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LA TUTELA GIURIDICA DEL CORPO: ASSISTENZIALISMO, PREVIDENZA E LEGISLAZIONE SOCIALE NELLA GRANDE GUERRA

4.1 I primi interventi normativi

La Grande Guerra ebbe una importanza fondamentale come acceleratore dei processi di crescita del ruolo dello Stato nell’interventismo pubblico. La mobilitazione delle forze produttive e l’instaurazione di una economia di guerra imposero alle forze di governo uno sforzo notevole per mantenere saldo il tessuto sociale, mediante la progressiva introduzione di misure di assistenza e di compensazione sociale. Il conflitto rese per molti aspetti imprescindibile il ruolo attivo dello Stato nella risoluzione dei problemi sociali che emergevano, e, in tal senso, è oltremodo significativa la parabola della legislazione in favore delle vittime tout court della prima guerra mondiale511. Nel giugno del 1915 le disposizioni degli articoli 1, 2 e 3 della legge 2 luglio 1896, n. 256, per le pensioni alle famiglie dei presunti morti nella guerra d’Africa, già estese alle famiglie dei presunti morti nella guerra italo-turca con la legge 22 maggio 1913, n. 484, venivano

508 Cfr. Atti Parlamentari, cit., p. 4727. 509 Cfr. ivi, artt. 1-4, p. 4727.

510 Cfr. Legge 21 marzo 1926, n. 559, Dichiarazione di pubblici monumenti dei Viali e dei Parchi della

Rimembranza, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 15 aprile 1926, n. 88, e, in

particolare, Disegni e proposte di legge e incarti delle commissioni (1848-1943), 162. Lupi ″Per

dichiarare pubblici monumenti i Viali e i Parchi della Rimembranza″, 22.11.1924-31.03.1925, vol. 1105,

pp. 26-48, ASCD. Approvato nella seduta del 20 giugno 1925, l’incartamento degli atti della legge contiene solo la relazione e il testo del proponente; la deliberazione degli Uffici; il verbale della Commissione, con annessa la relazione e il testo della Commissione stessa.

511 Per la storia dello stato sociale italiano nel periodo bellico, v. A. CHERUBINI, I. PIVA, Dalla libertà

all’obbligo. La previdenza sociale fra Giolitti e Mussolini, Milano, Franco Angeli, 1988; E. BARTOCCI, Le politiche sociali nell’Italia liberale, 1861 – 1919, Roma, Donzelli, 1999. Sull’attività assistenziale nei

primi mesi del conflitto, v. G. TUJA, U. GIUSTI, L’assistenza civile in Italia nei primi quattordici mesi di

