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La poetica come antropologia storica del linguaggio

2. Una poetica diversa

2.4 La poetica come antropologia storica del linguaggio

Come abbiamo visto, la poetica di Meschonnic nasce dall’incontro degli studi letterari e della linguistica, e in maniera più precisa dalla formulazione di una specifica teoria del linguaggio dalla quale prende forma la pratica teorica della scrittura e della lettura. È sempre a partire dalla teoria del linguaggio e quindi dallo sviluppo della poetica che Meschonnic tenta di definire i parametri in cui possa operare un’epistemologia della scrittura, lo studio del funzionamento della scrittura come veicolo di conoscenza, come “operatore di scivolamento ideologico”. Tuttavia, come ci dice lui stesso, la posta in gioco è ancora più ricca, perché “la teoria del linguaggio è [anche] un’avventura dell’antropologia” (Meschonnic 1982: 15). La

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poetica è una pratica critica specifica del linguaggio sulla letteratura, che a sua volta lo implica, di modo che lo studio della letteratura non sarà solamente l’analisi tecnica del testo, ma comprenderà anche una visione politica e quindi etica del testo, mettendo in rilievo il carattere “strategico”, “situato”, di ogni tipo di scrittura. Uno studio letterario che non tenga conto della teoria del linguaggio in cui si è prodotto un testo, sembra presupporre un approccio estetico, “che va assieme alla creatività individuale” (31). Ma, essendo nel linguaggio, e non nella lingua, che ogni discorso diventa radicalmente storico, quindi gravido “di senso, di un soggetto, del sociale, della storia e dello Stato”, ogni letteratura e “ogni discorso sullo Stato, sulla storia, sul sociale, sulla nozione di soggetto, impone di cercare in che modo esso implichi uno status del linguaggio, una posizione, un funzionamento e una funzione della letteratura” (ivi). Da questa prospettiva la letteratura perde ogni referenza all’arte per l’arte, non è fine a se stessa, ma coinvolge la vita stessa del soggetto della scrittura e il soggetto della lettura per mezzo del soggetto-testo. Non è più racchiusa in una categoria accademica ermetica, ma mette in gioco il “senso di una società, di una storia e i modi di significare” (44). La poetica, che deve necessariamente servirsi della base concettuale fornitale dalla teoria del linguaggio e dalle teorie letterarie, le sorpassa e raggiunge l’aspetto politico del linguaggio che si manifesta sia “attraverso le pratiche” (soprattutto letterarie) “sia attraverso le teorie” (ivi). Lo studio della letteratura, e della poesia in modo particolare, assume quindi un ruolo fondamentale per la critica delle teorie del linguaggio attraverso lo studio delle loro realizzazioni specifiche. Studio che non riguarderà solamente lo stile, né l’aspetto formale, né tanto meno solo l’aspetto ideologico, presi separatamente, bensì tenterà di esplicitare le implicazioni dello statuto del linguaggio in un determinato momento storico, o nell’opera di un determinato autore: la posizione del soggetto e della società, quindi dell’etica e della politica, delle relazioni tra di loro e di come queste nozioni sono rapportate con il linguaggio stesso, in particolare nella pratica della scrittura e della lettura.

L’espressione antropologia storica del linguaggio ha un valore ben specifico all’interno delle teorie di Meschonnic. Antropologia sta ad indicare “l’ampiezza dei problemi del linguaggio” (45) che coinvolgono tutta una serie di questioni che la teoria del linguaggio può assumersi “strappandole” dalla filosofia (l’intero volume Le signe et le poème è un tentativo critico che cerca di “posizionare i discorsi filosofici contemporanei sul linguaggio, di mostrare come è fatta la critica filosofica dei concetti che reggono la scrittura degli scrittori” (Meschonnic 1975: 17)). Storica indica “la necessità di separare l’antropologia alla sua storia filosofica e

