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Servizi amministrativi, spirituali e di culto: i Cappellani militar

CAPITOLO II. AMMINISTRARE IL FRONTE: LA DISCIPLINA SANITARIA E MORTUARIA NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

2.4 Servizi amministrativi, spirituali e di culto: i Cappellani militar

All’inizio del conflitto, secondo la volontà espressa dal generale Cadorna189, i cappellani militari vennero reintrodotti nel Regio esercito190 e assegnati ai rispettivi reggimenti in

Bologna 1916; G. FANCIULLI, L’Ufficio per le notizie alle famiglie dei militari, in ″Nuova antologia″, Roma 1916; A. SORBELLI, Accanto alla guerra. L’Ufficio notizie, in ″La lettura″, anno XVI, n. 1, 1 gennaio 1916, pp. 63-69; S. PETRI, La missione dell’ ″Ufficio per le notizie alle famiglie dei militari″, in ″Rassegna nazionale″, Firenze, 16 novembre 1916; M. SANDRI, Un superstite della guerra. L’Ufficio

Centrale Notizie, in ″Il Comune di Bologna″, 1929, giugno, p. 60.

188 Cfr. Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXIV –, Vol. (XV), 1a Sessione – Discussioni

– Tornata del 12 Febbraio 1918, p. 15572.

189 Sulle vicende militari che caratterizzarono l’Italia nel periodo in cui Cadorna fu alla guida del Regio

Esercito v. amplius P. NEGLIE, A. UNGARI, La guerra di Cadorna 1915 – 1917. Atti del Convegno Trieste – Gorizia, 2 – 4 novembre 2016, Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, Roma 2018.

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Nell’esercito del Regno di Sardegna già esisteva un corpo di cappellani militari, conosciuti tuttavia con il nome di elemosinieri. Dopo la campagna del 1866 fu decisa la soppressione del corpo, a causa dei contrasti tra esponenti del neonato Parlamento nazionale e la Chiesa cattolica, al punto da indurre le gerarchie politiche e militari a ritenere che la presenza dei preti-soldati nel Regio esercito potesse avere un’influenza negativa tra le truppe. Fece eccezione soltanto la Regia marina, che conservò un plotone di elemosinieri solo fino alla fine del 1878. Durante la campagna libica, l’assistenza religiosa al fronte venne svolta dai Padri cappuccini mobilitati dalla Croce Rossa e da quei sacerdoti in servizio come soldati o graduati presso gli ospedali da campo. Sul punto, v. amplius R. MOROZZO DELLA ROCCA, La fede e

la guerra. Cappellani militari e preti-soldato (1915-1919), Edizioni Studium, Roma 1980; M:

FRANZINELLI, Il riarmo dello spirito. I cappellani militari nella seconda guerra mondiale, Pagus, Treviso 1991, pp. 11-14; L. BRUTI LIBERATI, Il clero italiano nella Grande Guerra, Editori Riuniti, Roma 1982. Sui cappellani militari , la religione di guerra e la spiritualità al fronte, Cfr. La consacrazione

dei soldati al Sacro Cuore, in «Il Prete al campo», n. II, 15 gennaio 1917; F. FONTANA, Croce ed armi. L’assistenza spirituale alle forze armate italiane in pace e in guerra. 1915-1955, Marietti,

Torino 1957, p. 44; A. ZAMBARBIERI, Per la storia della devozione al Sacro Cuore in Italia tra ‘800 e

‘900, «Rivista di Storia della Chiesa in Italia», 41-1987, pp. 361- 432; F. DE GIORGI, Forme spirituali, forme simboliche, forme politiche. La devozione al Sacro Cuore, «Rivista di Storia della Chiesa in Italia»,

numero di una unità, mentre per i reparti alpini uno per battaglione, stante le maggiori difficoltà di movimento in montagna durante le operazioni militari191. I cappellani militari erano assoggettati alla disciplina militare e facevano riferimento al Vescovo di campo192, che si rapportava direttamente con i più alti organi di comando, l’Intendenza

48-1994, pp. 365-459; G. ROCHAT (a cura di), La spada e la croce. I cappellani italiani nelle due guerre

mondiali, «Bollettino della Società di Studi Valdesi», n. 176, Torre Pellice 1995, p. 47; D. MENOZZI, Sacro Cuore. Un culto tra devozione interiore e restaurazione cristiana della società, Viella, Roma 2001.