considerate applicabili anche alle famiglie dei presunti morti nella guerra attuale512. La dichiarazione di irreperibilità di cui all’articolo 2 della legge 2 luglio 1896, n. 256, doveva essere redatta non appena trascorsi due mesi dalla scomparsa del militare o dell’assimilato e doveva essere trasmessa a cura della competente autorità al sindaco del comune di ultimo domicilio dello scomparso, per la consegna agli interessati. Era data facoltà al ministro del tesoro di concedere alle vedove ed agli orfani minorenni dei militari e degli appartenenti ai corpi ed ai servizi ausiliari di cui all’art. 5 della legge 23 giugno 1912, n. 667, morti in combattimento od in conseguenza delle ferite riportate, un acconto mensile sulla pensione privilegiata, che si presumeva potesse competere per una durata non superiore a dodici mesi, salvo proroga eccezionale in caso di giustificati motivi riconosciuti dall’amministrazione. Questi acconti non avrebbero potuto eccedere i quattro quinti della pensione presumibilmente dovuta. Le domande per ottenere l’acconto di pensione potevano essere redatte in carta libera e dovevano essere dirette al Ministero del tesoro. La domanda doveva indicare il luogo dove il pagamento doveva effettuarsi e doveva inoltre essere corredata da alcuni documenti: l’atto di morte del militare o dell’assimilato, rilasciato in carta libera dal sindaco, accompagnato dalla originale partecipazione della competente autorità in ordine all’avvenuta morte del militare. Tenevano luogo dell’atto di morte e della partecipazione della competente autorità le dichiarazioni rilasciate dagli incaricati delle funzioni di ufficiale dello stato civile in campagna, ai sensi dell’articolo 398 del codice civile, e le dichiarazioni di irreperibilità, quando si fosse trattato di scomparsi. Occorreva poi produrre, pure esso in carta libera, l’atto di notorietà rilasciato dal sindaco, secondo le risultanze dei registri di stato civile e di anagrafe, per quanto da essi potesse desumersi, e sull’attestazione di tre testimoni, dalla quale si fosse rilevato, in ordine alle vedove, il grado o la qualità rivestiti dal defunto; l’attestazione che la morte del deceduto fosse avvenuta in combattimento, o in conseguenza di ferite riportate sulla zona di guerra, ovvero che la sua scomparsa era stata rilevata dopo un fatto d’armi. Inoltre, doveva rilevarsi che la richiedente fosse la legittima moglie del defunto e se fosse stata pronunciata o meno, contro l’istante e per sua colpa, una sentenza di separazione di corpo e, quando la stessa fosse stata pronunciata, se la sentenza stessa fosse stata resa definitiva. Era altresì fatto obbligo di produrre la dichiarazione dello stato di famiglia lasciata dal defunto, compresi i figli nati da precedente matrimonio513, indicare se la vedova convivesse o meno con i figli;

512 Cfr. MINISTERO DELLA GUERRA – GIORNALE MILITARE UFFICIALE, Dispensa 48^ del 31

luglio 1915, N. 598. – Pensioni – Decreto luogotenenziale n. 1103, riguardante gli scomparsi nella guerra

attuale e gli acconti di pensione privilegiata di guerra. – (Direzione generale personale civili e affari

generali). – 27 giugno 1915, Fondo Ministero della Guerra, Circolari 1915 – 1919, fasc. Ministero, AUSSME. La normativa origina dal Testo Unico del 21 febbraio 1895, n. 70, che istituisce le pensioni ordinarie, civili e militari e dalla legge 23 giugno 1912, n. 667, che istituisce le pensioni privilegiate di guerra per gli ufficiali e i mutilati di truppa del regio esercito e della regia marina.

513 A questo ordine di idee si era ispirato il provvedimento che facilitava la regolarizzazione dei matrimoni

e la legittimazione dei figli dei caduti, al fine di aumentare per tale via il numero di coloro che per forza di legge avevano diritto alla pensione. In questo senso, infatti, si muoveva la revisione circa l’istruzione degli atti di nascita. La dichiarazione di nascita doveva essere fatta in ogni corpo, in ogni frazione di corpo, comando od ufficio, all’ufficiale rispettivamente incaricato della tenuta dei registri dello stato civile. La dichiarazione doveva essere sottoscritta dal dichiarante, da due testimoni e dall’estensore sopra il registro stesso degli atti di nascita. Se la nascita proveniva da una unione legittima, la dichiarazione doveva enunciare il nome e cognome, la professione, e il domicilio del padre e della madre. Diversamente, se la nascita scaturiva da una unione illegittima, la dichiarazione non poteva enunciare che il nome e cognome, la professione e il domicilio del genitore o dei genitori, i quali dovevano espressamente e formalmente dichiarare di essere tali. Quando la dichiarazione era fatta da altre persone, essa non enunciava che il nome

