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La poesia e la Poesia, per pensare il soggetto

2. Una poetica diversa

2.7 La poesia e la Poesia, per pensare il soggetto

Abbiamo terminato il paragrafo precedente sottolineando il ruolo fondamentale della letteratura nello studio di un’antropologia storica del linguaggio, e in particolare per l’individuazione del soggetto della poesia. È comunque opportuno soffermarci sull’idea di poesia di Meschonnic, in quanto ritorna in tutti i suoi studi come leva teorica della sua critica. Prima di tutto va sottolineato che il termine italiano “poesia” possiede due equivalenti in francese a

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seconda dell’accezione che le viene dato: poème, per indicare una poesia specifica; poésie, per nominare il genere letterario che ingloba tutta la poesia. Quindi, “soggetto della poesia” traduce sujet du poème, ovvero il soggetto di una singola opera letteraria, una singola poesia o romanzo; indica il soggetto, singolare, di uno specifico scritto. In questo paragrafo indicheremo quello che Meschonnic chiama poème con la parola “poesia”, e poésie con la maiuscola “Poesia”.

C’è un problema di definizione: come abbiamo detto all’inizio del capitolo, la risposta alla domanda che cos’è la letteratura non è di facile risposta; e la situazione non è diversa per la definizione di Poesia. Meschonnic ci dice che il “cliché moderno” è addirittura di non inseguirne la definizione, difatti “diciamo spesso che è indefinibile, e che ci guarderemmo bene dal cadere nella trappola di ricercarne una definizione” (Meschonnic 2001a: 22). Pertanto, “per definizione”, sarebbe “indefinibile”. Tuttavia, un tale sviamento della questione mantiene del tutto insoluto il doppio problema poetico che la Poesia solitamente solleva: “il problema del rapporto tra una forma – il verso – e un dire che si dissocia, per la sua intensità, da tutti gli altri modi d’espressione; il problema del rapporto tre la comprensione di quello che fa una poesia e la rappresentazione comune del linguaggio per il segno” (33). “Per il segno”, vale a dire nella “dualità delle sue parti costitutive, il suono, il senso”, il significato e il significante, che genera delle comprensioni della Poesia che oscillano sempre tra questi due estremi: “c’è quindi, nella tradizione del pensiero che ci presenta la Poesia, una tensione, se non una frattura, tra il lato dell’arte verbale, il lato del verso, e il lato del sublime che mischia il sensibile al pensiero” (32).

All’interno dell’area concettuale delimitata da questi due poli Meschonnic individua tre definizioni dominanti di Poesia, che saturano il pensiero occidentale. La prima è una concezione della “Poesia come un’essenza[,] cioè un’essenzializzazione” (34) che nasce da due diverse letture dell’etimologia della parola greca poiesis. Partendo da “creazione”, poiein, “fare” in greco, da un lato si intende la Poesia come “celebrazione (molto alla moda, la celebrazione)[,] prima, del mondo, poi, della Poesia stessa: l’auto-erotismo della Poesia, l’auto-scrittura della Poesia” (35). Dall’altro lato, si ha una lettura “etimologizzante” che va verso la “fabbricazione”, cioè allo “sperimentalismo”, al “calcolismo”, al “formelismo (termine di Jaques Roubaud)”, di “Valéry o di Pound”, per esempio. In ogni caso, in entrambe le direzioni, la definizione va verso una comprensione tale che “la poesia è fatta come, è fatta per, è fatta secondo l’essenzializzazione della Poesia come un modello” (ivi). Questa prospettiva però presenta un paradosso che unisce al contempo l’idea di “inconoscibile e di modello” che si fondono nel

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“sacro, con il cosmico, in un pensiero vago e un’adorazione dei magi, un’adorazione della poesia[;] o in un calcolo che la pregiudica, e ne decide” (ivi). Secondo Meschonnic, questa doppia essenzializzazione della Poesia, che si basa ora sulla forma ora sul senso, e che quindi mantengono la rappresentazione del linguaggio per il segno, è quella più diffusa nella nostra cultura occidentale. “L’adorazione della celebrazione, la celebrazione dell’adorazione” (ivi).

La seconda definizione che Meschonnic riporta è un’altra essenzializzazione, che però confonde ciò che la Poesia fa con ciò che la Poesia è. Ovvero la sovrapposizione della “Poesia con l’emozione poetica” (36). Attraverso una metafora questa mescolanza di idee è come “il sorriso del gatto, senza il gatto, per Lewis Carroll”, però “questo sentimento non è la Poesia[,] anche se può essere detto in poesie” (ivi). La Poesia non è pertanto l’effetto che crea nel soggetto-lettore, che peraltro non può mai essere previsto, in quanto la lettura è sempre un io-qui-ora, radicalmente storica.