191 Per l’identificazione dei cappellani militari il Ministero della guerra dispose che la loro uniforme

principale dovesse restare l’abito talare dell’ordine al quale essi appartenevano, implementata con le stellette a cinque punte poste sul bavero, controspalline nere con rosette a otto punte e sul braccio sinistro il bracciale internazionale, una croce rossa su fondo bianco, in base alla Convenzione Internazionale di Ginevra. Il cappello era quello pastorale proprio dei sacerdoti, che aveva però due giri di cordone grigioverde intorno alla cupola, con i galloni in argento del distintivo di grado. Sul davanti del cappello andava posto il fregio dell’arma e del corpo, qualora questi vi prestassero servizio. Di lì a poco ci si rese conto degli incomodi che tale abito presentava nelle operazioni sul fronte di guerra e fu stabilito di adottare una divisa che doveva essere indossata dai cappellani militari in servizio a ridosso delle linee avanzate. Di colore grigioverde, lo stesso dell’uniforme degli ufficiali, con i gradi sulle maniche, essa aveva cucita sul lato sinistro del petto una croce rossa. La completavano le stellette a cinque punte sul bavero, il collare ecclesiastico e un crocefisso appeso a un cordone, sempre di colore grigioverde, portato al collo e che in genere trovava posto nel taschino di destra. In testa, il berretto con i galloni e, al braccio, sempre calzato il bracciale internazionale. Sulla corrispondenza dei gradi, la scala gerarchica, i compiti e le uniformi dei cappellani militari cfr. MINISTERO DELLA GUERRA, Segretariato Generale, Divisione di stato maggiore, Circolare n. 22950, 8 novembre 1915, Servizio spirituale presso l’esercito d’operazioni

e gli stabilimenti di riserva per la durata della guerra, Fondo Ministero della Guerra, Circolari 1915- 1919, fasc. Ministero, AUSSME

192 Nel giugno del 1915 fu istituita la carica di Vescovo di campo. Il Vescovo di campo avrebbe avuto

l’alta direzione del servizio spirituale nel R. esercito e nella R. marina e l’autorità disciplinare ecclesiastica su tutti i cappellani militari di terra e di mare. Il Vescovo di campo, previo accordo con le autorità militari, avrebbe nominato tre vicari, uno dei quali al servizio dell’armata, che lo rappresentavano in località lontane dalla sua sede e provvedeva in suo nome alla risoluzione dei casi urgenti. Aveva inoltre a sua disposizione un sacerdote quale coadiutore. Limitatamente al tempo di guerra, veniva fissata nel modo seguente l’assimilazione a grado militare del personale incaricato della assistenza spirituale presso l’esercito e presso l’armata: il Vescovo di campo a maggiore generale; il Vicario a maggiore; i Cappellani capi dell’armata e il coadiutore a capitano; il Cappellano a tenente (cfr. MINISTERO DELLA GUERRA – Giornale Militare Ufficiale, dispensa 42^ del 3 luglio 1915 – n. 506. – Disposizioni varie. – Disciplina Militare. – Decreto luogotenenziale che istituisce la carica di vescovo di campo e stabilisce

l’assimilazione a grado militare, limitatamente al tempo di guerra, del personale incaricato dell’assistenza spirituale presso l’esercito e presso l’armata. – (Segretariato generale – Divisione stato

maggiore). – 27 giugno 1915, Fondo Ministero della Guerra, Circolari 1915 – 1919, fasc. Ministero, AUSSME). Il provvedimento richiamava la facoltà conferita al Governo del Re dalla legge 22 maggio 1915, n. 671 e il regolamento di servizio in guerra, approvato con R. decreto del 10 marzo 1912. Lo stesso provvedimento fu in realtà reiterato, nella forma e nella sostanza, nel Giornale Militare Ufficiale, dispensa 48^ del 31 luglio 1915, per ragioni esclusivamente tecnico-formali, dacché ci si accorse che il precedente decreto risultava manchevole dell’indicazione numerica che avrebbe dovuto contraddistinguerlo. Si ovviò alla lacuna formale, mediante la riproposizione del medesimo testo con la emanazione e pubblicazione della circolare n. 587 – Mobilitazione e formazione di guerra – Decreto luogotenenziale n. 1022, che

