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Le disfunzioni delle grandi capitali e l’urgenza di un piano

Introduzione al secondo capitolo

2.1 La città pre-industriale e la crescita graduale: stratificazione e

2.1.2 Le disfunzioni delle grandi capitali e l’urgenza di un piano

L’affermarsi degli stati moderni nel XVII secolo determina un pro- gressivo spostamento dell’egemonia culturale dalle città italiane alle grandi capitali europee, in cui nuove elaborazioni del linguag- gio architettonico sono tese a rappresentarne plasticamente il ruolo politico. In continuità con una sempre maggiore attenzione alle que- stioni estetiche – sollecitata dall’acquisizione della relatività delle regole, non più il prodotto di una “legge naturale” secondo canoni

classici, ma «stabilita per un accordo tra architetti»74 secondo Clau-

de Perrault – gli aspetti funzionali della città non vengono in questa fase affrontati.

Non essendovi la percezione della complessità e dell’interrelazione dei problemi urbani, manca anche un’elaborazione di una visione

complessiva75. Si susseguono e si giustappongono, invece, singoli

progetti di ampliamenti urbani, nuove strade, giardini e piazze cele- brative; pur realizzandosi anche le prime opere pubbliche relative all’approvvigionamento e allo smaltimento delle acque, è soprattut- to l’abbellimento diffuso della città ad essere ricercato.

Ciononostante, l’aumento delle problematiche funzionali, aggrava- te dalla crescita della dimensione della città, fanno anche appari- re nuove sensibilità rispetto alla qualità della vita in città. Sir John

72. V. Scamozzi, Dell’idea della archi-

tettura universale, Venezia, 1615, p.

164.

73. Cfr. R. Pavia, L’idea di città. Teorie

urbanistiche della città tradizionale,

cit.

74. H. W. Kruft, Storia delle teorie ar-

chitettoniche da Vitruvio al Settecento,

Roma-Bari, Laterza, 1988, p. 167.

75. I problemi igienici, della viabilità

e degli edifici portano a istituire nel 1666 il Consiglio di Polizia di Parigi, che emetterà una serie di editti, con- solidati cinquant’anni dopo in una sorta di regolamento edilizio che, tut- tavia, avrà scarsa efficacia. Cfr. F. Cho- ay, op.cit., pp. 44–45.

Evelyn, ad esempio, con il pamphlet Fumifugium; or the inconvenien-

cie of the aer and smoak of London dissipated76 del 1661, solleva la

questione della scarsa qualità dell’aria di Londra e della necessità di porvi rimedio attraverso una ricollocazione di talune funzioni (le industrie che utilizzavano grandi fuochi a carbone, la produzione di candele, di saponi e la macellazione degli animali) in località lonta- ne dal centro della città, vietandone definitivamente l’insediamento futuro.

È solo dalla seconda metà del XVIII secolo che «la teoria architetto-

nica scopre l’esigenza di un piano urbanistico generale»77, quando

ormai le grandi città sono vittime di gravi disfunzioni. In particola- re, Parigi e Londra mancano di forma, ordine, servizi e opere pubbli- che: oltre alla bellezza, si inizia a ricercare, congiuntamente, la fun- zionalità, soprattutto in risposta all’emergere delle problematiche igieniche. Su questo connubio, riflette l’architetto francese Pierre Patte in Mémoires sur les objects le plus importants de l’architecture, un saggio del 1769 in cui compare una metafora di grande successo – ripresa, infatti, nei secoli successivi – che propone “l’urbanistica

come medicina per la città malata78”. Patte è convinto della possibi-

lità di risanare e migliorare la città esistente:

Innanzitutto mostrerò come sarà opportuno sistemare una città per la felicità dei suoi abitanti, quali sono i mezzi per realizzare la sua salu- brità e quale deve essere la distribuzione delle sue strade per evitare ogni sorta di incidenti. Poi mostrerò qual è il modo più vantaggioso di disporre le fognature, di distribuire le acque e come è possibile costru- ire le case per metterle al riparo di incendi; e infine, mediante l’appli- cazione dei principi che avrò stabilito, giungerò a provare che le nostre città, per quanto difettose siano per le loro condizioni fisiche possono, per molto aspetti, essere corrette […]79.