indicare la data di nascita di ogni singola persona e, per ogni figlia, se essa fosse stata nubile o coniugata. Per gli orfani, invece, occorreva che fosse indicato il grado o la qualità rivestiti dal padre; la circostanza della morte o della scomparsa; la dichiarazione dalla quale si fosse desunto che essi erano figli legittimi, o legittimati dal defunto in virtù di un decreto reale e, infine, esibire lo stato di famiglia, con le stesse indicazioni che si richiedevano per le vedove. Al pagamento degli acconti sulle pensioni privilegiate avrebbe provveduto il Ministero del tesoro, per il tramite delle sezioni di regia tesoreria nei capoluoghi di provincia, e degli uffici postali negli altri comuni514. Considerata l’opportunità di disciplinare con delle norme speciali ed uniformi il trattamento pensionistico nei confronti degli impiegati e degli agenti civili dello Stato, dei pensionati civili e dei militari chiamati o trattenuti sotto le armi nell’esercito, nell’armata e nei corpi e nei servizi ausiliari, nonché nei confronti delle rispettive famiglie, nell’agosto del 1915, in forza del conferimento dei poteri straordinari conferiti al Governo durante la guerra, l’Esecutivo in carica varò un provvedimento di legge515, con il quale rivedeva l’assetto del sistema previdenziale previgente516. Agli impiegati civili, agli operai e agli agenti con diritto a pensione a carico del bilancio dello Stato chiamati o trattenuti sotto le armi in tempo di guerra, che per causa di servizio avevano riportato ferite o infermità che li avevano resi permanentemente inabili anche al servizio civile, in luogo della pensione privilegiata militare veniva liquidata, se favorevole, la pensione privilegiata civile, sulla base dello stipendio percepito. La pensione privilegiata civile doveva infatti corrispondere ai quattro quinti della media degli stipendi nei casi di cecità, amputazione o perdita assoluta dell’uso delle mani o dei piedi, e alla metà dello stipendio per le ferite o infermità meno gravi. Alle famiglie dei morti in conseguenza delle ferite o infermità riportate in tempo di guerra per causa di servizio, veniva liquidata, sempre se più favorevole della pensione privilegiata militare, la stessa pensione privilegiata civile. La causa della morte, delle lesioni o delle infermità, la loro gravità e le conseguenze, anche nei riguardi dell’impiego civile, venivano accertate secondo le stesse norme stabilite per i militari517. Per la liquidazione delle pensioni privilegiate alle vedove e agli orfani dei militari di terra e di mare, veniva in ogni caso considerato valido il matrimonio contratto prima dell’entrata in vigore del decreto. Quando le autorità sanitarie militari non potevano pronunciarsi definitivamente sulla gravità delle ferite e delle infermità

e cognome, la professione e il domicilio della madre, se constava per atto autentico che quest’ultima acconsentiva alla dichiarazione. Sul punto, cfr. artt. 28-31, Decreto luogotenenziale n. 109 col quale è

approvata l’istruzione intorno agli atti di morte, agli atti di nascita ed ai testamenti in guerra.

514 Nella fase iniziale del conflitto, il testo non produceva sostanziali novità e richiamava ancora l’intero

corpus normativo previgente: la legge 22 maggio 1915, n. 671 sul conferimento dei poteri straordinari al

Governo in caso di guerra e durante la guerra medesima; il testo unico delle leggi sulle pensioni civili e militari, approvato con R. decreto 21 febbraio 1895, n. 70; il R. decreto 5 settembre 1895, n. 603, per la esecuzione del prefato testo unico, modificato poi con il R. decreto 21 luglio 1911, n. 886; la legge 2 luglio 1896, n. 256, per le pensioni alle famiglie dei presunti morti nella guerra d’Africa; la legge 23 giugno 1912, n. 667, sulle pensioni privilegiate di guerra; il R. decreto 9 agosto 1912, n. 914, convertito nella legge 22 maggio 1913, n. 484, che estendeva alle famiglie dei presunti morti nella guerra italo-turca le disposizioni degli articoli 1, 2 e 3 della legge 2 luglio 1896, n. 256.

515 Cfr. Decreto Luogotenenziale n. 1266 riguardante il trattamento di pensione agli impiegati ed agenti

civili ed ai pensionati civili e militari chiamati alle armi, ed alle loro famiglie, pubblicato nella Gazzetta

Ufficiale del Regno d’Italia del 28 agosto 1915, n. 214.