istituisce la carica di vescovo di campo e fissa, limitatamente al tempo di guerra, l’assimilazione a grado militare del personale incaricato dell’assistenza spirituale per l’esercito e per l’armata. – (Segretariato

generale – Divisione stato maggiore). – 27 giugno 1915, ivi). Nel successivo mese di luglio, in virtù del decreto istitutivo della carica, si diede luogo alle nomine: Monsignore Angelo Bartolomasi venne nominato Vescovo di campo; Monsignore Rodolfo Ragnini vicario per l’armata; Monsignore Michele Cerrati e Monsignore Carlo Maritano vicari per l’esercito, mentre il Sacerdote don Alberto Bartolomasi veniva nominato coadiutore del Vescovo di campo (Cfr. MINISTERO DELLA GUERRA – Giornale Militare Ufficiale, dispensa 52^ del 14 agosto 1915 – Circolare n. 630 – Mobilitazione e Formazione di guerra – Decreto luogotenenziale col quale vengono nominati il vescovo di campo, i vicari per l’esercito e

generale e il ministro della guerra. Fervente cattolico, il generale Luigi Cadorna, forse anche influenzato dal ricordo della decisa posizione assunta da La Marmora, con una circolare del 12 aprile 1915 ripristinò l’assistenza religiosa nel Regio esercito, prevedendo la presenza di cappellani militari anche negli ospedali, negli ospedaletti da campo, nelle sezioni di sanità, nei treni ospedalieri e negli ospedali territoriali e di riserva193. Con l’emanazione della circolare il Comando Supremo intendeva favorire

18 luglio 1915, ivi). In considerazione delle norme relative al passaggio dallo stato di guerra allo stato di pace (v. R. decreto 30 settembre 1920, n. 1389), ebbe a cessare la carica di Vescovo di Campo, che fissava, limitatamente al tempo di guerra, l’assimilazione al grado militare del personale incaricato dell’assistenza spirituale per l’Esercito e per l’armata (cfr. decreto luogotenenziale 27 giugno 1915, n. 1022, cit.). Al Vescovo di Campo, S.E. Angelo Bartolomasi, venne conferito il titolo di Vescovo di Campo onorario. Fu tuttavia stabilito che dovesse rimanere in servizio temporaneo presso il Regio Esercito e la Regia Marina, fino al 30 giugno 1923, un nucleo di cappellani militari, il cui numero complessivo non doveva essere superiore alle 50 unità. Essi avrebbero dovuto essere adibiti al servizio della cura e delle onoranze ai caduti in guerra e ad altri servizi transitori dipendenti dalla guerra stessa (cfr. MINISTERO DELLA GUERRA – GIORNALE MILITARE UFFICIALE, Dispensa 58a, 15 Dicembre

1922, Circolare N. 570. – DISPOSIZIONI VARIE. – R. decreto n. 1552, relativo alla cessazione della

carica di Vescovo di Campo ed al temporaneo mantenimento in servizio di un nucleo di cappellani militari. – (Direzione centrale del servizio sanitario militare) – 29 ottobre 1922. – (Gazzetta ufficiale n.

286, del 7 dicembre 1922), Fondo Ministero della Guerra, Circolari 1920 – 1923, fasc. Carteggio vario, AUSSME). Nel novembre del 1923, la facoltà concessa dall’articolo 2 del decreto Reale 29 ottobre 1922, n. 1552, per il temporaneo mantenimento in servizio presso il R. Esercito di cappellani militari, fu prorogato fino a non oltre il 30 giugno del 1924, limitatamente ad un numero di cappellani non superiore a 25 (cfr. MINISTERO DELLA GUERRA – GIORNALE MILITARE UFFICIALE, Dispensa 52a, 16

Novembre 1923, N. 647. – DISPOSIZIONI VARIE. – R. decreto n. 2307, relativo al temporaneo

mantenimento in servizio, presso il R. Esercito, di cappellani militari. – (Direzione centrale del servizio

sanitario militare). – 24 settembre 1923. – (Gazzetta ufficiale n. 265, del 12 novembre 1923, Fondo

Ministero della Guerra, Circolari 1920 – 1923, fasc. Carteggio vario, AUSSME).