La terza definizione che corre maggiormente nei nostri sistemi scolastici e accademici è di una Poesia come “realtà storica, la Poesia già scritta, cioè lo stock” (ivi). Ovvero la storia della Poesia, suddivisa in tutta una serie di branche cronologiche, tematiche, nazionali, monografiche, di genere, “in una diversificazione empirica che non ha fine” (ivi), sia nel senso che non possiamo conoscere tutta la Poesia scritta e tramandata in ogni tempo e luogo, sia perché quella che conosciamo non è mai totalmente esaurita – non abbiamo mai finito di comprenderla e conoscerla di più, o diversamente. Una visione della Poesia che quindi “partecipa di due infiniti: l’infinito storico, l’infinito del senso – l’infinito della lettura” (37).

Meschonnic sintetizza così queste tre definizioni: “La terza è un passato. La seconda è un fantasma. La prima è una postura. Che porta ad un’impostura. Allo stesso tempo un inconoscibile ed un miscuglio di rappresentazioni della Poesia da sbrogliare dalle sue realizzazioni” (ivi). Un impasse alla domanda che cos’è la Poesia; una “difficolta crescente, e per dire le cose come stanno, l’impossibilità (dura d’affrontare) di sapere quello che Poesia significa allora che non ha più una definizione formale” (ivi). Difatti, Meschonnic, forte della sua esperienza di traduzione della Bibbia, rifiuta la definizione di Poesia come forma di scrittura tipicamente in versi, in quanto è un’accezione prettamente occidentale e storica, situata. La Bibbia, nella sua stesura in ebraico antico, non conosceva l’opposizione verso-prosa, che è quella che solitamente chiarisce maggiormente la nostra idea di Poesia, ma contemplava solamente la differenza tra “cantato e parlato” (38). Una definizione metrica, o comunque attinente al verso,

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sarebbe un ripiegamento ad una concezione del linguaggio basato sul segno, dalla parte del significante, che ricondurrebbe a tutti quei dualismi che abbiamo già elencato.

Il poeta francese, a differenza di questi punti di vista, che partono tutti dalla Poesia in senso generale per definire anche la/una poesia come opera singola di letteratura, si interroga innanzitutto a partire dalla poesia [poème], “che non sarà altro se non il suo rapporto alla Poesia” (39). Il problema della poesia, e di ogni opera d’arte, come abbiamo già detto precedentemente, non è tanto la sua origine o la sua essenza, ma il suo funzionamento, difatti la poetica non è altro se non “il tentativo indefinitivamente impegnato e da perseguire di comprendere quello che fa la letteratura, quello che fa un atto di letteratura come diciamo un atto del linguaggio” (40). Funzionamento che è “l’invenzione della sua storicità”, e “il valore è la storicità”, cioè “la contraddizione tenuta tra una situazione e un’attività tale per cui l’attività ne scaturisce indefinitivamente” (ivi). La poesia è quindi un valore, nella sua storicità (che non è la situazione storica) e non può esserci se non per mezzo di un “pensiero poetico” cioè un pensiero che reinventa la Poesia” (ivi), che è in e va contro una storia – ma non contro una tradizione, nella dicotomia nuovo-vecchio. Da questa prospettiva la parola Poesia prende un nuovo senso, cioè è “l’attività della poesia”[,] il modo d’attività del linguaggio proprio ad una poesia[,] quello che fa” (ivi). Non c’è quindi più né imitazione, né trasgressione di una norma, perché la Poesia non è più vista come un’essenza o un’eredità storica determinante la produzione poetica, ma saranno piuttosto le poesie a fare la Poesia, intesa nella definizione tre. È un movimento “in e verso un ignoto”, che “s’inventa e reinventa la Poesia contro tutte le poetizzazioni” – della “conoscenza, dell’imitazione, dell’adorazione della Poesia, sia nel senso uno, sia nel senso due, sia nel senso tre” (ivi). Sinteticamente, “la Poesia è allora l’attività specifica di una poesia che è una poesia, e non qualche cosa che fa di tutto per assomigliarle” (ivi).

Di conseguenza, si crea una “tensione” tra l’attività di una singola poesia e il suo apporto/rapporto con la Poesia nel suo senso storico (definizione tre), che “è un rapporto universale” (41). Vale a dire, “la Poesia, come attività di una poesia, è uno degli universali del linguaggio”, da un punto di vista antropologico (ivi). Ne consegue che la poesia, come atto del linguaggio, implica sempre un’etica, una strategia, e una politica. Essendo creata da un pensiero poetico, cioè “che trasforma la Poesia per mezzo di un soggetto e un soggetto per mezzo della Poesia” (ivi) e che cerca “l’ignoto nel linguaggio, quello che « si trova non aver avuto un nome fino ad adesso »” (Meschonnic 1995: 178), la poesia sottintende un soggetto che le è specifico.

