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unitario: risanamento, ampliamento e rappresentazione

3.2 La ripresa e il boom del Secondo dopoguerra: densificazione, crescita

3.2.2 I piani dell’espansione

La seconda generazione di piani dell’urbanistica contemporanea si sviluppa tra gli anni Sessanta e Settanta, quando la crescita urbana, già avviata nel decennio precedente in modo disordinato e incon- sapevole, prosegue ma si pone come nodo critico da affrontare. Le implicazioni di questo tema dominante dell’urbanistica italiana del periodo sono al centro di quella che è stata, pertanto, definita come

“generazione della espansione urbana”50: una crescita quantitativa-

mente rilevante necessita di un governo delle problematiche sociali che la accompagnano, come le questioni della casa e dei servizi; al contempo, l’evoluzione culturale dell’opinione pubblica sollecita strumenti per la salvaguardia dei centri storici e degli ambienti na- turali51.

I - Il governo delle questioni sociali e la formazione dei principi dell’urbanistica italiana

Negli anni Sessanta e Settanta, la grande espansione determina un enorme aumento del patrimonio immobiliare, come conseguenza della politica edilizia assunta dopo la guerra di tipo “quantitativo” - anziché “distributivo” come avveniva in altri paesi dell’Europa occidentale – con l’effetto di sottrarre a impieghi produttivi gran- di capitali senza comunque soddisfare le esigenze abitative degli strati sociali più deboli. Gli effetti sono evidenti nel peggioramento delle condizioni delle periferie residenziali urbane (altissime den- sità, assenza di verde e servizi, segregazione sociale); in una più marcata espulsione della residenza dalle aree centrali in continua terziarizzazione, anche se nell’ambito di forme di recupero dei cen- tri storici; nell’invasione edilizia delle aree di interesse paesistico prossime alle città; nella diffusione degli insediamenti in assenza di una adeguata rete di trasporti pubblici che favorisce ulteriormente la motorizzazione di massa. Le dinamiche dell’espansione in que- sta fase non riguardano più solo le grandi città, ma principalmente i centri medi e piccoli che crescono a tassi molto superiori, a causa del massiccio incremento di seconde case, delle notevoli dimensioni dell’abusivismo edilizio e dall’affermazione del modello di sviluppo economico e sociale della “terza Italia” che sconvolge i tradizionali assetti territoriali.

Il quadro sociale e economico di contesto alla fase dell’espansione è caratterizzato dalla combinazione di un insieme di contraddizioni, tra cui squilibri nello sviluppo tra nord e sud del Paese, tra settore industriale e agricolo, tra spesa privata e pubblica; a questo, fanno riscontro le tensioni tra diverse prospettive politiche, conservatrici e riformiste, che si manifestano anche nel campo della legislazio- ne urbanistica. Il dibattito culturale e politico degli anni Sessanta e Settanta è infatti centrale nella definizione dei principi portanti dell’urbanistica italiana e, nel ventennio, vengono adottate le più importanti innovazioni legislative in materia dal Secondo dopo-

guerra. La prima proposta di “riforma urbanistica generale”52 del

1963 è l’espressione del tentativo di marginalizzare le rendite, an-

50. G. Campos Venuti, La terza gene-

razione dell’urbanistica, cit., p. 21; G.

Campos Venuti, «Cinquant’anni: tre generazioni urbanistiche», cit., p. 9.

51. «Le problematiche della Prima

Generazione sollecitavano generica- mente una qualche regola, perché la società culturale e politica del dopo- guerra non era in grado di elaborare obiettivi più precisi: ma nel secondo periodo dell’evoluzione urbana i pia- ni devono misurarsi esplicitamente con i problemi sociali della città. E in questi nuovi piani si scontrano scelte alternative di politica socio-economi- ca oltre che di urbanistica: il “dimen- sionamento” dei piani diventa allora la traduzione urbanistica della batta- glia fra i fautori della “teoria edilizia quantitativa” […] e i fautori della “teo- ria edilizia distributiva” […]. Contem- poraneamente la previsione nei piani di ampie aree per servizi pubblici, […] sottende un aperto tentativo di redi- stribuzione dei redditi a vantaggio delle categorie sociali meno favorite […]. D’altra parte l’evoluzione cultu- rale dell’opinione pubblica costringe i piani della Seconda Generazione a misurarsi con i problemi della salva- guardia dei centri storici e degli am- bienti naturali; e i piani si dividono ancora una volta per le posizioni più o meno avanzate che assumono. In conclusione le problematiche sociali e ambientali sono proposte ai piani del- la Seconda Generazione dai fenomeni e dagli stimoli strutturali e sovra- strutturali che emergono nella evolu- zione urbana degli anni ‘60 e ‘70». G. Campos Venuti, La terza generazione

dell’urbanistica, cit., p. 60–61.

