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CAPITOLO II. AMMINISTRARE IL FRONTE: LA DISCIPLINA SANITARIA E MORTUARIA NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

2.6 La questione della contabilità delle perdite

Nel primo dopoguerra e, in particolare durante i primi anni del regime fascista, ingenti risorse finanziare furono stanziate allo scopo di raccogliere, organizzare e sistematizzare la grande mole di dati relativi ai caduti della Grande Guerra250. L’esito finale del conflitto, infatti, si prestava a un uso strumentale e propagandistico da parte dello Stato fascista, per esaltare l’eroismo, la forza e la tenacia dell’esercito nazionale. La determinazione del numero dei caduti e delle perdite subite, anche nella popolazione civile, sono stati subito oggetto di numerose ricerche di carattere statistico e demografico. Gli studiosi italiani251 furono tra i primi a percorrere questo filone di ricerca, sebbene anche in altri paesi europei il tema suscitò un certo interesse252. In tempi più recenti, l’attenzione delle scienze demografiche e statistiche ha concentrato invece la propria attenzione su ricerche intese a proporre misure sempre più esatte della mortalità considerate in una prospettiva generazionale253. Si tratta tuttavia di un tema molto complesso, per il quale il numero delle vittime può essere determinato solo con un certo grado di approssimazione254, operando confronti tra i censimenti precedenti al conflitto e

Grande Guerra nell’arco alpino. Esperienze e memoria” a cura di H. Kuprian e O. Uberegger, U.

Wagner, Innsbruck, pp. 383-396; EAD. (2010), Per non morire mai… La percezione della morte in guerra

e il culto dei caduti nel primo conflitto mondiale, Il Poligrafo, Padova 2010.

250 Già nel 1919 il Ministero per l’Assistenza Militare rese noti i primi dati relativi ad un riepilogo

generale delle perdite sofferte dall’esercito italiano dal 23 maggio 1915 all’11 novembre 1918. Secondo i dati raccolti, le perdite dell’Esercito operante, distinte in ufficiali e truppa, ammonterebbero a 15,360 morti e 33,350 feriti per gli ufficiali e 412,650 morti e 913,190 feriti per la truppa. Le perdite complessive dell’Esercito operante, distinte per anni solari, sono invece così ripartite: 1915: morti 66,090; feriti 190,400; 1916: morti 118,880; feriti 285,620; 1917: morti 152,790; feriti 367,200; 1918: morti 40,250; feriti 103, 420; 1915-18 (morti in prigionia): 50,000. Il computo complessivo sarebbe dunque di 428,010 morti e 946,640 feriti, escluso il calcolo dei caduti avvenuto fuori della Zona di operazioni, includendo il quale si arriverebbe approssimativamente a circa 460.000 morti e 947.000 feriti. Cfr. Ministero per l’Assistenza Militare e le Pensioni di Guerra, L’Assistenza di guerra in Italia, III Conferenza interalleata per la protezione degli invalidi di guerra, Roma, Società Anonima Poligrafica Italiana 1919, pp. 10 ss.

251 V. F. SAVORGNAN, La Guerra e la Popolazione, Studi di demografia, Zanichelli, Bologna 1918.

Pensato e scritto nell’estate del 1917, lo studio rispecchiava le condizioni dei paesi belligeranti quali si presentavano alla fine del terzo anno di guerra, prima di Caporetto e prima che il governo massimalista concludesse l’armistizio e iniziasse delle trattative di pace con la coalizione degli Imperi centrali.

252 Per i caduti in terra di Francia e nelle sue colonie, v. M. HUBER, La population de la France pendant

la guerre avec un appendice sur Les revenus avant et après la guerre, Paris, Press Universitaire de France

– New Haven Yale University Press 1931. Sui caduti tedeschi, v. E. ROESLE M.D., The mortality in

Germany 1913 – 1921, The effects of the war casualities and famine on mortality, in «Journal of the

American statistical association», New Series, NO. 149 (Vol. XX), June 1925. Per le perdite subite dalla Russia, v. S. KOHN, Storia economica e sociale della Guerra mondiale, in «Giornale degli Economisti e Rivista di Statistica», Serie quarta, Vol. 74 (Anno 49), No. 3 (Marzo 1934), pp. 214 – 217. Sulle statistiche dei caduti in generale, v. S. DUMAS, K. OTTO VEDEL – PETERSEN, H. WESTERGAARD, Losses of

life caused by war, Pubblications of the Carnegie Endowment for International Peace, Division of

Economics and History, Oxford Clarendon Press, 1923.