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Questo soggetto apre automaticamente sulla critica della “questione-del-soggetto”, sulla sua differenziazione con il concetto di individuo e sulla sua pluralità. Ogniqualvolta che pensiamo alla poesia (cioè ai testi poetici, letterari, in senso specifico) non possiamo evitare di pensare ad un “soggetto della poesia”, che è la soggettivazione massimale ed integrale di un discorso, e quindi non potranno mai esserci due soggetti identici, ma saranno sempre diversificati infinitamente (Meschonnic 2001a: 43). Una poesia è dunque fondamentalmente attiva, “fa qualcosa”, “al linguaggio, e alla Poesia”, “al soggetto che la compone, e al soggetto che la legge” (ivi). Tuttavia, quello che la poesia fa, non lo fa con una coscienza o un’incoscienza, come potrebbe fare un soggetto filosofico, ma semplicemente mette in opera, agisce, non appena innescato dalla relazione con un soggetto lettore o scrittore. La sua attività non ha dunque uno statuto di “verità, né in senso logico, né in senso etico, né in senso psicologico”, ma si tratta dell’ “invenzione [o reinvenzione] di un rapporto a sé, agli altri e al mondo” (44). In questa maniera, la Poesia non avrà una definizione formale specifica, ma è la “ricerca e il ricominciamento della Poesia”, in una dimensione “radicalmente storica, nella sua situazione e nelle sue contraddizioni”, “tra vivere e scrivere, tra dire e fare” (Meschonnic 1985: 181). È per questo che Meschonnic scrive che la Poesia “è sempre un conflitto e un combattimento” (183), perché queste contraddizioni sono vitali e quindi costanti all’interno dell’attività poetica. La Poesia non è quindi “né uno stato (lo « stato poetico »), né un’emozione (ancora meno l’emozione, opposta al razionale), né un’esperienza, un sapere, una scienza[,] ma un’attività, e in quanto tale, radicalmente storica, empirica, come tutto il linguaggio” (184). È “l’infinito di ogni poesia[,] a cui ogni poesia si avvicina solamente, senza mai identificarvisi interamente” (Meschonnic 1995: 181).

Tale definizione annulla anche la concezione diffusa della Poesia come opposta alla scienza, come fossero due pratiche antitetiche, scienza-oggettività e poesia-soggettività. Una posizione che solitamente si risolve o nel presupposto che separa irrimediabilmente le due, o nel tentativo di fonderle in “una sola e stessa epistemologia”, sia “le scienze della natura”, che “le scienze della mente, scienze storiche umane, sociali, o della società”, in una “Nuova Santa Alleanza” (172). Tuttavia, entrambe le direzioni, sono “figure della stessa danza rituale che il segno balla dalla fondazione della nostra civiltà del linguaggio” (177), cioè una prospettiva che pone in maniera dualistica gli opposti, in questo caso scienza e poesia, senza una dialogicità che tenti di unire la coppia identità-alterità, che mantenga in una relazione funzionale due identità

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diverse tra loro (poesia e scienza). Secondo Meschonnic, tale contrasto è stato causato soprattutto dall’ “antropologia binaria del XIX° secolo [che] ha portato questa razionalità al suo più grande dogmatismo, nella sua separazione tra il razionale e l’irrazionale, la ragione e l’emozione, la scienza e la poesia, il logico e il pre-logico” (ivi). Poesia e scienza andrebbero affrontate come due pratiche del linguaggio distinte, specifiche, con le loro peculiarità: la prima come “una storicizzazione dell’infinito del soggetto-linguaggio e del mondo per il linguaggio”, la seconda “come una storicizzazione dell’infinito dell’oggetto per un soggetto” (170).