52. La cosiddetta “Riforma Sullo” del

1963 era una proposta di legge, scrit- ta con il contributo dell’INU, che anda- va a modificare la legge 1150/1942,”. Essa avrebbe introdotto l’esproprio preventivo e generalizzato delle aree di espansione a valori depurati dalla rendita fondiaria, la successiva urba- nizzazione delle stesse a cura del Co- mune, la loro assegnazione finale ai privati per l’attuazione tramite asta; inoltre, rifacendosi all’esperienza in- glese, veniva introdottto il principio del “diritto di superficie”, scindendo la proprietà dei terreni (pubblici) da quella degli immobili (privati).

che urbane, verso una più generale trasformazione delle patologie del capitalismo del Paese attraverso miglioramenti sociali e investi- menti produttivi keynesiani. Mancata l’approvazione a tale avanza- ta riforma – che aveva l’obiettivo di «garantire la produzione di ter- reni urbanizzati necessari alla crescita delle città, senza addossare alla produzione edilizia i pesanti costi della rendita e senza creare

sperequazioni fra le proprietà investite dall’espansione»53 – inizia

un processo di “riforma urbanistica graduale”, anche a partire da

esperienze avanzate di pianificazione antecedenti54, «che tenterà di

costruire nel tempo, pezzo a pezzo, in modo incompleto e contrad- dittorio, quel disegno che non si era riusciti a far passare nel suo

insieme»55.

II - Il processo di riforma graduale del piano e i nuovi strumenti Durante gli anni della seconda generazione dell’urbanistica, il pro- cesso di riforma graduale introduce un novero di nuovi strumenti nel corpo legislativo nazionale e aggiorna con nuovi contenuti quelli

esistenti56. Esso viene anticipato dalla legge 167 del 196257, che per-

mette l’esproprio dei terreni ad un costo contenuto per realizzare i Piani di edilizia economica e popolare (PEEP) di iniziativa pub-

blica, e prosegue nel 1967 con la “legge ponte”58 che generalizza la

pianificazione ponendo limiti automatici all’edificazione in assen- za di piano e introduce il nuovo strumento attuativo del Piano di lottizzazione convenzionata (PdLC), imponendo al privato di con- tribuire all’urbanizzazione della città; l’anno successivo, il decreto

sugli “standard urbanistici”59, a definizione delle zone territoriali

omogenee previste dall’art. 17 della legge ponte, stabilisce i limiti massimi dell’edificazione privata e le superfici minime da destinare

a servizi pubblici nella formazione dei PRG; la legge 865 del 197160,

modifica decisamente il settore dell’edilizia pubblica, prevedendo un potere di programmazione e di coordinamento degli interventi da parte dello stato e, in analogia con i PEEP, introduce i piani per le aree da destinare ad insediamenti produttivi (PIP) e la possibilità

di espropriare aree inedificate nelle zone di espansione61; la legge

10 del 1977 “Norme per l’edificabilità dei suoli” tenta di rimettere l’amministrazione pubblica al centro dell’azione decisionale attra- verso il rilascio delle concessioni edilizie a titolo oneroso (anche nel tentativo di affrontare la questione dell’incostituzionalità dei vin- coli urbanistici a tempo indeterminato); infine, la con la legge 457 del 1978 lo Stato interviene sulla riqualificazione del patrimonio edilizio degradato con appositi piani di recupero (PdR) di iniziati-

va pubblica o privata62. Il processo di riforma descritto si avvale di

un continuo rapporto tra esperienze di pianificazione riformista ed elaborazioni legislative, segnando una stagione positiva sia a livello operativo, sia culturale, opponendo agli interessi della rendita ur- bana una proposta che affronta temi chiave per la qualità urbana.