253 In tale ottica si è esercitata anche la storiografia europea più progressista, a partire dagli anni Settanta,

innovando gli studi sulla Prima guerra mondiale: v. J.M. WINTER, The Impact of the First World War on

Civilian Health in Britain, in «The Economic History Review», 30, 3, (1977a), p. 487 – 507; ID, Britain’s ″Lost Generation″ of the First World War, in «Population Studies», 31, 3, (1977b), pp. 449 – 466; J.-J.

BECKER, Les deux guerres mondiales et leurs consequences, in J.- P. BARDET and J. DUPAQUIER (a cura di), Histoire des populations de l’Europe, vol. 3, Les temps incertains 1914-98, Paris, Fayard 1999; P. DARMON, Une tragédie dans la tragédie: la grippe espagnole en France (avril 1918 – avril 1919), in «Annales de démographie historique», 100, 2, 2000, pp. 153 – 175.

254 Cfr. O. FARAON, Guerre(S) et Démographie Historique, in «Annales de démographie historique»,

103, 1, 2002, pp. 5 – 9. Le stesse statistiche sanitarie individuano un alto tasso di mortalità per malattie respiratorie e patologie infettive, causate dalla promiscuità, dalla cattiva alimentazione e dalle disumane

quelli ad esso successivi, secondo la metodologia largamente utilizzata dalla scienza demografica. Per il caso italiano, tuttavia, anche questo approccio metodologico potrebbe risultare inadeguato, atteso che la popolazione italiana durante il periodo del conflitto fu interessata da un consistente flusso migratorio, tale da inficiare i dati censuari, i quali si rivelano di ottima qualità solo se la «popolazione è chiusa, ovvero nel periodo intercensuario i flussi migratori sono nulli, o, almeno, trascurabili»255. Con varianti tutto sommato minime e a seconda del taglio degli studi presentati, il numero di perdite generalmente attribuito all’esercito italiano durante il primo conflitto mondiale si attesterebbe intorno alle 650.000 unità256. Alcuni studi hanno invece individuato e calcolato nuove categorie di deceduti, tali da attribuire alla cifra computata la mera funzione di limite inferiore del numero dei caduti257, e, solo di recente, qualche studioso ha avanzato altre ipotesi rispetto ai numeri ufficiali universalmente utilizzati258. La questione della contabilità delle perdite non è speciosa ed è infatti in primo luogo strettamente legata alle comunicazioni ufficiali inoltrate al Comando Supremo259, sia per finalità giuridiche, amministrative e previdenziali, sia, in un secondo tempo, per la determinazione delle riparazioni di guerra260. Ciò spiega sufficientemente perché alcune

condizioni igieniche della vita in trincea. Cfr. ″Statistica″, Dati statistici relativi allo stato e al movimento

dei malati ricoverati e alle perdite, 31 luglio 1915 – 27 marzo 1919, Fondo E 7 ″Carteggio sanitario della

Prima Guerra Mondiale″ (1914-1927), b. 46, fasc. 422, AUSSME. Sull’alto numero dei decessi per malattia nell’esercito italiano, v. anche G. Lenci, Caduti dimenticati. I morti per malattie, in D. Leoni, C. Zadra (a cura di), La Grande Guerra. Esperienza, memoria, immagini, Il Mulino, Bologna 1986, pp. 231- 236.

255 Cfr. A. FORNASIN, Le perdite dell’esercito italiano nella Prima guerra mondiale, Università degli

Studi di Udine, Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche – maggio 2014, rev. Dicembre 2014, n. 1/2014, p. 2.

