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La procedura d’ingresso. Il protocollo d’intesa

Nel documento Politiche migratorie e diritto del lavoro (pagine 176-180)

2. Quadro sintetico della disciplina dedicata ai lavoratori migranti ex artt

2.5. I lavoratori “ICT”

2.5.7. La procedura d’ingresso. Il protocollo d’intesa

Terminata la descrizione della procedura per l’ingresso regolare in Italia, bisogna aggiungere che la stessa procedura, realizzati de-terminati presupposti, può essere semplificata. Se il Ministero del

che nei casi di cui al comma 15, quando: a) è stato ottenuto in maniera fraudolenta o è stato falsificato o contraffatto; b) risulta che il lavoratore intra-societario non soddisfaceva o non soddisfa più le condizioni per l’ingresso e il soggiorno previste dal presente testo unico o se soggiorna per fini diversi da quelli per cui ha ottenuto il nulla osta ai sensi del presente ar-ticolo; c) è stata raggiunta la durata massima del trasferimento intra-societario di cui al comma 11».

89 Una disposizione di questo tipo la si è incontrata anche studiando le di-scipline dedicate ai lavoratori highly-skilled e ai ricercatori stranieri.

lavoro e l’entità ospitante, infatti, stipulano un protocollo d’intesa dove è assicurato il rispetto delle condizioni ex art. 27-quinquies, comma 5, allora (comma 13) non è necessario il rilascio del nulla osta. È invece sufficiente che l’entità ospitante faccia una comu-nicazione telematica allo sportello unico il quale, poi, quando la Questura non abbia evidenziato nessun motivo ostativo all’ingresso dello straniero, sempre con modalità telematica tra-smette una comunicazione all’Ufficio consolare, permettendo co-sì la concessione del visto d’ingresso per il lavoratore interessato.

2.6. Parità di trattamento e mobilità intra-europea per i lavoratori ICT

In ultimo, occorre soffermarsi sul comma 12. Vi si afferma che l’art. 4 del d.lgs. n. 136/2016 si applica proprio a quanti sono sta-ti ammessi in Italia ex art. 27-quinquies.

Il decreto legislativo in parola è quello che ha dato attuazione alla direttiva 2014/67/UE, concernente l’applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi90. Il richiamo all’art. 4 significa che ai lavo-ratori ICT si applicano «le medesime condizioni di lavoro e di occupazione previste per i lavoratori che effettuano prestazioni lavorative subordinate analoghe nel luogo in cui si svolge il di-stacco»: è in tal modo stabilito un principio di parità di trattamento.

Per di più, il legislatore del comma 12 espressamente afferma che per i lavoratori ICT valgono le libertà sindacali garantite ai lavo-ratori italiani. La stessa parificazione, poi, si dispone si abbia an-che per l’accesso ai beni e ai servizi erogati dal soggetto pubblico,

90 M.MCBRITTON, op. cit., 9.

ad esclusione tuttavia «dell’accesso ad un alloggio e dei servizi forniti dai centri per l’impiego».

In chiusura del comma 12, toccando la questione della mobilità in-tra-europea dei lavoratori ICT, si afferma l’applicabilità del regola-mento (CE) n. 1231/2010. Il contenuto normativo di detto rego-lamento è molto semplice: si dispone, essenzialmente, che le pre-scrizioni del regolamento (CE) n. 883/2004 e del regolamento (CE) n. 987/2009 siano applicate pure ai cittadini di Paesi terzi per i quali questi «regolamenti non siano già applicabili unica-mente a causa della nazionalità […]» (art. 1).

I due regolamenti cui è fatto rimando riguardano l’uno – il n.

883/2004 – il coordinamento (europeo) dei sistemi di sicurezza sociale, mentre l’altro – il n. 987/2009 – proprio le modalità di applicazione del n. 883/2004.

Il tema della mobilità intra-europea dei lavoratori ICT, comun-que, non si esaurisce nel solo rinvio operato dal comma 12. Ad essa è espressamente dedicato l’intero art. 27-sexies, non a caso rubricato Stranieri in possesso di permesso di soggiorno per trasferimento intra-societario ICT rilasciato da altro Stato membro.

