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3.5 “Cambio di nozione, cambio di notazione”

3.6 Leggere il ritmo

3.6.1 Note generali sul sistema linguistico francese

Come abbiamo accennato precedentemente, la lingua francese è una lingua ad accento di gruppo, a differenza dello spagnolo o dell’italiano che invece sono lingue ad accento di parola. Questo significa che è impossibile sapere a priori su quale sillaba di una parola cadrà l’accento tonico, o nel caso si tratti di una parola monosillabica se sia accentata o meno. Per esempio in “Tu viens?” la tonica cadrà su ens, mentre nella costruzione “viens-tu?” la tonica si sposterà su tu (Meschonnic 1998b: 119). L’elemento che porta l’accento è sempre una sillaba composta da una vocale, che ne è la base, alla quale può aggiungersi una consonante d’attacco (but), o una consonante finale (housse), o entrambe (boule). Tuttavia quale sillaba di una parola sia la tonica dipende dal gruppo ritmico in cui è inserita.

Va sottolineato che l’analisi proposta da Meschonnic “si situa in una situazione sincronica particolare, che è quella di un francese « standard », « contemporaneo »” (121). Difatti, per quanto una lingua sia sempre in movimento, il francese è soggetto ad una certa stabilità, storicamente, per cento o due cento anni. E anche nelle realizzazioni individuali, non si può fare proprio ciò che si vuole con la lingua, nonostante un soggetto goda di un ampio grado di libertà. Pertanto, le regole proposte di seguito si baseranno su una lettura e un funzionamento della lingua che pertiene al francese “standard”. Ne deriva, per esempio, che e [ə] non è considerata come vocale costituente di una sillaba e di conseguenza esula dal fenomeno dell’accentazione (ivi).

Ritornando al gruppo ritmico, il problema maggiore sta nella definizione della sua ampiezza, ovvero di quante parole possa essere composto. La sua formazione non è determinabile a priori secondo delle regole grammaticali o sintattiche, per quanto queste ne influenzino la costruzione, ma dipende primariamente dal discorso, e quindi dalla situazione d’enunciazione, unita al senso (continuo sintassi-ritmo-prosodia in collaborazione con il significato lessicale) del discorso. I gruppi ritmici sono quindi delle unità al contempo “grammaticali e fonetiche, poiché adempiono a delle funzioni nella sintassi di un dato discorso e ne strutturano il continuo fonico” (122). La struttura e l’accentazione di un gruppo fonico risulta pertanto impossibile da prevedere prima di un’analisi empirica del discorso. Si potranno fare solamente delle previsioni virtuali su quali elementi sono più propensi ad essere “un’unità

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accentuale” (“elementi accentogeni”) o meno (“elementi non accentogeni o clitici”), come i predeterminanti, i pronomi personali atoni, le preposizioni, le congiunzioni e gli ausiliari (ivi). Tuttavia, nelle realizzazioni discorsive anche gli elementi clitici possono assumere un valore accentuale tonico a seconda che siano in posizione “proclitica” (cioè prima di una parola accentogena, e quindi rimarrà non accentato) o “enclitica” (dopo una parola accentogena, e quindi acquistano l’accento di gruppo) (ivi).

Inoltre, il ritmo di un discorso e quindi la costruzione e l’accentazione dei gruppi ritmici dipende fortemente dall’ elocuzione, dalla velocità di realizzazione dell’enunciato. Un’alta rapidità elocutoria può provocare l’unione di più gruppi ritmici in uno solo, come per esempio “je viendrais demain”, presenta due gruppi ritmici se le parole sono dette lentamente e ben staccate, ma può diventare un unico gruppo se lo si pronuncia “j’viendrai d’main”, aumentando la velocità elocutoria (123). Nondimeno, all’interno di un testo scritto ci sono una serie di elementi come la punteggiatura, il registro di parola, la presenza o assenza di uno statuto metrico (la struttura metrica impone solitamente di rallentare l’elocuzione perché richiede che tutte le sillabe siano pronunciate, evitando quindi che alcune vengano “mangiate”) che aiutano a regolare la velocità di realizzazione del discorso e, di conseguenza, facilitano la determinazione dei gruppi ritmici (ivi).