256 Nel luglio del 1921, lo Stato maggiore del regio Esercito, nel comunicare al Ministero del tesoro i dati

raccolti, rappresentò al dicastero «come dal risultato ottenuto da questo Ministero nel computo dei morti si

possa, con argomentazioni sufficientemente valide, arrivare, come desidera cotesto Ministero, a giustificare la cifra di 650 mila data dalla Delegazione Italiana per le riparazioni a Parigi, sulla scorta degli elementi forniti dal Sottosegretariato per l’assistenza militare e per le pensioni di guerra. Non è stato possibile invece ricavare elementi adatti a giustificare la cifra di 850 mila invalidi, data dalla detta Delegazione, non possedendo questo Ministero che dati incompleti riferentisi agli invalidi ascritti alle otto categorie di pensioni» (cfr. MINISTERO DELLA GUERRA – STATO MAGGIORE DEL R.

ESERCITO, N. 1141 di prot. R.S., Roma, 5 luglio 1921, OGGETTO: Morti e invalidi di guerra, Fondo L- 3, Studi Particolari, Perdite, Cart. 251, 1^ G.M., 3. – Delegazione italiana per la pace – perdite (al 16.8.1919), AUSSME.

257 Sul punto, v. V. ILARI, Storia del servizio militare in Italia, vol. II, La «nazione armata» (1871 –

1918), CEMISS, Roma 1990.

258 P. DEL NEGRO, L’esercito italiano, i volontari e i giovani nella Grande Guerra, in F. RASERA, C.

ZADRA (a cura di), Volontari italiani nella Grande Guerra (1914-1918), Museo Storico Italiano della Guerra, Rovereto 2009, pp. 5 – 43.

259 Le comunicazioni delle perdite in seguito ad operazioni di guerra pervenivano al Comando Supremo,

per il tramite gerarchico dell’Intendenza Generale, direttamente dalle rispettive Intendenze d’Armata, le quali inviavano mensilmente i loro resoconti. Nelle carte conservate presso l’Archivio storico dello Stato maggiore dell’esercito non sono disponibili le comunicazioni redatte da tutte le rispettive Intendenze d’ Armata del Regio esercito. In larga parte complete e a far data dal settembre 1916 al luglio 1919, sono consultabili le comunicazioni e le relazioni periodiche inoltrate dalla Intendenza della I Armata, nelle quali si dà puntualmente conto anche dell’entità numerica delle perdite. Sul punto, v. Fondo E-1, Carteggio

sussidiario Armate, cart. 41, fasc. Perdite (1915-1916-1917); cart. 56, fasc. Relazioni periodiche 1916-

1917-1918-1919; cart. 56, fasc. Ufficio notizie Relazioni periodiche 1916-1917-1918-1919; cart. 56, fasc. I Armata Intendenza cimiteri e tombe sparse; cart. 56, fasc. I Armata cimiteri e salme inumate; cart. 56, fasc. I Armata cimiteri e salme inumate 1917; cart. 56, fasc. cimiteri e tombe sparse, AUSSME.

260 Al tavolo delle trattative di pace il computo complessivo dei deceduti risultò centrale per la

dalla statistica ufficiale, ma gli stessi metodi attraverso i quali si era ad esse pervenuti. Particolarmente polemico risultò l’atteggiamento della rappresentanza francese sull’entità del numero dei caduti italiani. Nel dicembre del 1918, infatti, il generale Belin, rappresentante militare francese del Consiglio superiore di guerra, aveva chiesto al generale di Robilant, rappresentante militare permanente italiano in seno alla Sezione italiana dello stesso Consiglio superiore di guerra che operava a Versailles, «le chiffre des pertes

globales italiennes, depuis le debut de la guerre jusqu’à une date aussi rapprochée que possible du 11 Novembre et leur répartition en: a) Tués et morts de blessures ou de maladies; b) Disparus (non compris les prisonniers); c) Prisonniers; d) Pensionnées et réformés» (cfr. CONSEIL SUPERIEUR DE GUERRE,