Le leggi della riforma urbanistica graduale, per la verità, modificano poco la struttura essenziale del regime immobiliare: anche se espro- priare a basso prezzo le aree per le abitazioni sociali, cominciare a far pagare le urbanizzazioni ai privati, costringere le proprietà ad ammet-

53. G. Campos Venuti, «Cinquant’anni:

tre generazioni urbanistiche», cit., p. 19.

54. «Talvolta sono anzi le stesse inno-

vazioni introdotte nei piani ad antici- pare e a suggerire la nuova soluzione legislativa: è successo con l’obbligo imposto ai privati di pagare le urba- nizzazioni primarie nei piani della cintura bolognese e con gli standard urbanistici nei piani di Modena e di Reggio Emilia. La pianificazione ur- banistica riformista nasce, infatti, proprio in Emilia, collegandosi diret- tamente con il processo di graduale innovazione legislativa e innestando contemporaneamente sul filone rifor- mista il meglio della tradizione urba- nistica razionalista». Ivi, p. 20. 55. Ivi, p. 19.

56. Sul tema dell’evoluzione della le-

gislazione riformista, cfr. V. De Lucia, «Dalla legge del 1942 alle leggi di emergenza», in G. Campos Venuti, F. Oliva (a cura di), Cinquant’anni di ur-

banistica in Italia 1942-1992, Roma-

Bari, Laterza, 1993.

57. Legge 18 aprile 1962, n. 167 “Di-

sposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia eco- nomica e popolare”.

58. Legge 6 agosto 1967, n. 765 “Mo-

difiche ed integrazioni alla legge ur- banistica 17 agosto 1942, n. 1150”.

59. Decreto interministeriale 2 aprile

1968, n. 1444 “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pub- blici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sen- si dell’art. 17 della legge n. 765 del 1967”.

60. Legge 22 ottobre 1971, n. 865

“Programmi e coordinamento dell’e- dilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale, age- volata e convenzionata”.

61. «È da sottolineare che i piani per

gli insediamenti produttivi aprono al comune la strada della pianificazione di tipo razionalistico non soltanto nel- le zone industriali, ma anche in quel- le agricole, commerciali, turistiche; e che i piani di esproprio in zona di espansione, recentemente soppressi [dalla L. 10/1977, N.d.A.], pur aven- do dei limiti dimensionali […] non avevano nessun limite di settore e consentivano teoricamente all’ammi- nistrazione di intervenire anche nei settori su cui per tradizione domina la speculazione fondiaria, per esem- pio gli insediamenti direzionali». G. Di Benedetto, op.cit., p. 42.

62. Legge 5 agosto 1978, n. 457 “Nor-

me per l’edilizia residenziale”, Titolo IV “Norme generali per il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente”.

che urbane, verso una più generale trasformazione delle patologie del capitalismo del Paese attraverso miglioramenti sociali e investi- menti produttivi keynesiani. Mancata l’approvazione a tale avanza- ta riforma – che aveva l’obiettivo di «garantire la produzione di ter- reni urbanizzati necessari alla crescita delle città, senza addossare alla produzione edilizia i pesanti costi della rendita e senza creare

sperequazioni fra le proprietà investite dall’espansione»53 – inizia

un processo di “riforma urbanistica graduale”, anche a partire da

esperienze avanzate di pianificazione antecedenti54, «che tenterà di

costruire nel tempo, pezzo a pezzo, in modo incompleto e contrad- dittorio, quel disegno che non si era riusciti a far passare nel suo

insieme»55.

II - Il processo di riforma graduale del piano e i nuovi strumenti Durante gli anni della seconda generazione dell’urbanistica, il pro- cesso di riforma graduale introduce un novero di nuovi strumenti nel corpo legislativo nazionale e aggiorna con nuovi contenuti quelli

esistenti56. Esso viene anticipato dalla legge 167 del 196257, che per-

mette l’esproprio dei terreni ad un costo contenuto per realizzare i Piani di edilizia economica e popolare (PEEP) di iniziativa pub-

blica, e prosegue nel 1967 con la “legge ponte”58 che generalizza la

pianificazione ponendo limiti automatici all’edificazione in assen- za di piano e introduce il nuovo strumento attuativo del Piano di lottizzazione convenzionata (PdLC), imponendo al privato di con- tribuire all’urbanizzazione della città; l’anno successivo, il decreto

