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Un’epistemologia della scrittura

2. Una poetica diversa

2.2 Un’epistemologia della scrittura

[l’]entrare nell’opera, di riconoscere ciò che la fa, e che è il suo linguaggio, un linguaggio che non è né una confessione [stile in quanto scelta e originalità] né, come affermavano i formalisti russi ai loro inizi, una convenzione. Non [l’]attraversare l’opera per sboccare nella psicanalisi, che è solamente un andare più a fondo della critica biografica. Non [l’]attraversare l’opera per riconoscervi degli universali dell’immaginario, o per posizionarla e prenderla in una semiologia. Si tratta della lettura-scrittura di un’opera che, soprattutto se appartenente alla letteratura moderna, vicina nel tempo e per la civilizzazione, può in un colpo solo, di volta in volta, essere oggetto contemplato e soggetto rivissuto dalla critica, senza contraddizione. (Meschonnic 1970a: 17-18)

L’opera è quindi vista nella sua complessità di sistema, nel senso saussuriano, come “una totalità caratterizzata dalle sue proprie trasformazioni”, soggetta a “leggi interne”, “non statiche”, ma “legate ad una intenzionalità (messaggio), a una creatività”, che si dispiegherà al lettore di volta in volta in “una continua strutturazione” (175). Queste trasformazioni non vanno intese al modo della linguistica trasformazionale, come “relazioni di struttura tra due costruzioni”, ma come quella relazione lingua e linguaggio, tra soggetto e oggetto, tra individuo e società, che è intrinseca alla scrittura e che produce una “forma-senso”. Ovvero una “forma specifica di linguaggio” che trova concretezza in un testo, nei suoi significanti, nella sua “forma”, e la cui “conoscenza è infinita”, perché esposto ad una “lettura-scrittura”. Una lettura che trasforma “nel e grazie al testo” il pensiero “d’entrata” del soggetto-lettore muovendolo verso un’unità tra forma e senso legata “al funzionamento del testo” (175). Un testo diventa così uno strumento di trasmissione della conoscenza specifico, non destinato ad essere sottoposto ad analisi tassonomiche che lo vivisezionerebbe in categorie preesistenti. Il testo è quel luogo e quel tempo in cui si incontrano in una relazione, in un dialogo, il soggetto-testo e il soggetto-lettore.

2.2 Un’epistemologia della scrittura

La ricerca della letterarietà, della poetica, è quindi “uno sforzo verso una scientificità” (Meschonnic 1973a: 21), cioè una tensione che mira ad “annullare l’opposizione tra scientifico e poetico”, un dualismo “non dialettico”, che assegna al primo uno status razionale, oggettivo e al secondo una posizione irrazionale, o comunque non totalmente comprensibile, e soggettiva. La missione specifica della poetica è quindi la comprensione delle condizioni e dei metodi attraverso i quali una conoscenza (scientifica – metodica e rigorosa) possa essere prodotta a

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partire dai testi letterari – e in modo particolare dalla poesia, che rimane un paradigma esemplare della non-oggettività letteraria. “La poetica è presa come l’epistemologia della scrittura”, intesa come “la critica dei principi, delle ipotesi, della conoscenza della scrittura e della letteratura, in quanto questa conoscenza è in un rapporto necessario con una pratica” (25). L’enfasi che Meschonnic pone costantemente sul legame indispensabile tra la teoria e la pratica è l’unica possibilità attraverso la quale si possa raggiungere una concettualizzazione veritiera del testo letterario. Veritiera, cioè “verità che è definita come ciò che esiste” (Hall 1999: 31). Questo approccio metodologico è “il primo problema epistemologico della scrittura” (Meschonnic 1973a: 25), in quanto la dissociazione tra le due confluirebbe in una riduzione concettuale verso un punto di vista “empiristico o teoricista: il primo non porterà mai ad una scientificità; il secondo, per averlo, si è staccato dalla pratica e/o prende il suo formalismo per rigore” (27). Particolarmente significativo, e segno di una rigorosa onestà intellettuale, è la precisione con sui sono specificati i termini che utilizza, per evitare la confusione e la verbosità che spesso la terminologia critica crea:

Impiego i termini di problema, teoria, pratica e pratica teorica, secondo le definizioni date da Althusser, in Pour Marx – problema: “forma sottomessa a delle condizioni imperative”, che sono la “definizione del campo delle conoscenze (teoriche) nel quale si pone (situa) il problema; del luogo esatto della sua posizione; dei concetti richiesti per porlo”; pratica: “ogni processo di trasformazione”; “la pratica ideologica” [artistica] “trasforma, anche lei, il suo oggetto: la “coscienza” degli uomini”; pratica teorica: “la posizione, l’esame e la risoluzione del problema”; teoria: “forma specifica della pratica”. (Meschonnic 1973a: 27)

La prima questione che si trova dunque ad affrontare l’epistemologia della scrittura è “la definizione del campo nel quale si trova”, quindi il riconoscimento di quei parametri concettuali che ne determinano lo sviluppo e il lavoro. È per questo che Meschonnic si sforza di “conoscere la scrittura”, intesa come “una pratica materialista del linguaggio definita come l’omogeneità e l’indissociabilità del pensiero e del linguaggio, della lingua e della parola, della parola e della grafia, del significante e del significato, del linguaggio e del metalinguaggio, del vivere e del dire” (Meschonnic 1970a: 160). Una serie di relazioni dialogiche che spingono verso una continuità del pensiero, nella quale pratica e teoria si ridefiniscono vicendevolmente di continuo.