SECTION FRANCAISE, 1899/esg, Versailles, le 22 Décembre 1918, Fondo L-3, Studi Particolari, Perdite, cart. 251, fasc. 1^ G.M., 3 – Delegazione italiana per la pace – perdite (al 16.8.1919), AUSSME). Il generale italiano chiese immediatamente all’Ufficio operazioni del Comando Supremo dello Stato maggiore i «dati riflettenti perdite definitive globali avute dall’Esercito Italiano dall’inizio delle ostilità

fino al 4 Novembre u.s., distinte possibilmente in Ufficiali et truppa stop uccisi e morti per ferita o malattia stop Dispersi stop Prigionieri stop Pensionati et riformati stop» (cfr. D.D.D. ZAMA = ROMA, 26 DICEMBRE 1918, ivi). Il 30 dicembre del 1918, il Comando supremo inoltrava al rappresentante

permanente militare italiano un corposo fascicolo contenente 10 tabelle riferite ai dati che riepilogavano le perdite dell’Esercito italiano nel corso della guerra. In particolare, secondo quanto indicato nella «TABELLA 3» del documento, i caduti italiani sui diversi fronti di guerra (italiano, francese, albanese e macedone) ammontavano a 428.010; i feriti a 946.640 e i prigionieri a 569.210 (cfr. R. ESERCITO ITALIANO COMANDO SUPREMO – UFFICIO OPERAZIONI, N. 16243 di protocollo G.M., addì 30

Dicembre 1918, ELENCO delle carte che si trasmettono alla Sezione Italiana del Consiglio Supremo di Guerra = Versailles =, ivi). Le cifre comunicate dal Comando supremo alla delegazione italiana per le

trattative sulle riparazioni circa il tributo di sangue pagato dall’Italia non incontrò i favori della stampa transalpina, dacché esso veniva «svalutato dalla stampa officiosa francese sia con la citazione di cifre

inferiori a quelle reali, sia con l’omissione di qualsiasi benevole commento che invece accompagnava le statistiche degli altri eserciti alleati, sia infine con l’assoluto silenzio sulle nostre perdite, come se nel doloroso computo delle vite umane scomparse durante il conflitto mondiale, la somma delle nostre costituisse una quantità trascurabile». Da parte italiana, era in effetti mancata una relazione ufficiale

dettagliata sul genere di quella francese. I dati sulle perdite portati a conoscenza dell’opinione pubblica italiana e internazionale non erano stati opportunamente commentati con l’esposizione dei sistemi impiegati per addivenire alla loro esatta determinazione, ma erano apparsi su diversi giornali sotto forma di brevi e laconici comunicati dell’agenzia di stampa Stefani, talvolta anche contraddittori. Sulla base della relazione Marin, presentata all’Assemblea parlamentare francese, nel raffronto tra i sistemi di censimento francese e quelli degli alleati, le statistiche italiane più che uno studio analitico erano state interpretate come «un’arida esposizione di cifre sulle quali, a quanto traspare dalla relazione, non è riposta grande

fiducia». La relazione prendeva in esame le perdite subite dagli Stati Uniti d’America, l’Impero Britannico

(distinto in Gran Bretagna, Colonie e Dominions), l’Italia, la Serbia, la Romani, la Russia, il Belgio e la Grecia. Per l’Esercito italiano la relazione si esprimeva in termini estremamente critici: «C – Difference

avec le systéme française. – La méthode italienne est basée sur la comparaison d’etats numeriques se rapportant exclusivement aux pertes, indépendamment de l’etude des mouvements généraux d’effectifs, et par conséquent laisse de côte un moyen de vérification particulièrment important: le contrôle des morts par les vivants. D’autre part, la statistique ètablie par l’Etat-Mjor Italien ne semble pas suffisamment étayée par la documentation nominative, car cette derniere consiste uniquement dans les rôles nominatifs conservés normalement par les unités et il est possible qu’un nombre assez considérable de ces rôles aient disparu à certaines périodes de la campagne. Par suite le contrôle nominatif fondé sur ces documents a été assez Précaire. En résumè – la méthode italienne ne semble pas, ici, ni scientifiquement, ni pratiquement aussi précise que la méthode française». Questo duro commento suonava aspro e ingiusto

per la delegazione italiana e rilevava una grande incredulità e diffidenza sull’entità del sacrificio italiano nelle operazioni di guerra. Si trattava dunque di non lasciar passare inosservato questo atto poco amichevole, anche perché le cifre che si riferivano agli altri eserciti erano state accettate «quasi senza

riserve e senza alcun commento». L’importanza dell’opinione francese appariva tanto maggiore per il fatto

