazioni tra questi due, dato che si configurano sempre come un’entità unica e che un qualsiasi cambiamento, degli elemen- ti dell’ambiente così come del sistema, comporta necessariamente una variazione dell’altro.

La necessità di giungere a un modello interpretativo della città fi- nalizzato alla pianificazione comporta l’identificazione di un siste- ma adeguato al livello di descrizione del fenomeno, a partire dalla domanda cui si deve fornire risposta, stabilendone la scala, le com- ponenti, le relazioni tra componenti e le leggi che regolano tali inte- razioni. In questo modo si ottiene l’isolamento del sistema dal suo ambiente, assumendo che le relazioni con gli altri sistemi, non siano utili allo scopo prefissato; in qualche misura, tuttavia, le relazioni con l’ambiente viene generalmente considerato.

283. S. Beer, Cybernetics and Manage-

ment, London, Wiley, 1959, cap. II cit.

in J.B. McLoughlin, op.cit., p. 60.

Figura 2.6 La regolazione con con- trollo di errore applicata al processo di pianificazione. (Fonte: McLou- ghlin, 1969, p. 88).

Le caratteristiche delle componenti individuate possono essere co- nosciute e descritte solo per un preciso momento, dato che la città è un sistema dinamico che muta nel tempo in funzione delle con- dizioni esterne, e proprio a causa di ciò si comprende la necessità di un continuo monitoraggio «degli effetti, sullo spazio fisico, delle mutazioni delle condizioni socio-economiche in modo da permette- re la continua messa a punto degli strumenti, non solo urbanistici, che intervengono sui sistemi, al fine di correggere eventualmente la

rotta, attraverso azioni di politica urbana»284.

Individuati e conosciuti i sistemi che compongono la città (un “siste- ma di sistemi”) attraverso l’analisi sistemica, è possibile procedere con le ulteriori azioni di pianificazione finalizzate al governo delle trasformazioni; considerando la città come un sistema (urbano) è, quindi, necessario definire lo stato desiderato, tracciare il percorso evolutivo del sistema e creare le condizioni affinché sia possibile re-

alizzare lo stato desiderato seguendo il percorso tracciato285.

Anche richiamando i fattori sociali, culturali ed economici propri dell’attuale fase urbana che sono stati evidenziati nelle sezioni in- troduttive di questo paragrafo – e, in particolare, l’emergere dei fenomeni di metropolizzazione, che configurano una nuova condi- zione urbana e una nuova dimensione territoriale – appare confer- mato il carattere di complessità della città contemporanea, nella sua accezione sistemica. Sono, infatti, riscontrabili:

- una presenza di una molteplicità di componenti in relazione ri-

corsiva tra loro (interdipendenza);

- l’esistenza di proprietà di determinati livelli non predicibili sul-

la base delle leggi che regolano le componenti, derivanti dalle loro interazioni e dalle variazioni apportate dalle esternalità dell’ambiente, in questo caso soprattutto dai processi diffusivi (emergenza);

- la frammentazione della struttura gerarchica verticistica dei

processi insediativi a favore di un sistema reticolare di relazioni materiali e immateriali in continua evoluzione (dinamicità) e comprensibile solo attraverso una visione olistica del sistema (non sommatività);

- la non linearità e l’irreversibilità dei fenomeni urbani e territo-

riali;

- un grado di complessità che avanza più velocemente della capa-

cità di governarla e organizzarla, che si manifesta, ad esempio, con i fenomeni di congestione (caoticità).

L’approccio sistemico in pianificazione fornisce, quindi, la possi- bilità di poter trasformare le misurazioni quantitative e qualita- tive delle componenti e dei fenomeni ad esse legati in modelli di conoscenza, interpretazione, analisi, progettazione e monitoraggio attraverso strumenti metodologici elaborati dalla disciplina, anche secondo diverse prospettive disciplinari; in presenza di un elevato livello di complessità, infatti, le categorie concettuali della tradizio- ne moderna, in qualche modo riconducibili all’assunzione del prin- cipio di causa-effetto, risultano ancor più insufficienti alla descrizio-

284. S. Garano, La città nell’incertez-

za e le contraddizioni dei piani. Dalla progettazione al labirinto procedurale e normativo, Roma, Gangemi Editore,

2015, p. 96.

285. Cfr. R. Papa, Il governo delle

trasformazioni urbane e territoriali. Metodi, tecniche e strumenti, Milano,

ne dei processi di metropolizzazione contemporanei.