Ancora, non bisogna cadere nella tentazione di voler determinare il gruppo ritmico partendo da un “modello semantico”, cioè identificando un gruppo con un’idea o un concetto. Criticando uno studio di Maurice Grammont, Meschonnic confuta il suo metodo che ricerca i gruppi ritmici ricercandovi delle “idee semplici”. Per esempio Grammont aveva attribuito due accenti a “Je l’ai vu en mil huit cent quatre-vingt douze” perché vi ritrovava due idee: quella del vedere e quella di una localizzazione temporale (124). Tuttavia, una tale impostazione metodologica non tiene conto del fatto che “un’idea semplice può essere luogo di un’organizzazione ritmica complessa” (ivi). Questo tipo di impostazione, che divide gli accenti di gruppo in funzione dei gruppi di senso, pone in primo piano la struttura logica del discorso e “riduce il ritmo ad uno schema logico-sintattico unico [che] cancella l’ambiguità semantica indissociabile di un’incertezza accentuale” che è spesso presente sia nella poesia che nella prosa, come lo mostra l’analisi di Paul Bénichou di questo verso di Mallarmé: “Il s’immobilis(e) / au songe froid / de mépris” (125). Con una suddivisione così netta, Bénichou sorvola il fatto che de mépris può essere letto in tre modi diversi: come complemento del verbo, dell’aggettivo o del

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sostantivo. E a seconda della scelta del lettore il verso avrà una suddivisione ritmica diversa: froid per esempio sarà accentato se de mépris è complemento del verbo (che è il caso di Bénichou); se inteso come complemento dell’aggettivo invece, i gruppi ritmici variano se l’aggettivo è apposto a il, e quindi songe è accentato (“Il s’immobilis(e) au songe froid de mépris”), oppure se è epiteto di songe, e né songe né froid sono accentati (“Il s’immobilis(e) au songe froid de mépris”) (126). Questo valore di incertezza è proprio del testo e del tipo di scrittura di Mallarmé, e sarebbe un’amputazione del suo ritmo il ridurlo ad una scelta puramente soggettiva.

In una maniera simile, va differenziato il ritmo di un discorso dalla sua dizione, in quanto la seconda è esterna al primo, non gli è intrinseco. La dizione è “il sentimento che un lettore può, soggettivamente, e quindi arbitrariamente, avere” nell’enunciazione di un testo (127). È qualcosa che viene aggiunto al testo dal lettore, ma che non gli appartiene a priori, in maniera strutturale. Il ritmo, invece, “mette in evidenza una realtà del testo”, che può essere “problematica”, cioè che propone un grado “d’indecisione” tra più possibili realizzazioni, ma che tuttavia, “non dipende da un sentimento del lettore o da un’influenza del senso delle parole” (ivi). Ma questo grado di indecisione, come dicevamo per il verso di Mallarmé, è parte del funzionamento del ritmo, è una “realtà” del ritmo, in quanto si dispiega partendo dal testo, e non gli viene dato da una soggettività esterna. L’analisi di Meschonnic sottintende quindi che “ogni decisione – o indecisione - deve essere motivata dal sistema dell’opera” (128), deve pertanto avere una base linguistica e non sentimentale.

3.6.2 L’accento di gruppo

Il francese è una lingua ad accento di gruppo e pertanto non ci sono regole fisse che determinano la posizione degli accenti nelle parole, ma ogni discorso creerà le condizioni ritmiche e prosodiche appropriate a se stesso. Nondimeno, ci sono dei principi accentuali e ritmici che sono propri di ogni lingua, ma che tuttavia non sono subordinati alla natura grammaticale delle parti del discorso (129). Al contrario, “in generale, consideriamo che l’esistenza di un accento ritmico di gruppo implichi l’esistenza di una funzione sintattica” (132). Per esempio, nella frase “Le repas était délicieux et le film [était] remarquable”, solamente l’accentazione di “film” ci permette di capire che l’aggettivo ha un valore attributivo e che pertanto non forma un gruppo nominale con il sostantivo. In un simile caso, “l’accento diventa

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un vero e proprio morfema, poiché svolge una funzione nell’organizzazione sintattica del discorso” (ivi).