che la relazione era stata fatta in Parlamento. Non si trattava, dunque, di una dichiarazione a mezzo stampa, della quale poteva anche non tenersi conto, ma di asserzioni precise che prima di essere pronunciate in seno al più alto consesso della Repubblica francese «avrebbero imposto da parte del

governo francese una richiesta ufficiale ed esplicita alle nostre autorità, di tutti gli schiarimenti ritenuti necessari per una obiettiva compilazione della relazione». Le critiche mosse alla statistica italiana erano

cadenza settimanale soltanto al Comando supremo un elenco numerico delle perdite, ma lo trasmettevano ogni giorno, per via gerarchica, ai comandi di divisione, i quali, a loro volta, riuniti gli elenchi delle unità e servizi dipendenti, trasmettevano giornalmente e poi anche a cadenza quindicinale, sempre per via gerarchica, un elenco riassuntivo delle perdite all’Ufficio ordinamento e mobilitazione del Comando supremo, nel quale gli ufficiali erano indicati nominativamente. Ogni reggimento, inoltre, inviava gli elenchi nominativi delle perdite degli uomini di truppa ai rispettivi comandi di deposito, presso i quali, pertanto, esistevano gli elenchi nominativi dei caduti. Nel complesso, il sistema italiano era molto semplice ed efficace e, in sostanza, «non si discosta da quello usato presso altri eserciti. Sembra dunque

superfluo parlare di scienza e pratica nel doloroso compito di constatare le perdite quando queste furono sempre facilmente controllabili per tutte le armi, corpi e servizi». L’Italia, concludeva il resoconto

memoriale steso dalla Delegazione italiana per la pace nell’ottobre del 1919, «ha distinto le perdite subite

sui vari fronti e non si vede esattamente dove i nostri sistemi differiscano da quelli francesi e perché il compilatore della relazione stessa si sia volentieri indugiato a commentarli, concludendo con un asserto che ha risparmiato alle altre statistiche» (cfr. DELEGAZIONE ITALIANA PER LA PACE – SEZIONE

MILITARE, Parigi, lì 10 ottobre 1919, MEMORIA – RELAZIONE PRESENTATA DAL DEPUTATO

MARIN ALLA SEDUTA DELLA CAMERA FRANCESE DEL 3 GIUGNO SULLE PERDITE SUBITE DAGLI ESERCITI ALLEATI DURANTE LA GUERRA EUROPEA, ivi). La memoria, firmata dal

Brigadiere Generale Cavallero, fu trasmessa alla Presidenza della Delegazione ed alla stessa Presidenza del Consiglio dei ministri nel novembre del 1919 (cfr. DELEGAZIONE ITALIANA PER LA PACE – SEZIONE MILITARE, N. 15068 sp. Di protocollo, Parigi, lì 18 novembre 1919, OGGETTO: Relazione

del deputato francese Marin sulle perdite subite dagli eserciti alleati, ivi). Lo stesso Cavallero, nel

precedente luglio 1919, si era lamentato del contenuto della relazione presentata in giugno alla Camera francese con il ministro italiano degli affari esteri, l’onorevole Tittoni, chiedendo espressamente di poter «riunire gli elementi atti a dimostrare quanto ho avuto l’onore di esporre» (cfr. DELEGAZIONE ITALIANA PER LA PACE – SEZIONE MILITARE – N. 11385 SP. Di protocollo, Parigi, lì 30 luglio

1919, OGGETTO: Perdite subite dall’Esercito Italiano, ivi). Le cifre di base comunicate dal Comando

supremo, le uniche allora note, contenevano dunque inesattezze che riguardavano essenzialmente l’esposizione della statistica, ma che lasciavano immutata la sostanza dei fatti. Nell’aprile del 1919, l’Ufficio del Capo di Stato maggiore della Marina aveva tuttavia informato la Sezione militare della Delegazione italiana per la pace di avere in corso di stampa una nuova edizione della «Memoria – Dati che

possono illustrare lo sforzo fatto dall’Italia nella recente guerra contro gli imperi centrali», redatta in

quattro lingue, affinché si provvedesse ad apportare tutte le varianti e le rettifiche necessarie, previa visione del Ministero della guerra e del Comando supremo delle bozze di stampa del nuovo documento, prima di addivenire alla pubblicazione definitiva dei dati (cfr. MINISTERO DELLA GUERRA – DIVISIONE DI STATO MAGGIORE – SEZIONE 3^ - N. di prot. 5006, Roma, lì 28 APR 1919,