193 La presenza dei cappellani militari nell’armata costituì in effetti un problema già negli eserciti

preunitari. Le posizioni contrastanti degli esponenti politici ne determinarono il graduale allontanamento, fino alla soppressione definitiva intervenuta nel 1867, all’indomani della nascita dello Stato unitario. In tal senso, per meglio comprendere l’acceso confronto politico che la questione aveva assunto in ambito parlamentare, appare utile riportare alcune posizioni espresse nella tornata del 23 maggio 1851, nel corso della discussione del bilancio passivo del Ministero della guerra. Il deputato Mellana, nella sua mozione relativa ai cappellani militari, ebbe infatti così a pronunciarsi: ″Intendo parlare di coloro i quali credono

che una riforma in merito ai cappellani possa portare nuovi, oltre ai tanti dissidi che già abbiamo colla Corte Romana.[…] No, o signori, non temete, per la soppressione dei cappellani nell’esercito, di avere dissidi col vescovo di Roma: esso non può condannarvi, in ciò che imitate dall’armata francese: l’armata francese non ha cappellani, pure Pio IX vi dirà che quell’armata è cattolica ed apostolica per eccellenza; infatti, invece d’un remo, ha rimesso nelle sue mani uno scettro da despota (Movimenti in senso opposto). Dimandate ad esso del nostro esercito che conta più di 60 cappellani, e vi dirà che esso è semieretico:come può essere diversamente? Il soldato è parte della nazione: per la Corte romana non siamo forse considerati eretici? (Ilarità). Dopo questa premessa, venendo alla questione, io sostengo che pel principio di libertà di coscienza proclamato, che nell’interesse vero della religione non si possono, come sono attualmente, conservare i cappellani nei singoli corpi dell’esercito; dico di più che è molto difficile la posizione dei cappellani stessi″. Mellana inoltre aggiungeva che la presenza dei cappellani

rappresentava un danno per le casse erariali, poiché a differenza di un qualsiasi altro impiegato che aveva diritto alla giubilazione dopo 40 anni di servizio, al cappellano era invece riconosciuta dopo solo 28 anni di esercizio spirituale. La posizione di Mellana fu duramente contrastata da La Marmora, allora ministro della guerra, il quale, anche attraverso la rievocazione di una esperienza personale maturata in un campo vicino a Lione nel 1843 e in Algeria nel 1844, ebbe infatti così a replicare: ″Io credo di conoscere i

sentimenti religiosi della popolazione e dei soldati, almeno al pari del deputato Mellana; ora io posso assicurarlo, che farebbe un senso spiacevolissimo al paese e nei reggimenti stessi se i cappellani venissero aboliti. In tempo di pace i cappellani non servono soltanto per celebrare la messa, come ha accennato il deputato Mellana in un modo, mi sia concesso il dirlo, poco conveniente. Essi compiono inoltre al pietoso ufficio di visitare gli ospedali e di assistere agli ammalati; essi danno opera, chi

l’attività dei cappellani militari, perché ritenuti idonei a infondere il senso di coesione morale e lo spirito di disciplina presso le truppe, attraverso il richiamo costante al sentimento religioso e ai precetti della religione cristiana, sebbene tra le fila dei cappellani militassero anche ministri del culto della Chiesa Evangelica Valdese, della Chiesa Battista e della confessione ebraica. Secondo le indicazioni di mons. Angelo Bartolomasi, scelto dal pontefice Benedetto XV194, essi dovevano adoperarsi nel loro apostolato per le più diverse necessità del soldato al fronte e dei reparti dove prestavano servizio e, in tal senso, erano assoggettati sia alla legislazione ecclesiastica che alla disciplina militare. Sotto il profilo religioso e amministrativo tuttavia, erano loro riconosciute talune prerogative, e, in particolare, la facoltà di concedere l’assoluzione di massa, la possibilità di effettuare la compilazione degli atti di matrimonio per procura, l’autorizzazione da parte delle autorità militari ad apporre sulla tabellina diagnostica dei feriti una delle tre lettere, o.,c., p., corrispondenti rispettivamente ad olio santo, comunione e penitenza, nonché ad impartire l’indulgenza plenaria a quegli ammalati e a quei feriti gravi che si fossero trovati in punto di morte. Il numero ufficiale di cappellani militari nominati durante la guerra fu di 2.400 unità, mentre il numero complessivo dei religiosi presenti nel Regio esercito oscilla tra questa cifra e i 2.748. Di costoro, 1350 furono presenti al fronte, 742 negli ospedali territoriali, 18 negli ospedali di riserva, 591 aiuto cappellani negli ospedali territoriali e 37 nella Regia marina195. Considerato che i