sugli “standard urbanistici”59, a definizione delle zone territoriali

omogenee previste dall’art. 17 della legge ponte, stabilisce i limiti massimi dell’edificazione privata e le superfici minime da destinare

a servizi pubblici nella formazione dei PRG; la legge 865 del 197160,

modifica decisamente il settore dell’edilizia pubblica, prevedendo un potere di programmazione e di coordinamento degli interventi da parte dello stato e, in analogia con i PEEP, introduce i piani per le aree da destinare ad insediamenti produttivi (PIP) e la possibilità

di espropriare aree inedificate nelle zone di espansione61; la legge

10 del 1977 “Norme per l’edificabilità dei suoli” tenta di rimettere l’amministrazione pubblica al centro dell’azione decisionale attra- verso il rilascio delle concessioni edilizie a titolo oneroso (anche nel tentativo di affrontare la questione dell’incostituzionalità dei vin- coli urbanistici a tempo indeterminato); infine, la con la legge 457 del 1978 lo Stato interviene sulla riqualificazione del patrimonio edilizio degradato con appositi piani di recupero (PdR) di iniziati-

va pubblica o privata62. Il processo di riforma descritto si avvale di

un continuo rapporto tra esperienze di pianificazione riformista ed elaborazioni legislative, segnando una stagione positiva sia a livello operativo, sia culturale, opponendo agli interessi della rendita ur- bana una proposta che affronta temi chiave per la qualità urbana.

Le leggi della riforma urbanistica graduale, per la verità, modificano poco la struttura essenziale del regime immobiliare: anche se espro- priare a basso prezzo le aree per le abitazioni sociali, cominciare a far pagare le urbanizzazioni ai privati, costringere le proprietà ad ammet-

53. G. Campos Venuti, «Cinquant’anni:

tre generazioni urbanistiche», cit., p. 19.

54. «Talvolta sono anzi le stesse inno-

vazioni introdotte nei piani ad antici- pare e a suggerire la nuova soluzione legislativa: è successo con l’obbligo imposto ai privati di pagare le urba- nizzazioni primarie nei piani della cintura bolognese e con gli standard urbanistici nei piani di Modena e di Reggio Emilia. La pianificazione ur- banistica riformista nasce, infatti, proprio in Emilia, collegandosi diret- tamente con il processo di graduale innovazione legislativa e innestando contemporaneamente sul filone rifor- mista il meglio della tradizione urba- nistica razionalista». Ivi, p. 20. 55. Ivi, p. 19.

56. Sul tema dell’evoluzione della le-

gislazione riformista, cfr. V. De Lucia, «Dalla legge del 1942 alle leggi di emergenza», in G. Campos Venuti, F. Oliva (a cura di), Cinquant’anni di ur-

banistica in Italia 1942-1992, Roma-

Bari, Laterza, 1993.

57. Legge 18 aprile 1962, n. 167 “Di-

sposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia eco- nomica e popolare”.

58. Legge 6 agosto 1967, n. 765 “Mo-

difiche ed integrazioni alla legge ur- banistica 17 agosto 1942, n. 1150”.

59. Decreto interministeriale 2 aprile

1968, n. 1444 “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pub- blici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sen- si dell’art. 17 della legge n. 765 del 1967”.

60. Legge 22 ottobre 1971, n. 865

“Programmi e coordinamento dell’e- dilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale, age- volata e convenzionata”.

61. «È da sottolineare che i piani per

gli insediamenti produttivi aprono al comune la strada della pianificazione di tipo razionalistico non soltanto nel- le zone industriali, ma anche in quel- le agricole, commerciali, turistiche; e che i piani di esproprio in zona di espansione, recentemente soppressi [dalla L. 10/1977, N.d.A.], pur aven- do dei limiti dimensionali […] non avevano nessun limite di settore e consentivano teoricamente all’ammi- nistrazione di intervenire anche nei settori su cui per tradizione domina la speculazione fondiaria, per esem- pio gli insediamenti direzionali». G. Di Benedetto, op.cit., p. 42.

62. Legge 5 agosto 1978, n. 457 “Nor-

me per l’edilizia residenziale”, Titolo IV “Norme generali per il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente”.

tere quote minime di spazi pubblici nelle città non rappresenta - almeno in Italia - una novità irrilevante. Ma forse l’aspetto anche più positivo di queste leggi è quello che provocano immediatamente ricadute sulla formazione e sulla gestione dei piani urbanistici63.