È noto, che in urbanistica, come d›altronde in tutte le scienze sociali, a ogni azione può corrispondere una reazione diversa, poiché risulterà mediata da molti fattori, come aspetti culturali, sociali, economici, antropologici, tecnologici, normativi ecc. Il rapporto tra causa ed effetto, quindi, si differenzia secondo le varie situazioni urbane, soprattutto quando ci si riferisce alla strumentazione operativa, sia per esercitare una tutela non solo inibitoria, sia per assumere il “progetto” come estrinsecazione materiale di un complesso processo di valutazione. Basta ricordare che le grandi trasformazioni socio-economiche indotte dalla prima rivoluzione industriale hanno determinato […] esiti molto diversi da un paese all’altro e da una città all’altra dello stesso paese286.

Le critiche ad un certo dogmatismo della disciplina e alla chiusura degli urbanisti effettuate da filosofi, sociologi e geografi dalla fine

degli anni Sessanta287 – già evidenziate nei paragrafi precedenti per

quanto riguarda la centrale questione della zonizzazione – hanno esortato all’apertura verso altri campi del sapere, come l’econo- mia, la geografia urbana, l’ecologia. Le nuove prospettive elaborate a partire dagli anni Novanta, in particolare, si soffermano sull’in- dividuazione di nuovi strumenti metodologici, che assumono l’in- terdisciplinarietà, l’integrazione e l’interscalarità come alcune delle loro cifre distintive, atte a conseguire una conoscenza dei fenome- ni contestualizzata, individuandone i legami positivi e negativi con l’ambiente di riferimento, capace di fornire nuove chiavi di lettura per la comprensione della complessità della città contemporanea e il governo dei processi di trasformazione che sostituiscono quelli di espansione. In questo, si può rintracciare anche un momento di rifondazione dell’urbanistica a seguito di una fase in cui risultava

meno evidente la sua utilità288 e se ne proponeva il piegamento al

“progetto”, permettendo così anche di affermare il senso dell’azio- ne del pianificatore, ora maggiormente improntata all’efficacia e orientata al perseguimento della qualità urbana e al sostegno dello sviluppo in un quadro generale di sostenibilità.

Tale azione si esplica con la sperimentazione delle nuove strategie cognitive di tipo sistemico entro nuovi modelli, strutturali e ope- rativi, che originano strumenti innovativi, incaricati di governare e gestire i processi di trasformazione in atto, di cui verrà dato meglio

conto nel capitolo seguente e nella seconda parte della ricerca289.

I sistemi territoriali nel piano e la rigenerazione urbana

Come sin qui ampiamente evidenziato, le categorie della pianifica- zione tramite zoning funzionale non risultano idonee a governare i sistemi complessi della città contemporanea, che si confrontano con un dissolvimento dei tradizionali limiti geografici tra città e campa- gna e tra centro e periferia verso una frantumazione della città nel territorio, nel quale si rilevano addensamenti e polarità che posso- no costituire le componenti di una nuova forma della “città di città”.

La città contemporanea sembra non avere più dimensioni e la “decon- testualizzazione” essere uno dei suoi connotati più espliciti e generaliz-

286. S. Garano, op.cit., p. 95.

287. Tra tutti, la critica di Lefebvre

all’assenza di confronto degli archi- tetti con chi fruisce la città. Cfr. H. Lefebvre, Le droit à la ville, Paris, Édi- tions Anthropos, 1968.

288. Dalla metà degli anni Settanta,

emerge l’inadeguatezza degli stru- menti urbanistici di fronte a fenomeni nuovi, ai problemi di cui sono porta- tori e alla complessità dei processi, tanto da ritenere superato il piano stesso; le principali critiche mosse attengono ai «limiti di natura tecnica (connessi alle inadeguate conoscenze mobilitate dai tecnici), culturale (ina- deguatezza del “paradigma” domi- nante), politica (scarsa rispondenza ai bisogni), strutturale (difficoltà di pianificare in ambienti complessi)». P. Gabellini, op.cit., p. 39.

289. Cfr., in particolare, par. 3.3.1 “I piani della trasformazione”, par. 3.3.2 “I piani della metropolizzazione”, cap. 4 “La dimensione strutturale e la stra- tegia di rigenerazione urbana”.

zati. Non solo la città fisica invade territori sempre più vasti, ma la com- pressione del rapporto spazio-tempo tende ad annullare ogni distanza facendoci immaginare e vivere una unica immensa città. […] Nella “città infinita” (qui nel senso della estensione territoriale) si dissolvono non solo i confini fra città e campagna (la cultura è ormai una cultura urbana diffusa), ma assumono un senso diverso i rapporti fra centro e periferia.