516 Cfr. Testo unico delle leggi sulle pensioni civili e militari, approvato con R. decreto 21 febbraio 1895,

n. 70; Legge 23 giugno 1912, n. 667.

contemplate nel testo unico518, il militare veniva inviato in congedo, e dalla Corte dei conti gli veniva liquidato un assegno temporaneo corrispondente ai due terzi della pensione di terza categoria, per una durata che veniva determinata in base al parere emesso dalle autorità sanitarie e che, comunque, non poteva essere superiore a una durata complessiva di cinque anni519. Sempre nell’agosto del 1915 il Ministero della guerra520 dispose poi che alle famiglie degli ufficiali prigionieri di guerra o dispersi fosse mensilmente corrisposta dall’amministrazione militare, a titolo di anticipo e fino al ritorno degli ufficiali stessi dalla prigionia o fino all’accertamento della loro morte, ovvero al rilascio della dichiarazione di irreperibilità521, una somma corrispondente alla metà dello stipendio netto, cessando nel contempo di avere effetto le delegazioni di pagamento eventualmente fatte dagli ufficiali medesimi. Per il mese in cui avveniva la prigionia o la dispersione era corrisposta alla famiglia del militare solo la metà della somma corrispondente all’importo dello stipendio per i giorni compresi tra quello della prigionia o della dispersione e la fine del mese. Le disposizioni della circolare erano considerate applicabili anche a favore delle famiglie dei sottufficiali di carriera e dei musicanti. Le somme mensili da corrispondersi da parte dell’amministrazione militare, a titolo di anticipazione, alle famiglie dei sottufficiali di carriera prigionieri o dispersi erano uguali all’importo di 15 giornate di assegno giornaliero, con i relativi aumenti quadriennali e i premi di rafferma. Le somme da corrispondersi invece alle famiglie dei musicanti erano anch’esse disciplinate in eguale misura, compresa la sovrapaga e il premio di rafferma. Se i prigionieri o dispersi fossero stati nella vita civile impiegati, insegnanti o pensionati, alle famiglie d’origine sarebbe spettata la metà dello stipendio complessivo percepito dal soldato. La famiglia si intendeva esclusivamente composta dalla moglie e dai figli legittimi minorenni, escluse le figlie minorenni già sposate. Il Ministero della guerra si riservava il diritto di decidere caso per caso, qualora altri parenti di militari celibi o vedovi senza prole, ammessi a godere la pensione privilegiata in caso di morte del militare, avessero richiesto il trattamento stabilito dalla norma. Per essere ammessi al godimento del beneficio, le mogli dei prigionieri o dispersi dovevano presentare all’amministrazione militare una apposita domanda, corredata del certificato di matrimonio e della copia autentica522 del permesso di matrimonio o della

518 Cfr. Testo unico delle leggi, cit. art. 101.

519 Cfr. Decreto Luogotenenziale n. 1266, cit., artt. 3-4.

520 MINISTERO DELLA GUERRA – GIORNALE MILITARE UFFICIALE, dispensa 57^ del 4

settembre 1915 – N. 675 – Stipendi, Assegni ed Indennità – Decreto luogotenenziale n. 1273, contenente

provvedimenti a favore delle famiglie dei militari prigionieri e dispersi. – (Direzione generale servizi

logistici ed amministrativi). – 22 agosto 1915, Fondo Ministero della Guerra, Circolari 1915 – 1919, fasc.

Ministero, AUSSME.