Da questa prospettiva, Meschonnic mette in evidenza due valori specifici dell’aggettivo, che sono quello “determinativo” e quello “discriminativo” (ivi). Il primo ha la funzione di identificare un sostantivo all’interno di un insieme categoriale che lo comprende, cosicché un “discorso presidenziale” si distingue da un “discorso di congedo”. Il secondo valore invece attribuisce una qualità al sostantivo senza che sia legato a nessun insieme categoriale, per esempio “un abito verde”, non fa riferimento a nessuna categoria del paradigma degli abiti (come potrebbero essere “abito da sera” o “abito da sposa”), ma semplicemente specifica il suo colore. Benché questi due valori fossero già conosciuti dalla grammatica tradizionale, sono sempre stati applicati solamente all’aggettivo, mentre Meschonnic propone di applicarli all’intero gruppo nominale, “considerando che il valore determinativo del morfema determinante (aggettivo o gruppo nominale) tende a fare solo un gruppo ritmico, e il valore discriminativo a crearne due” (133). Difatti, i gruppi nominali che rappresentano un sintagma chiuso, quindi a valore determinativo, hanno solamente un accento, sia che l’aggettivo segua o preceda il sostantivo: “un poisson rouge, une rouge-gorge; un vin vieux, un vieux beau” (ivi). Mentre i gruppi nominali con valore discriminativo hanno due accenti, come nella frase “c’est un film remarquable”, che implica l’interpretazione “c’est un film (que je trouve) remarquable” e che la differenzia dall’accento unico di “film remarquable” che sarebbe un determinativo, cioè differenzierebbe quel film opponendolo alla categoria “navet”, per esempio (134). A notare che attraverso il valore discriminativo non si viene a formare un secondo gruppo sintattico, come solitamente lo intendiamo. Meschonnic parla piuttosto di “gruppo argomentativo”, perché l’accento come lo abbiamo visto in quest’ultimo esempio fornisce un valore specifico alla sequenza, cioè argomenta, commenta il sostantivo senza essere incluso in un gruppo nominale, ma diventando un gruppo ritmico diverso, argomentativo appunto. È per questo che Meschonnic propone di annotare questo accento da una doppia marca |U| che lo distingua dall’accento di gruppo e permetta di mettere in rilievo l’indecisione che ci può essere in un testo tra i due valori. Inoltre, è importante ricordare che questo tipo di accento non è specifico solamente della categoria grammaticale dell’aggettivo, ma può portare anche sul sostantivo:

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Sempre da una prospettiva ritmica, Meschonnic individua due comportamenti specifici anche nell’avverbio, a seconda che sia di frase o che determini un verbo, un aggettivo o un altro avverbio (ivi). Nel primo caso, l’avverbio gode di una “relativa autonomia” nella sequenza sintattica, e per tale motivo forma un gruppo ritmico autonomo: “aujourd’hui je pars en vacances; je pars en vacances aujourd’hui; je pars aujourd’hui en vacances” (ivi). Nel secondo caso invece, quando l’avverbio determina un verbo può portare l’accento se termina il gruppo di cui fa parte: “je mange bien”, ma “j’ai bien mangé” (ivi). Quando l’avverbio determina un aggettivo o un altro avverbio, allora sarà normalmente anteposto e quindi non porterà mai l’accento: “Il est immensément riche; elle a grandi trop vite” (ivi). Qualora però l’avverbio segua l’aggettivo o l’avverbio, assume un valore “commentativo” e porta un accento di gruppo: “Il fait chaud vraiment” (135). In questo caso l’avverbio determina, commenta, tutta la frase e non solamente l’aggettivo “chaud”, dividendo due valori sintattici ben distinti: “Il fait chaud” e “vraiment”. Se volessimo rappresentare questi valori con la punteggiatura la frase potrebbe risultare come segue: “Il fait chaud, vraiment!”, oppure “Il fait chaud – vraiment!” (ivi). Tuttavia, è corretta anche senza punteggiatura: “Il fait chaud vraiment” e in quest’ultimo caso Meschonnic argomenta che “si è portati a valutare una punteggiatura d’accento a valore discriminativo che segneremo con il simbolo U” (ivi), sempre per mantenere quel grado di ambiguità che è proprio del testo tra un valore determinativo e un valore discriminativo. Quindi la notazione sarà come segue:

Un caso simile, è possibile anche quando l’elemento sotto analisi è un verbo. Per esempio nel caso di sequenze definitorie come “les chats miaulent, les chiens aboient, les vaches meu glent” (136). Il valore accentuale è determinativo, in quanto i verbi sono inseparabili dal loro sostantivo, e posiziona le sequenze in un insieme categoriale che contiene gli animali e il loro verso. Invece, in “les chats miaulent, les chiens dorment”, il valore diventa discriminativo, perché specifica, argomenta ciò che precede, il soggetto del verbo, senza inserirlo in un insieme categoriale (ivi). Non c’è ambiguità tra i due tipi di valore, tuttavia è importante notare come

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cambi in base al discorso e come si ripercuota sull’accentazione. Nel primo esempio la sequenza “les chats miaulent” sarà un unico gruppo sintattico a valore determinativo, mentre nel secondo “les chats miaulent” saranno due gruppi sintattici, e il verbo avrà un valore discriminativo. C’è quindi una differenza di senso che è determinata dal discorso e che si nota nell’accentazione degli enunciati.