volontariamente, chi in seguito ad un mio eccitamento, all’istruzione nei reggimenti, non solo dei ragazzi, ma altresì degli adulti; essi infine rivolgono le loro cure a comporre le discordie tra le famiglie dei militari. In tempo di guerra poi, chi potrà negare che i soldati vedano molto di buon occhio i cappellani accompagnare i reggimenti? Chi di noi, che abbia fatte le scorse campagne, non ha visto il fervore, lo zelo dei cappellani presso i feriti? Quanti di noi hanno potuto scorgere con qual piacere i soldati, prima di morire, amassero di ricevere gli ultimi conforti della religione dai cappellani dei reggimenti? Io mi appello a tutti coloro che hanno fatto le nostre campagne, onde dicano se la condotta dei cappellani durante la guerra non sia stata esemplare e degna di encomio″. Sul punto, cfr. Atti del Parlamento Subalpino – Discussioni della Camera dei Deputati, IV Legislatura – Sessione 1851 (23/11/1850-

27/02/1852), Volume (V) 3A delle discussioni della camera dei deputati dal 22/03/1851 al 19/05/1851, Firenze, Tipografia Eredi Botta 1866, pp. 2338-2359, ASCD.

194 «Inutile strage» ebbe il pontefice a definire la guerra il 1° agosto del 1917, nella lettera Dès le début,

indirizzata ai Capi dei popoli belligeranti (sul punto, cfr. VIII. Adhortatio ad populorum bellioerantium

moderatores. Dès le début. Quarto ineunte bellorum anno, nova Pontificis Summi ad Moderatores populorum belligerantium adhortatio, qua certe quaedam considerationis suggerentur, componendis discidiis et paci, in Acta Apostolicae Sedis, Commentarium officiale, Annus IX – Yol. IX Die 1

Septembris 1917 Num. 9), ma già nella sua prima enciclica Ad Beatissimi Apostolorum del 1° novembre 1914, egli si chiedeva come si potesse restare indifferenti e «non sentirsi straziare il cuore» di fronte allo spettacolo terribile che l’Europa presentava, e con essa tutto il mondo, «spettacolo il più tetro forse e il più

luttuoso nella storia dei tempi»; cfr. Enchiridion delle Encicliche, Bologna 1999, vol. 4°, p. 467, n. 372.

195 Sebbene il codice di diritto canonico del 1917 contemplasse la presenza dei cappellani militari al

canone 451 § 3 (″Circa militum cappellanos sive maiores sive minores, standum peculiaribus Sanctae

Sedis praescriptis″), con il Regio Decreto n. 1522 del 29 ottobre 1922 il servizio d’assistenza spirituale

venne di nuovo soppresso, fatta eccezione per quello svolto per la raccolta delle salme dei caduti e per la sistemazione dei cimiteri di guerra. Rimasero in servizio alcuni cappellani per la Marina, grazie ai quali continuò a sussistere l’istituzione, sino alla costituzione dell’Ordinariato militare, eretto dalla Sacra Congregazione Concistoriale il 6 marzo 1925 e approvato dallo Stato italiano con la legge 417 dell’11 marzo 1926 (Gazzetta Ufficiale del Regno del 16 marzo 1926, n. 62), cui seguì il Regio Decreto 9 agosto 1926, n. 1493 (Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia dell’8 settembre 1926, n. 209) che dettava le norme per l’applicazione della legge stessa, istituendo un ruolo unico di cappellani militari per il servizio

religioso nel Regio esercito, nella Regia marina e nella Regia aeronautica. Il Concordato Lateranense nel