521 Cfr. art. 2 del decreto luogotenenziale 27 giugno 1915, n. 1103.

522 L’articolo 6 del decreto luogotenenziale 22 agosto 1915, n. 1273 prescriveva che la presentazione dei

documenti a corredo delle domande per ottenere le quote di assegni spettanti alle famiglie dei militari prigionieri e dispersi, non occorreva quando l’amministrazione che doveva eseguire i pagamenti era in possesso dei documenti comprovanti esattamente che i percipienti si trovassero nelle condizioni volute dalla norma. Poiché lo stato di servizio degli ufficiali recava nell’intestazione tutte le indicazioni dello stato civile, e poiché i corpi erano tenuti ad avere nell’anno corrente uno speciale registro delle famiglie e degli ufficiali ammogliati (cfr. art. 152 del Regolamento per le matricole del R. esercito), dove ogni indicazione era inscritta in base agli estratti dello stato civile, i quali, se si trattava di ufficiali, contenevano un cenno del permesso accordato al matrimonio e che, infine, anche gli atti di matrimonio degli ufficiali, che il decreto faceva obbligo di presentare, facevano sempre riferimento al regio assenso concesso, era evidente che quando risultasse dai documenti la esistenza del permesso di matrimonio o della dichiarazione di indulto, non era necessario chiedere la copia autentica di tali documenti; cfr. MINISTERO DELLA GUERRA, GIORNALE MILITARE UFFICIALE, Dispensa 47a, 5 agosto 1916, N.

dichiarazione di indulto accordato al marito, salvo che il matrimonio fosse stato contratto in un tempo in cui lo sposo non fosse stato tenuto a chiedere l’autorizzazione. La domanda doveva essere presentata al consiglio d’amministrazione del corpo cui il militare apparteneva e doveva anche contenere un atto giudiziale di notorietà, o anche un certificato municipale, dal quale si potesse desumere se fosse stata o meno pronunciata contro l’istante e per sua colpa una sentenza di separazione di corpo, quando essa fosse stata pronunciata, se fosse stata resa definitiva e se i coniugi avessero convissuto insieme nell’ultimo periodo anteriore alla partenza del marito per la campagna di guerra. Dall’atto doveva inoltre risultare se la madre avesse o meno convissuto con i figli minorenni. Quest’ultimi, a loro volta, dovevano presentare anche un certificato municipale che indicasse lo stato della famiglia del prigioniero o disperso e che recasse la data di nascita di ogni singola persona e, per ciascuna figlia, se fosse stata nubile o sposata, nonché i certificati di nascita di tutti i minori. Esentate dal pagamento di ogni tassa, le domande potevano essere presentate anche dai familiari dei militari dei corpi di occupazione della Libia e dell’Egeo523.Nello stesso agosto del 1915, riconosciuta

488. – STIPENDI, ASSEGNI ED INDENNITA’. – Assegni dovuti alle famiglie dei militari prigionieri e dispersi in guerra. – (Direzione generale servizi logistici ed amministrativi). – 31 luglio 1916, Fondo Ministero della Guerra, Circolari 1915 – 1919, fasc. Ministero, AUSSME.

523 Alle famiglie dei sottufficiali e dei militari di truppa prigionieri o dispersi continuavano ad essere

corrisposti i sussidi previsti dal R. decreto 13 maggio 1915, n. 620, fino a quando non fosse stata accertata la morte o l’irreperibilità dei militari, attesa la previsione dell’art. 2 del decreto luogotenenziale 27 giugno 1915, n. 1103, o fino a che i sussidi stessi non fossero venuti a cessare sulla base delle norme mediante le quali erano stati concessi. L’articolo 5 del decreto legge 13 maggio 1915, n. 620 (cfr. R. decreto-legge n.