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ricorda l’interesse fondamentale delle scienze della società” (Meschonnic 1982: 45), vale a dire che lo studio della storia non è uno studio dei concetti (propria di un’impostazione filosofica), ma piuttosto si rivolge all’osservazione delle pratiche del linguaggio, nelle quali i concetti sono intrinsechi. Linguaggio segnala che le scienze della società hanno trascurato la teoria del linguaggio e viceversa: “le teorie della società dimenticano la teoria del linguaggio; le linguistiche, strutturale, generativa, dimenticano la società” (ivi). Le scienze della società non tengono in conto, anche quando studiano testi, lo status del linguaggio, ignorando di conseguenza la relazione soggetto-oggetto e oggetto-lettore. O, talvolta, ne “riducono il senso alla struttura sociale” (46). Manca quindi una concezione del linguaggio concepito come attività di senso di un soggetto, che implica una doppia relazione: prima di tutto tra io e tu, cioè tra soggetto e società, che sono appunto in un rapporto d’influenza reciproca; e in secondo luogo, tra il soggetto-scrittore e l’attività di scrittura. Pertanto, un testo non può essere né l’espressione di un’individualità isolata, né la diretta trascrizione di una società, perché rimane sempre mediato da un soggetto che racchiude in sé il rapporto dei due. Secondo Meschonnic, la ragione di questa mancanza di attenzione per il linguaggio risiede soprattutto nella “supposta trasparenza, e quindi invisibile, [del passaggio] dal linguaggio alla società, [che] praticamente si riconduce ad un’assenza della teoria del linguaggio nell’antropologia” (46). Questo perché l’antropologia è ancora fondamentalmente basata su una prospettiva kantiana del linguaggio, in quanto “facoltà di designazione, designazione del pensiero, dalla quale si passa direttamente alla facoltà di conoscere, fondata sulla facoltà di pensare[;] il linguaggio sta al pensiero come la scrittura al linguaggio, uno strumento di trascrizione” (47). Ma una teoria materialistica del linguaggio, come quella di Meschonnic, non concepisce una separazione tra pensiero e linguaggio, tra lingua e linguaggio: sono le due facce della stessa moneta. Il concetto non è disgiungibile dalla sua espressione. E in una catena ritroviamo tutta la continuità del pensiero della sua teoria: vivere-dire, lingua-linguaggio, senso-forma, individuo-società, in una relazione dialogica.

La poetica come antropologia storica del linguaggio, e quindi come teoria del linguaggio che si fa critica dei modi di significare, non è comunque intesa in un senso di negatività, che supporrebbe un paradigma teoria vera-teoria falsa (19). La ricerca mira alle “conseguenze teoriche, pratiche, alla forza esplicativa, all’effetto di storicizzazione attraverso cui giudichiamo [le altre teorie]” (ivi). Un pensiero storico del linguaggio non implica “né una scelta, né un giudizio”, ma “comprende tutte le strategie [di discorso] come tali” (ivi). Sarà piuttosto un tipo di

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pensiero astorico che favorirà il rifiuto dei postulati delle altre teorie, perché appunto basato sul binomio giusto-sbagliato. E secondo Meschonnic, quest’approccio è tipico del potere che ha interesse ad offuscare il conflitto tra pensiero storico e pensiero astorico, tra storicità e storicismo (che fissa degli universali). Attraverso la poetica, e quindi ad un’antropologia storica del linguaggio, Meschonnic mira ad una teorizzazione del soggetto e dell’individuo, in quanto, seguendo Benveniste, il linguaggio è il luogo della massima soggettivazione dell’individuo. Quindi il testo diventa la relazione del soggetto con l’oggetto (letterario), e la lettura la relazione tra l’oggetto (letterario) e il soggetto. In questo modo diventa evidente il ruolo del soggetto in entrambe le pratiche, tanto che non può non essere considerato in una teoria letteraria e tanto meno in una teoria antropologica. La scientificità del processo di osservazione, che oblitera il soggetto-osservatore, cerca di prendere in considerazione l’oggetto solo, “come se fosse nato dal solo spirito”, dimenticando che le condizioni di produzione e di osservazione dell’oggetto sono “inseparabilmente soggettive-oggettive” (78), dialogicamente. Ogni teoria pertanto, diventa un “modo di rappresentazione” (ivi), un punto di vista, e non una verità universale oggettiva. Allo stesso modo, l’opera letteraria, diventa “un discorso tra i discorsi” (79), e non sarà più concepita come un’estetica o un mimo della realtà, o addirittura una falsificazione d’essa. Ma sarà il prodotto della relazione tra “senso e soggetto [,] l’organizzazione del senso come significanza, valore” (ivi), quindi non una forma, né un contenuto.

L’antropologia del linguaggio, per come è stata descritta finora, potrebbe sembrare come confinata al solo testo scritto, perché è associata alla poetica e alla letteratura. Tuttavia, Meschonnic ci avverte che essa è doppia: “secondo il parlato, secondo lo scritto” (645). Sarebbe difatti un errore far coincidere in un tale studio queste due pratiche, diverse, del linguaggio. “L’unità orale del senso è composta dall’extralinguistico e dal linguistico assieme. Parlare con le mani ne è una parte, con tutto il corpo, muovendosi, toccandosi, secondo le culture, secondo i modi di relazionarsi” (646). Nondimeno, per le pratiche di scrittura, l’antropologia ha bisogno di uno studio di poetica, che è sempre storica, per “situare i modi della significanza” (ivi). Così la letteratura si trova come elemento strategico in cui studiare il soggetto e per conseguenza la politica e l’etica a cui è inevitabilmente legato.

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