1929 e la successiva legge n. 77 del 16 gennaio 1936 ne ribadirono il riconoscimento e, con il regolamento d’esecuzione contenuto nel Regio Decreto n. 474 del 5 marzo 1936 - XIV (Gazzetta Ufficiale del Regno del 1 aprile 1936 – Anno XIV, n. 76), si delinearono meglio i compiti dei cappellani chiamati ad assicurare

mobilitati per le esigenze belliche furono complessivamente 5.615.000, di fatto il numero dei cappellani militari risultò inadeguato per il buon andamento del servizio, atteso che la consistenza organica media di un reggimento si attestava intorno ai 3.000 soldati, per i quali essi «trasmettono quotidianamente le schedine prescritte a Bologna degli entrati, morti ed usciti guariti non che di quelli traslocati in manicomio od altri stabilimenti sanitari per cure speciali»196. In attesa dei decreti governativi, i Distretti e le Direzioni di sanità avevano provveduto ad arruolare 700 cappellani, riconosciuti prima idonei al servizio dalla Curia castrense. Legittimato così ad operare, l’Ordinario Castrense nel dicembre del 1915 così si espresse nei confronti dei cappellani militari, dei sacerdoti e dei chierici secolari e regolari del Regio esercito: «A voi, che alla missione di Apostoli di Gesù Cristo accoppiate la sorte altamente meritoria di soldati della patria[…] l’augurio sincero che tra le fatiche del servizio militare non vi manchi il coraggio del dovere, tanto più nobile quanto esso è arduo; tra i dolori dei feriti ed infermi vi accompagni la carità dolce e generosa; tra le battaglie vi spronino quegli apostolici ardimenti, che infondono nei soldati lo spirito del sacrificio e lo slancio vigoroso[…] Vi raccomando di celebrare divotamente la S. Messa colla possibile osservanza delle prescrizioni liturgiche, compensando coll’intimo fervore le necessarie manchevolezze e la povertà degli altari; e di recitare, sempre che ne avrete tempo e modo, il Divino officio od altre preghiere: veggano ufficiali e soldati che voi siete uomini di preghiere. Ricordatevi che siete e dovete apparire forma gregis»197. Al momento della smobilitazione, monsignor Bartolomasi inviò una lettera di ringraziamento e di saluto a tutti i militari, ai cappellani militari, agli aiuto-cappellani e ai preti-soldato nella quale, nel ringraziarli per l’opera svolta, sollecitava loro l’inoltro di una relazione conclusiva sull’operato durante il servizio di guerra e, per facilitarne la compilazione, negli avvertimenti postscritti alla lettera, ne suggeriva anche lo schema: descrizione dell’azione religiosa svolta, con la celebrazione della S. Messa, delle funzioni quotidiane, periodiche e straordinarie connesse alla predicazione, all’amministrazione dei Sacramenti, al Precetto Pasquale, all’erezione di cappelle, al culto dei morti, ai suffragi e all’assistenza in trincea; l’azione morale, riferita all’attività svolta per l’ufficio notizie, alle conferenze morali e patriottiche, alla lotta contro la bestemmia e il turpiloquio, alla distribuzione dei doni, alle visite ai soldati in trincea e alle diverse iniziative assistenziali che erano legate alla istituzione della Casa del soldato; infine, i risultati conseguiti nella frequenza alla pratica religiosa, nella condotta morale, negli episodi della fede e nei sentimenti di amore verso la patria. Molte di queste relazioni pastorali andarono perdute lungo la direttrice Treviso-Bologna-Roma, le sedi dei tre uffici del Vescovo Castrense nel periodo bellico. Non è poi peregrino ipotizzare che molti cappellani, già ormai smobilitati, non abbiano mai ricevuto la lettera di saluto del Vescovo Castrense o che, ancora, altri abbiano invece perduto le proprie annotazioni e diari pastorali a causa della precipitosa ritirata di Caporetto e che, privi delle coordinate temporali di riferimento fornite dal documento, non siano stati poi più in grado di formulare il proprio resoconto e stenderlo secondo lo schema suggerito