620 riguardante i provvedimenti a favore dei militari trattenuti o richiamati alle armi, pubblicato nella

Gazzetta Ufficiale del Regno del 15 maggio 1920, n. 120 e circolare 350 del Giornale militare 1915) stabiliva infatti un soccorso giornaliero, nei casi di indigenza, dovuto alle mogli e ai figli legittimi, di età inferiore ai 12 anni o anche di età superiore, se inabili al lavoro, quando risultava che i congiunti si fossero trovati in una condizione di bisogno e che, essendo totalmente a carico del militare richiamato, erano rimasti privi dei necessari mezzi di sussistenza. Il soccorso giornaliero era stabilito, ai sensi dell’articolo 6 del provvedimento, in una misura massima di lire 0,70 per la moglie e di lire 0,35 per ogni figlio. Nel settembre poi del 197, il soccorso fu esteso anche agli avi e alle ave, purché vedove, dei militari alle armi, quando: «a) si trovino nelle condizioni di cui all’articolo 5 del R. decreto 13 maggio 1915, numero 620; b)

abbiano superato il 60° anno di età ovvero siano inabili al lavoro; c) non abbiano figli maschi o altri nipoti maschi di età superiore ai 18 anni e che non prestino servizio militare; d) al militare, ovvero i genitori o i fratelli e sorelle di lui» (cfr. Decreto Luogotenenziale n. 1402 col quale la concessione del soccorso giornaliero è estesa anche agli avi e alle ave, purché vedove, dei militari alle armi, e sono stabilite norme speciali per la revisione delle concessioni fatte dalle Commissioni comunali e provinciali,

pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 10 settembre 1917, n. 214). Il prolungarsi della guerra e il maggior disagio che, di conseguenza, tale prolungamento produceva nella popolazione, suggerì il varo di provvidenze ancora più liberali circa il soccorso giornaliero che lo Stato concedeva alle famiglie bisognose dei militari alle armi. Per tali ragioni il Ministero per l’assistenza militare e le pensioni di guerra decise nel maggio 1918 di estendere il soccorso giornaliero anche alle famiglie illegittime, sempreché concorressero tutte le altre condizioni volute dalle disposizioni di legge, lasciando «alla oculata e serena

avvedutezza degli organi competenti, l’esame e la deliberazione sui casi singoli di questa delicata materia». Le Commissioni comunali e provinciali chiamate a delibere avrebbero pertanto dovuto formarsi

la «convinzione se il militare alle armi consideri la sua famiglia illegale, agli effetti affettivi e di vita

materiale, come la sua vera e propria famiglia legale, sentendone i relativi doveri e diritti: nel qual caso soltanto si faccia luogo alla concessione del soccorso». Altra categoria di soggetti meritevoli di attenta

considerazione era inoltre quella dei trovatelli alle armi, che, nell’assoluta maggioranza dei casi, appartenevano alla classe dei contadini. Per tale ragione il Ministero determinò che anche alle persone che avevano avuto cura dei trovatelli spettasse il godimento del soccorso giornaliero, sia che l’allevato si fosse trovato alle armi, sia invece che si fosse trovato al fronte colui che aveva in cura il trovatello rimasto a casa. In questo caso, il militare veniva considerato, a tale effetto, come un genitore alle armi e il trovatello come un di lui figlio. Cfr. MINISTERO DELLA DIFESA – GIORNALE MILITARE UFFICIALE,

l’opportunità di semplificare la produzione della documentazione da allegare alle domande per gli acconti di pensione privilegiata e, soprattutto, per rendere più agevole e sollecito alle vedove e agli orfani il conseguimento degli acconti stessi, il Ministero della guerra524 stabilì che le originali partecipazioni della morte di militari o assimilati, rilasciati dalle competenti autorità o le copie autentiche di esse, potevano tener luogo dell’atto di morte previsto dall’articolo 4 del decreto 27 giugno 1915, n. 1103, nei casi in cui l’atto di morte non era stato ancora trascritto nei registri dello stato civile del comune di ultimo domicilio del defunto. Negli atti di notorietà potevano inoltre essere omesse, tanto per le vedove quanto per gli orfani, le indicazioni riguardanti il grado o la qualità rivestiti dal defunto e la circostanza della morte o della sua scomparsa. Gli atti stessi, per quanto riguardava lo stato e l’età elle persone e i rapporti di famiglia, dovevano sempre contenere l’esplicita dichiarazione dell’autorità municipale circa il fatto che essi fossero