In Inghilterra, l’architetto John Gwynn, è allarmato, come Patte, dal- le precarie condizioni della città, e denuncia la necessità di un ap- proccio organico ai temi urbani, il bisogno di un piano. In London and Westminster Improved. A discourse on Public Magnificence, egli afferma: «la vera ragione è che questa profusione di bruttezze è sta- ta imposta al pubblico soltanto per mancanza di un piano generale

ben studiato»80.

La necessità di un piano generale è ben presente in Italia nel lavoro di Francesco Milizia, Principi di Architettura Civile, testo in forma di trattato del 1785, nella cui seconda parte “Della comodità” affron- ta le questioni delle città, prendendo atto, come dato oggettivo, che esse non hanno più forma e – ormai lontana l’idea di città regolare del Rinascimento – propone come fattore di bellezza la relazione tra le parti, tuttavia «è alla ricerca di un ordine diverso, in grado di comprendere la nuova dimensione della città e il disordine della sua crescita»81.

Nella seconda metà del Settecento, Milizia è anticipatore di numero- si elementi propri del secolo successivo. Tra gli altri, avanza l’idea di un piano generale a cui riferire i progetti edilizi, che devono essere sottoposti ad autorizzazione da parte dell’autorità pubblica, e so-

76. J. Evelyn, Fumifugium: or The In-

conviencie of the AER and SMOAK of LONDON DISSIPATED, Exeter, The

Rota at the University of Exeter, 1976.

77. R. Pavia, L’idea di città. Teorie ur-

banistiche della città tradizionale, cit., p. 55.

78. F. Choay, op.cit., pp. 194–195.

79. P. Patte, Mémoires sur les objects le

plus importants de l’architecture, Pari-

gi, 1769, riportato in P. Sica, Antologia

di urbanistica dal Settecento a oggi,

Roma-Bari, Laterza, 1980, p. 32.

80. J. Gwynn, London and Westminster

improved, illustrated by plans, Lon-

don, 1766, riportato in P. Sica, op.cit., p. 35.

81. R. Pavia, L’idea di città. Teorie ur-

banistiche della città tradizionale, cit., p. 62.

stiene con forza la necessità di demolire per ricostruire, anticipando la politica degli sventramenti del secolo successivo.

Si è in una gran selva piena di sentieri senza metodo, e in contraddi- zione a tutte le mire di comodità, e di ordine […] Ma come riparare a tutti questi disordini, senza abbattere un’infinità di edificj, e senza un dispensio immenso per disfarli per riedificarli? […] Il non si può è il veleno della società. […] Diroccar fabbriche per aprire, e raddrizzar strade, e per fare piazze comode, ed ilari comunicazioni è una cosa fa- cile; basta volerlo: non si vuol mai abbastanza. Si ha torto a dire, che il terreno nelle capitali sia troppo prezioso. Sono le strade e le piazze, che danno il gran pregio al terreno. Onde una nuova strada che si apre, oltre l’aumentar l’agevolezza della comunicazione, dà al terreno un valore, che prima non avea […]. Per abbellire una Città bisogna distruggere più pezzi. Questa distruzione non è che apparente, ma in realtà è una nuova edificazione più bella e più sana. Qualunque grandissima Città in meno di un secolo può divenire regolare, demolendo, ove inopportunamente si è edificato, e fabbricando opportunamente ne’ siti idonei82.

Milizia affronta in modo articolato il tema della distribuzione di edi-

fici, strade e piazze nella città83, e gli aspetti relativi all’ubicazione

delle attività non variano molto rispetto ai modelli del passato già riportati: pone attenzione a criteri di localizzazione già visti con L.B. Alberti e F. di Giorgio Martini, come l’attenzione all’esposizione dei

venti84, e stila l’elenco delle funzioni che devono essere allontanate

dall’ambiente urbano.

Milizia accentua la necessità di maggiore salubrità dell’ambiente ur- bano che si ottiene soprattutto con la presenza di spazi aperti. Nel paragrafo “Piazze”, che devono essere numerose e «differenti tutte nella forma, nella decorazione, e nella grandezza, la quale deve es-

sere relativa a quella della Città, e della sua popolazione»85, sostie-

ne che la loro più importante funzione sia quella di far “sfogare” la città, per tenere pulita l’aria dalle “esalazioni” dell’uomo. Allo stes- so modo sono importanti i giardini di piante aromatiche nella città