3.6.3 L’accento prosodico

Secondo Meschonnic la prosodia è quella parte del senso del discorso che è trasmessa dalla sua componente fonica, cioè un sistema linguistico che costruisce delle sequenze semantiche per mezzo delle unità consonantiche e vocaliche. Nella sua analisi Meschonnic individua e studia soprattutto due fenomeni legati alla prosodia: “la ripetizione di un fonema e l’accentazione d’attacco di gruppo” (137).

Il primo caso è solitamente classificato sotto i nomi di allitterazione (ripetizione di una consonante) e di assonanza (ripetizione di una vocale) e sollevano, principalmente, due problemi: quello della natura del fonema accentuante e quello della maggiore o minore vicinanza della ripetizione (ivi). Meschonnic spiega che il “primato” nel fenomeno della ripetizione è dato al fonema consonantico e non a quello vocalico, in quanto anche le vocali possono essere “accentate e accentuanti”, ma non per il fenomeno della ripetizione. Fornisce questo esempio: “Pour pouvoir” è soggetto a un’accentazione prosodica per la ripetizione della sequenza [pu]; ma precisa che l’elemento fondamentale in questa ripresa è [p], benché [u] la rinforzi. Difatti, la sequenza “pour vouloir”, che articola [u] con le consonanti [p] e [v], non permette un’accentazione prosodica, e quindi avrà solamente un accento di gruppo (138). Va inoltre sottolineato che l’accento prosodico è dato solamente dalle consonanti che aprono la sillaba e non da quelle che la chiudono. Nell’esempio “Il partira pour Pondichéry”, avremo due accenti di fine di gruppo e due accenti prosodici per la ripresa di [p]. La sequenza [par – pur] è soggetta ad un accento prosodico per la ripresa di [p] e non di [r], perché è la consonante d’apertura di sillaba che accenta e permette il funzionamento della ripresa consonantica. In “le vampire est mort”, gli accenti sono dati semplicemente dalla proprietà delle due finali di gruppo e non dalla ripresa di [r] (139).

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Invece, quando possiamo dire che la ripetizione di due fonemi è un fenomeno prosodico, dato che la lingua è un sistema chiuso e pertanto è inevitabile che le sue componenti foniche si ritrovino continuamente? Meschonnic argomenta che non si può decidere a priori uno spazio ideale in cui le ricorrenze prosodiche possano produrre una semantica seriale, al di fuori del quale non sarebbero in relazione tra di loro. Tuttavia, ammette che affinché ci sia una relazione accentuante tra due consonanti, queste devono essere relativamente ravvicinate (140). Per esempio, la ripresa prosodica di [k] nella clausola di Dernier jour d’un condamné di Hugo, “Il me semble qu’on monte l’escalier… QUATRE HEURES” funziona perché appunto si ritrovano in uno spazio ravvicinato e sono quindi in una “relazione d’accentuazione per ripetizione” (ivi). La prossimità comunque rimane un dato empirico che non può essere stabilito a priori, ma che va analizzato di volta in volta, per ogni discorso nella sua sistematicità. L’unità poetica in cui la ripetizione svolge la sua funzione semantica non può essere ridotta alla semplice unità lessicale della proposizione o all’unità metrica del verso, ma sarà specifica per ogni discorso (141).

Secondo Meschonnic, il fenomeno “dell’accentazione d’attacco di gruppo” può essere portato sia dalla consonante che, talvolta, dalla vocale. Per esempio all’inizio de “L’étranger” di Baudelaire, “Qui aimes-tu le mieux, homme énigmatique, dis? Ton père, ta mère, ta soeur ou ton frère?”, Meschonnic nota l’accento d’attacco di gruppo consonantico di “qui”, “dis”, “ton”, “ta”. A questa notazione andrebbe aggiunto anche “ton (frère)” per l’effetto di ripresa prosodica di [t], mentre va sottolineato che il sintagma “dis” è soggetto ad accento sia per l’attacco consonantico che per la proprietà d’accento di gruppo (142). L’accento d’attacco vocalico può invece essere considerato e annotato soprattutto nel caso del cosiddetto “colpo di glottide” [ʔ], ovvero quando le corde vocali si chiudono per fermare il flusso d’aria e poi si riaprono di colpo. Si potrebbe argomentare che in francese il colpo di glottide non è fonologico, quindi non serve a distinguere i morfemi, come invece fanno i fonemi. Tuttavia Meschonnic argomenta che una tale realizzazione ha comunque un effetto prosodico e quindi ha delle ripercussioni sulla significazione del discorso. Il problema maggiore è che non essendo fonologico, il colpo di glottide non ha una sua rappresentazione grafica specifica, nemmeno attraverso la punteggiatura. Talvolta è possibile rilevarlo, grazie alla presenza di trattini o virgolette o l’uso del corsivo come in questo verso di Nerval: “Ma seule étoile est morte, - et mon luth constellé” (143). In questo esempio abbiamo prima di tutto l’utilizzo del corsivo che ci allerta di un uso particolare di questa