Rispetto alla strumentazione precedente, i piani della seconda ge- nerazione hanno la possibilità di affrontare, quindi, la complessità di uno sviluppo urbano intenso con nuovi o rinnovati strumenti tec- nici che permettono di limitare le dinamiche speculative e le loro ricadute negative in termini di organizzazione insediativa. Rileva- no, in particolare, tre elementi: l’affermazione della necessità di un piano per poter realizzare interventi di sviluppo urbanistico (legge ponte); la definizione di contenuti tecnici e normativi finalizzati al raggiungimento di un rapporto equilibrato tra insediamenti e at- trezzature pubbliche (D.I. 1444/68); l’introduzione di strumenti specifici per la pianificazione attuativa (PdLC, PEEP, PIP, PdR). Infine, negli stessi anni, l’istituzione delle regioni a statuto ordina-

rio64 comporta il trasferimento di funzioni amministrative statali

verso i nuovi enti, tra cui quelle concernenti l’approvazione dei pia- ni territoriali di coordinamento, dei piani intercomunali, dei piani regolatori generali, dei piani di ricostruzione, dei piani di zona, dei piani particolareggiati, dei regolamenti edilizi.

I piani di questa generazione sono di chiara impostazione raziona- lista e assumono le riflessioni culturali e disciplinari che il Movi- mento moderno europeo aveva elaborato già a partire nella prima metà del Novecento. Tale impostazione risultava «la più attrezzata a rispondere alle spinte innovative progressiste e più in particolare alle

domande di pianificazione della crescita e di sviluppo qualitativo»65;

tuttavia, la declinazione italiana dell’urbanistica razionalista si deve confrontare con un paese in cui il peso della rendita urbana incideva maggiormente sul processo di formazione della città, rispetto agli paesi europei dove il razionalismo si è formato. Ne derivano così

piani che assumono due approcci distinti66: i piani “razionalizzatori”

e i piani “riformisti67”. I due modelli urbanistici si distinguono per i

diversi obiettivi, tuttavia presentano una serie di caratteri comuni che testimoniano il superamento dei piani della generazione pre-

cedente68:

ି un supporto analitico più sviluppato, per giustificare in modo razionale le scelte di piano;

ି una zonizzazione più dettaglia e articolata, per una gestione del piano orientata alla risoluzione delle problematiche territoriali; ି una densità edilizia minore nella città esistente e nelle espan- sioni, anche come conseguenza dei provvedimenti legislativi degli anni Sessanta;

ି un progetto di viabilità organico, gerarchizzato e meno esteso, orientato da studi di fattibilità e indirizzi di realizzazione; ି una crescente attenzione alle problematiche ambientali delle

zone agricole ed extraurbane;

ି un accresciuto utilizzo dell’esproprio come meccanismo attua- tivo del piano, non solo per la realizzazione dei servizi pubblici, ma anche per l’edilizia pubblica e gli insediamenti produttivi.

63. G. Campos Venuti, «Cinquant’anni:

tre generazioni urbanistiche», cit., p. 20.

64. Legge 16 maggio 1970, n. 281

“Provvedimenti finanziari per l’at- tuazione delle Regioni a statuto or- dinario”, DPR 15 gennaio 1972, n. 8 “Trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministra- tive statali in materia di urbanistica e di viabilità, acquedotti e lavori pubbli- ci di interesse regionale e dei relativi personali ed uffici”.

65. F. Oliva, «La città e i piani», cit., p. 57.

66. Le definizioni di “piano raziona-

lizzatore”e di “piano riformista” sono di Giuseppe Campos Venuti.

67. «Personalmente non trovo altro

termine che quello di riformista per definire le profonde trasformazioni della società che tengano conto del mercato pur ponendo in primo pia- no le esigenze sociali, che sappiano valorizzare gli aspetti imprenditoriali dell’economia e ridurre drasticamen- te le rendite improduttive. Condizioni generali necessarie, queste, per rifor- mare anche l’urbanistica». G. Campos Venuti, «Cinquant’anni: tre generazio- ni urbanistiche», cit., p. 18.

68. Cfr. F. Oliva, «La città e i piani», cit., p. 58.