«per renderne l’aere più grato, e più salubre»86, così come si usa in

Asia; Milizia ritiene fondamentale l’apporto generale della vegeta- zione che «ristabilisce l’aria viziata, resa nociva da vapori de’ corpi

infiammati, o dalla respirazione degli animali»87 e l’attenzione per il

ricambio d’aria nei luoghi in cui si concentrano molte persone con le loro “esalazioni animali dannosissime”, come quelli per pubblici spettacoli. Conseguentemente, è necessario

[…] situar gli Ospedali, le prigioni, le arti più clamorose, e sudice, i ma- gazzini di legname, i fienili, le caserme e quanto può produrre cattive esalazioni, ed incendj ne’ luoghi più remoti e più ventilati, o fuori dell’a- bitato; ed assolutamente fuori, e ne’ siti più aperti si debbon collocare i cimiterj […]. E fuori sieno ancora i macelli […]; da macelli esterni si pos- sono condurre, e ripartire le carni macellate nelle varie botteghe situate tutte a tramontata, e tenute nette con acque scorrenti88. Tuttavia, dalle sue parole emerge certamente una maggiore preoccupazione rispetto ai suoi predecessori rinascimentali: «La mancanza di queste essenziali precauzioni converte la Città in voragini del genere umano, e tanto più voragini, quanto le Città sono più popolate, e più grandi»89.

82. F. Milizia, Principi di Architettura

Civile. Tomo secondo, Bassano, A spese

Remondini di Venezia, 1785, p. 59.

83. Al tema è dedicato il capitolo “Del-

la distribuzione di una città” del libro III.

84. «[A Settentrione] si debbon rivol-

tare nelle Città i macelli, i magazzini, e le botteghe de’ pellaj, e di qualun- que altra manifattura che tramanda cattivo odore: meglio anzi collocarle fuori della Città; ma sempre in luogo abbondante d’acqua corrente, che trasporti via le immondizie e le esala- zioni». F. Milizia, op.cit., p. 21.

85.Ivi, p. 52.

86. Ibidem.

87. Ivi, p. 53.

88. Ibidem.

Nelle parole di Milizia, all’affacciarsi del XIX secolo, si riscontra l’ur- genza di una riformulazione del sapere urbanistico. Le nuove que- stioni urbane renderanno non più rinviabile la definizione di una “teoria urbanistica”, la nascita della disciplina moderna e la formu- lazione del suo strumento, il piano, per affrontare le inedite proble- matiche della città industriale.

I processi di industrializzazione sono strettamente connessi alla na- scita di un nuovo modello di città, che si innesta in una fase cultura- le di riconoscimento dell’impossibilità di dare soluzione scientifica alle questioni relative al gusto estetico, ancora prevalenti nella tarda città preindustriale.

Nella seconda metà del XVIII secolo, a partire dall’Inghilterra, l’in- dustria sostituisce la vecchia economia manifatturiera diffusa, con- centrando la produzione nelle città; nel settore agricolo, migliora la produttività diminuendo così il fabbisogno di manodopera, a cui corrisponde un fenomeno di urbanesimo verso le città in via di in- dustrializzazione.

I grandi mutamenti originati della prima e della seconda rivoluzio- ne industriale attraversano il continente europeo lungo tutto il XIX secolo, pur a diverse velocità a seconda delle regioni e dei paesi, in- vestendone la struttura economica, demografica e sociale; i cambia- menti travolgono in modo dirompente la città tradizionale, il cui pa- esaggio urbano si modifica radicalmente assieme alle condizioni di vita della crescente popolazione, che soffre per le precarie condizio- ni abitative, l’insufficienza dei livelli igienico-sanitari e le pessime condizioni lavorative, originando sempre più forti conflitti sociali. La città industriale vede una diversa articolazione degli insedia- menti sul territorio, supportata da nuovi sistemi di comunicazione come la rete ferroviaria, l’esplosione di alcune città che diventano metropoli, come nel caso di Londra, e l’aumento della popolazione urbana che, spesso, si riversa all’esterno del perimetro delle mura medievali, i cui terreni vengono lottizzati. Ora, è soprattutto la valo- rizzazione del suolo urbano a determinare la geografia funzionale della città: nelle periferie i casamenti per gli operai e gli asili per la loro prole vengono accostati alle fabbriche in cui lavorano, le qua- li sono spesso causa di insalubrità dell’aria e dell’acqua, nonché a tutte quelle funzioni che già nella città preindustriale dovevano col- locarsi lontano dal centro abitato, come i cimiteri e i macelli; nel

2.2 La città industriale e l’espansione