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parola, che può quindi implicare un colpo di glottide: [masœlʔetwalɛmɔrt]. In più, il trattino non annulla la virgola, ma comunica “un rilancio di natura accentuale”: [ʔemɔlytkɔstɛle] (ivi).

Come abbiamo detto nel paragrafo “Nuova nozione, nuova notazione”, Meschonnic si serve di un simbolo particolare per annotare questi accenti che solitamente non sono soggetti a nessun tipo di notazione particolare: | | (144). La notazione sarà dunque come segue:

Vediamo quindi due gruppi ritmici, un film e osé, nei quali individuiamo un accento di finale di gruppo su film e l’ultima sillaba di osé, più un accento di attacco vocalico, messo in evidenza dalla virgolettatura che ci segnala una breve pausa prima della parola e un enfatizzazione della parola prodotta attraverso un colpo di glottide (ivi).

3.6.4 L’accento metrico

Come abbiamo detto precedentemente il sistema metrico di un testo non equivale al suo sistema ritmico, ma piuttosto ne è parte assieme all’accentazione di gruppo e a quella prosodica. Inoltre non va confuso il metro con il verso, in quanto la metrica è una misurazione del verso che è basato su degli schemi culturali storici e non universali.

Per quanto riguarda il sistema linguistico francese, che è quello in cui si situa lo studio di Meschonnic in Traité du rythme, va ricordato che dal Medio Evo la metrica francese è fondamentalmente sillabica-accentuale e non quantitativa, come lo sono per esempio quella greca o latina (145). Questo perché la lunghezza delle sillabe non distingue i morfemi, come invece lo fa l’inglese (bit [bɪt] e beat [bɪ:t]), bensì testimonia una specifica modalità di discorso (oui e ouiiiiiiii). Di conseguenza le sillabe francesi sono tutte fonologicamente e metricamente equivalenti. È per questo che Meschonnic preferisce evitare l’utilizzo del termine “piede” che richiama l’alternanza di un tempo forte e uno debole, di una lunga e una corta, e favorisce il “conteggio” di “sillabe” (ivi). Da questo punto di vista, si può suddividere la metrica in metri “semplici”, cioè che comportano un solo accento metrico (il quaternario, il quinario, il senario, il settenario e l’ottosillabo), e in metri “complessi”, cioè composti da due “sotto-metri”, articolati dalla cesura in varie combinazioni, e che pertanto contano due accenti metrici (il novenario, il decasillabo, l’endecasillabo e l’alessandrino) (146). Tuttavia, è importante sottolineare che non è il verso singolo che costituisce il metro di una poesia o di un poema, ma è l’organizzazione

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metrica del testo nel suo insieme che è oggetto della misurazione. Per esempio, il verso alessandrino non è dato solamente dal numero di sillabe di cui è composto, cioè dodici, ma anche dalla posizione della cesura che le divide in 6+6. Se quindi un testo presenta dei versi di dodici sillabe, ma con la cesura che li suddivide in maniere distinte, diciamo 4+4+4, o 8+4, allora non si tratterà più di un testo in alessandrini ma in dodecasillabi. Sarà quindi il contesto testuale, il discorso, ad essere oggetto dello studio metrico e non il verso in sé. Ed è sempre il contesto metrico a far decidere per l’accentazione o meno di alcune parole o sillabe che altrimenti non sarebbero soggette ad accento, cioè in base al verso letto all’interno del testo-sistema (147). Per esempio in questi versi di Verlaine, avremo un accento su une che solitamente ricopre una posizione non marcata:

La nuit tombe. Voici la lune! Elle cache et montre à moitié Sa face hypocrite comme une