OGGETTO: PERDITE SUBITE DALL’ESERCITO ITALIANO, ivi). Fu soltanto però nel 1920 che presso

il Ministero della guerra fu istituito, aggregandolo alla Direzione generale leva e truppa, un « Ufficio di

Statistica Demografica per raccogliere i dati statistici relativi alle perdite subite dall’Esercito». A dirigere

l’ufficio fu chiamato il maggiore di complemento in congedo, Professor Corrado Gini, ordinario di statistica dell’Università di Padova, coadiuvato da ufficiali, personale avventizio e militari di truppa, e l’ufficio avrebbe dovuto essere disciolto non appena avesse condotto a termine il riepilogo dei dati raccolti (cfr. MINISTERO DELLA GUERRA – Direzione Generale Leva e Truppa – Ufficio del Direttore Generale, N. di prot. 429 R., Roma, lì 12 Febbraio 1920, OGGETTO: Ufficio di Statistica Demografica, ivi). Nel febbraio del 1922, l’Ufficio inoltrava allo Stato maggiore un primo specchio che indicava il numero dei militari morti sul campo e nei luoghi di cura mobilitati, divisi per provincia, precisando che le cifre che si comunicavano relativamente agli anni 1915-1916 potevano essere considerate come definite, «perché risultate da un regolare spoglio e riepilogo di una completa raccolta degli elenchi di morti

compilati dai Sindaci del Regno. Le cifre relative agli anni 1917 e 1918 sono invece da considerarsi come parziali, perché le schede che erano regolarmente diramate dall’Ufficio di Stato Civile di Guerra finché esso rimase alle dipendenze di questa Direzione Generale, non furono più spedite e raccolte sistematicamente dopo che detto ufficio passò alle dipendenze del Ministero per l’assistenza Militare e le Pensioni di Guerra» (cfr. DIREZIONE GENERALE LEVA E TRUPPA – Ufficio di Statistica

Demografica, Roma, lì 16 Febbraio 1922. Carta in copia allegata al foglio MINISTERO DELLA GUERRA = STATO MAGGIORE DEL REGIO ESERCITO – Rep. Ord. E Mob., N. 808, Roma, 8

febbraio 1922, indirizzato a «S.E. IL CONTE ROSSINI – Sottosegretario di Stato per l’Assistenza Militare e per le pensioni di guerra», OGGETTO: Statistica dei morti, dei mutilati, dei decorati e dei combattenti divisi per Provincia, ivi). Nel novembre del 1932, il Gabinetto del ministro della guerra richiese alla

fonti inseriscono tra i caduti anche personale civile e militarizzati impiegati nelle zone di operazioni militari, nonché aliquote di soldati che caddero di fatto prima della dichiarazione di guerra all’Austria-Ungheria, poiché avevano partecipato in qualità di volontari alle prime fasi del conflitto sul fronte occidentale261. Il primo studio che cercò di determinare il numero dei caduti è di Giorgio Mortara262, che nel 1925 licenziò alle stampe uno dei capisaldi della ricerca demografica italiana sulla Grande Guerra. La sua ricostruzione, tuttavia, si sofferma solo parzialmente sull’effettivo numero dei caduti, poiché l’obiettivo dichiarato della ricerca era costituito dal tentativo di esaminare la mortalità generale della guerra e non solo calcolare il numero dei militari che persero la vita in zona di operazioni militari. Ad esso seguì nel 1926 il lavoro di Corrado Gini263, futuro presidente dell’Istat, inserito organicamente in un ambizioso progetto del Ministero della guerra264. Sebbene questi lavori fossero strumentali alla politica del regime, la raccolta dei dati e la metodologia di elaborazione degli stessi erano tuttavia all’avanguardia, così come la statura e la competenza indiscussa degli studiosi che li avevano elaborati. Lo sforzo però più significativo e rilevante si ebbe con l’istituzione dell’Albo d’oro dei caduti della guerra, nel quale dovevano confluire tutti i nominativi dei militari italiani caduti durante il conflitto, per cause belliche o comunque ad esse