La questione ontologica della letteratura, e della Poesia, non è comunque solo un problema di definizione, tecnico, per i letterati, ma incoraggia soprattutto a “riconoscere le implicazioni che si giocano nella e per la Poesia, e le strategie della Poesia, del sociale, dello Stato” (Meschonnic 1985: 182). Lo studio del funzionamento della poesia, di quello che una poesia fa, e non è, “aiuta a pensare e a realizzare la storicità come valore e forma specifica della felicità, forma-soggetto, contro le categorie ereditate dagli Illuministi, contro la rappresentazione comune del linguaggio e i suoi effetti d’amalgama che reggono il contemporaneo” (Meschonnic 2001: 17). La poesia sfida costantemente ed interroga la nostra teoria del linguaggio, e svolge quindi una funzione fondamentalmente critica, verso sé stessa, e anche le scienze della società (Meschonnic 1995: 182). La Poesia come critica della Poesia è quindi soprattutto “una critica della sacralizzazione della Poesia”, che “[la] fissa e [la] isola nella mondanità” (186), separandola da un pensiero del continuo che abbracci poetica-etica-politica, in una sua storicità radicale, in quanto la “storicità della Poesia è […] un rapporto costitutivo del poetico e del politico”, che è “l’esatto opposto della concezione metafisica” del segno, del sacro (187). Meschonnic scrive un esempio concreto per mostrare le derive delle pratiche influenzate da un’impostazione teorica che sacralizza la Poesia:

faccio un ultimo esempio, che mi sembra capitale, tanto ne dipendiamo ancora: quello del rapporto tra la poesia futurista, la metafisica del linguaggio e la rivoluzione russa. Nelle parole in libertà di Marinetti, nell’espressionismo di Gotfried Benn o nel futurismo russo, c’è all’opera una metafisica dell’origine: le parole sono pensate continue alle cose. Toccare l’ordine delle parole è toccare l’ordine sociale, l’ordine cosmico. C’è una continuità presupposta tra la violenza verbale e la violenza cosmica, che chiama alla violenza politica. La maniera nella quale quest’ultima si realizza di seguito è una variante locale: militarismo del 1914, adesione al fascismo o la rivoluzione russa. Questo è quello

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che chiamo una poetica del sacro. Contiene una poetica e una politica del soggetto, annullato come individuo, fuso nella fraternità delle armi, delle masse, per le quali la verità non può essere che collettiva, e il soggetto è il sociale. (Meschonnic 1985: 189) Si capisce da questo esempio che l’implicazione teorica, e quindi pratica, della critica della Poesia va ben oltre la tecnicità della definizione della parola e il suo statuto ontologico all’interno delle scienze letterarie e umane. Meschonnic se ne serve soprattutto per “minare la metafisica del segno, e la politica del segno (che è la ragione di Stato), perché [la Poesia] è, nel discorso, il rappresentante più esposto, più vulnerabile, del soggetto, dell’io, sua figura, senza privilegio del poeta” (190). La Poesia acquisisce questa funzione perché è “l’irriducibilità del significante, l’avventura dell’io, che è il vero impersonale (e non egli)”, cosicché si possa fare una distinzione tra la “scrittura soggettiva-impersonale” e “l’individualismo (aggiungiamo sempre “piccolo-borghese”) o il soggettivismo psicologico” (ivi).

La Poesia, intesa come attività della poesia, “fa del testo tutto intero un io, e così trasforma l’io del lettore, in modo che sia partecipe, anche se, una volta di più, non lo sa, di questo io nuovo, continuo, contagioso, storico e trans-storico, trans-soggettivo” (Meschonnic 1995: 192). Quello che è in palio nella critica della Poesia è quindi soprattutto lo statuto del soggetto della poesia, che innesca una riflessione sulla questione-del-soggetto, e quindi della società. Riflessione che ancora oggi fatica a sbloccarsi a causa di “due idee preconcette”: la prima, che presenta “lo statuto dell’individuo secondo un attaccamento all’individualizzazione così immediata che sembra anteriore ad ogni esame [e] allo stesso tempo è presente come un fatto di società[, per il quale] l’individualismo vale l’atomizzazione, distruzione del legame sociale”; la seconda è “l’associazione a priori dell’individuo al soggetto, tutti e due così fusi l’uno all’altro (piuttosto a profitto dell’individuo) che certi non vedono nemmeno come questa indistinzione renda impossibile sapere quello che diciamo quando parliamo in questi termini”, annullando la condizione stessa che permetterebbe di concepire il loro rapporto e il loro statuto, l’uno diverso dall’altro (187). Il soggetto della poesia stimola invece un pensiero della poetica legato a quello dell’etica e della politica, innescando un ragionamento che non sarà solamente sul soggetto inteso singolarmente, ma sulla sua pluralità interna. Appunto ogni discorso è di circostanza, e se cambia la prospettiva da cui osserviamo, cambia il profilo del soggetto. “Tanti soggetti, tante etiche, tante interpretanze della società per il linguaggio, e quasi le stesse sovrapposizioni per le

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definizioni della modernità”, per l’intelligibilità del presente, “poiché la querelle che gli è comune è quella dell’ « uomo »”, del soggetto, e quindi della società (193).

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