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Da questa prospettiva trova anche risposta la questione della “scientificità del metalinguaggio”, che porrebbe la differenza tra una lettura o critica oggettiva, super partes, che ingloberebbe un’idea di scienza, e un’altra che risulterebbe soggettiva. Se ogni discorso, è comunque una manifestazione di quell’ “indissociabilità”, allora anche quello prodotto attraverso il metalinguaggio non può che essere “strategico”, ovvero generato dalla relazione soggetto-oggetto. Il positivismo scientifico del metalinguaggio “crede” di poter analizzare un “oggetto” senza tener conto del “soggetto” che ha determinato la sua formazione. “È dire che l’oggetto si è costruito per il solo spirito” (165). Nondimeno, il metalinguaggio, che mira esplicitamente alla scientificità, all’oggettività, non può essere separato dall’ “ideologia”, in quanto anch’esso è una forma-senso di un soggetto, quindi discorso nato dal vivere-dire di un soggetto. La negazione di questo presupposto porta alla costruzione di tassonomie, “un’operazione di riordino”, che però difficilmente crea un ingresso nuovo ed efficace per una maggior conoscenza della scrittura. È necessario invece “creare un pensiero dell’unità, un pensiero del continuo” (162) tenendo presente che non possiamo conoscere la scrittura se non partendo da essa stessa. Poiché ogni scrittura contiene già in sé la propria critica, la teoria non potrà che nascere dalla pratica in “un andirivieni costante dall’una all’altra” (163).

La riflessione non sarà quindi posta “sulla” pratica linguistica, ma “in” essa, entrando nel linguaggio-sistema di una scrittura specifica, un testo, e quindi in un “rapporto con la lingua come sistema, con un inconscio come sistema e con un’ideologia come sistema” (Meschonnic 1973a: 19). Trova così spazio anche l’idea di “omogeneità” tra dire e vivere, che non va intesa come sovrapposizione del soggetto e dell’oggetto, che sarebbe un ritorno a Sainte-Beuve, ma “un’interazione e un’indissociabilità”. Ogni discorso è un’ “interazione” tra soggetto e oggetto, tra linguaggio e lingua (e quindi tra soggetto e società), tra inconscio e ideologia. Questo concetto di “omogeneità” lega assieme tutta una serie di contrari, formando così un continuo teorico, che diventa anche un continuo tra pratica e teoria. D’altro canto, in questa prospettiva, il concetto di eterogeneità (per come è stato definito da J. Kristeva) non può implicare solamente l’idea di un altro, un diverso, ma sempre ed assieme “lo Stesso-e-l’Altro: il discorso produttore del concetto incorpora il negativo nel momento stesso della formazione del concetto” (43). Ancora una volta è la ripresa del concetto saussuriano di valore, che assume positività nella sua relazione negativa all’interno di un sistema.

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Questa impostazione concettuale, che “riconosce la scrittura come una pratica specifica della dialettica [del linguaggio]” (47) e che determina anche un avanzamento metodologico preciso, è fondamentale affinché si possa realizzare lo studio di un’epistemologia della scrittura, che ha un ruolo all’interno della circolazione-creazione-trasmissione della conoscenza, “non speculativa ma attraverso e in una pratica - solo luogo dove un soggetto può dirsi-farsi, e non più fuoriuscito dalla definizione” (ivi). Tale ruolo è quindi doppio:

1) La scrittura è un’epistemologia della sua lingua. La scrittura fa dire alla lingua ciò che solo quella lingua poteva dire in un preciso momento (che è struttura linguistica e socio-culturale) ma che non aveva mai detto. 2) Ma è tale epistemologia in atto solo perché è una pratica di un soggetto. Chi scrive si scrive, chi legge si legge. È perché la scrittura lavora nei significanti che rappresenta il soggetto per degli altri significanti. È per questo che non possiamo dire che [la scrittura] si fa con dei concetti. (ivi)

È in questa maniera che si può dire che la scrittura è “la produzione di forme-senso prodotte dall’omogeneità tra dire e vivere” e che di conseguenza la letteratura “è il prodotto della scrittura letto e trasformato nel e attraverso l’ideologia” (25) – una produzione che è di per sé infinita e indefinibile, perché si tratta della concettualizzazione di tutto ciò che attraverso la lingua possiamo pensare. Lo studio della scrittura e del testo non hanno quindi come oggetto un’immanenza, ma una pratica specifica del linguaggio, con la sua dialettica interna, che pone delle “relazioni di conoscenza tra il soggetto e gli oggetti” (ivi). Si posiziona quindi come una “dialettizzazione difficile della strutturazione [soggetto del testo] e della ricezione [soggetto-lettura]” (41). Implicita è dunque la relazione “translinguistica” dei due soggetti in causa, che sottintende un dire nella relazione reversibile tra io e tu (ivi). Qui ritroviamo il concetto di Benveniste della soggettività del discorso che abbiamo visto precedentemente. Il vivere, di cui più volte abbiamo parlato in quanto legato al dire, “include un rapporto alla storia sempre già mediato da un discorso sulla storia”, che mette in contatto, “dialettizza”, il parlare e l’agire, l’individuale e il sociale, la parola e la lingua (38). È la condizione indispensabile dell’enunciato stesso che influenza tanto l’autore quanto il lettore. Un’epistemologia della scrittura che non tenga conto e non tenti di teorizzare in una pratica cosa sia scrittura e quindi cos’è un testo sarà sempre bloccata in un impasse tra l’empirico e il teoricista.

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