Al comma 1, l’art. 27-sexies prescrive che, per un massimo di 90 giorni (calcolati su un arco temporale di 180), lo straniero titolare di un permesso di soggiorno ICT ottenuto in altro Paese UE è autorizzato a svolgere attività lavorativa in Italia; senza, fra l’altro, che sia necessaria la concessione di alcun nulla osta. Il legislatore precisa che tale attività lavorativa deve svolgersi «presso una se-de, filiale o rappresentanza in Italia dell’impresa da cui dipende il medesimo lavoratore titolare di permesso di soggiorno ICT o presso un’impresa appartenente allo stesso gruppo, o una sua se-de, filiale o rappresentanza in Italia».

Per il caso in cui il lavoratore straniero debba permanere nel no-stro Paese per un periodo superiore al limite supra descritto (90

giorni nell’arco di 180), per lui deve semplicemente essere avan-zata domanda di nulla osta al lavoro.

A prescindere che detta autorizzazione si renda necessaria o me-no (cioè a prescindere che sia superato il limite dei 90 giorni), è previsto che il lavoratore, destinatario del permesso ICT in un al-tro Paese europeo, possa entrare in Italia legittimamente senza il bisogno di un apposito visto d’ingresso.

La disciplina della direttiva 2014/66/UE (che qui si sta studiando nella ricezione fattane dall’art. 27-sexies TU) offre uno spunto di riflessione interessante circa la peculiare libertà di circolazione ri-conosciuta ai lavoratori ICT.

Essi sono senz’altro autorizzati a muoversi all’interno dello spa-zio europeo, dovendo, per un certo verso, solo rispettare un te temporale per la permanenza nel secondo Stato membro, limi-te il cui superamento, fra l’altro, comporta unicamenlimi-te che si debba avere il rilascio di un nuovo nulla osta al lavoro (da parte del secondo Stato membro). A prescindere comunque dal limite dei 90 giorni – si torna a dire – i lavoratori ICT sono esentati dall’obbligo del visto d’ingresso.

La “libera circolazione” in esame, bisogna notare, non comporta però una vera e propria possibilità di accesso ai differenti mercati del lavoro europei. Utilizzando una metafora e, certo, giocando con i temi toccati e le nozioni giuridiche fatte proprie nel presen-te studio, si potrebbe dire che il lavoratore gode di un diritto di circolazione ritagliato (“tailored”) su una sua peculiare “cittadi-nanza”, la quale non è quella del Paese extra-UE d’origine ma è, invece, una sorta di “cittadinanza societaria”. L’utilizzo di questa immagine – com’è ovvio, assolutamente metaforica – aiuta a ca-pire come le possibilità di movimento e i diritti riconosciuti ai la-voratori ICT siano strettamente collegati alla loro appartenenza a una società/gruppo societario. Essi sono titolari di uno specifico diritto di circolazione, che vale per i Paesi europei dove le società

di cui sono dipendenti hanno una filiale, una rappresentanza, una

“società-figlia”. È, d’altronde, naturale che una società che di-stacchi temporaneamente un proprio lavoratore in Europa, pres-so una propria filiale o una propria controllata, abbia più stabili-menti e sedi nel continente. È altrettanto naturale che la società richieda in particolare ai dirigenti e ai lavoratori specializzati, una volta che questi siano stati temporaneamente distaccati in Euro-pa, di dare il proprio apporto non solo in un luogo, ma pure in altre realtà della medesima società o del medesimo gruppo socie-tario.

Una disciplina della mobilità intra-europea come quella in esame, certo, “semplifica la vita” a chi – una grande multinazionale, ad esempio – voglia valorizzare fino in fondo le risorse umane spe-cializzate di cui dispone.

3. I lavoratori migranti stagionali

Nel documento Politiche migratorie e diritto del lavoro (pagine 176-180)