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3.2. Metodologia utilizzata

3.2.1. La ricerca-azione

La ricerca-azione, prevede una situazione che si caratterizza per la presenza di un insieme di persone che si costituiscono come gruppo e, elemento più qualificante, che formano un gruppo per incidere sui processi culturali e sociali. [Trombetta 2000, p. 10].

115 La metodologia della ricerca-azione ha origine dalle teorizzazioni dello psicologo gestaltista64

Kurt Lewin. Nato nel 1890 in Prussia, negli anni ’20 dello scorso secolo definì il concetto di “campo psicologico”, grazie al quale il soggetto non è più considerato come il centro di tutta la propria realtà, ma bensì inserito all’interno di una serie di forze che sono al tempo stesso [Trombetta 2000, pp.60- 61]:

- orientate: funzionano cioè come vettori in grado di influenzare e dirigere i comportamenti degli individui;

- dotate di valenza: determinano la capacità che ha un obiettivo di fare avviare un’azione.

Pertanto tutti i processi psicologici che inducono un individuo a compiere un’azione o a fare determinate scelte nascono dalle interazioni tra l’individuo stesso e la situazione in cui egli si trova ad agire.

Generalmente nessun individuo vive isolato, per cui se il contesto assume un ruolo centrale nel determinare scelte e azioni, per comprenderle sarà necessario porre una particolare attenzione anche alle dinamiche di gruppo.

Ogni individuo agisce con l’ambiente e nell’ ambiente che lo circonda e si trova inserito all’interno di gruppi in cui ha rapporti e si confronta continuamente con altri individui, i quali sono in grado di modificare i suoi atteggiamenti e modi di pensare. E’ opportuno quindi studiare anche l’aspetto sociale del comportamento: alcune modalità comportamentali emergono negli individui solo in qualità di membri di un gruppo e non come singoli; in altre parole, all’interno delle relazioni sociali, i fenomeni psicologici diventano spiegabili solo attraverso

64 La scuola psicologica della Gestalt nasce intorno al 1912 e si occupa prevalentemente dei

processi percettivi e cognitivi, approfondendo in particolar modo gli studi sulla percezione (leggi dell’organizzazione percettiva), sul pensiero (problem solving, insight e pensiero produttivo) e sulla dinamica di gruppo (studi di Lewin). Per questa scuola la totalità detiene la supremazia sopra le parti che la compongono; questa totalità viene vista come una struttura in grado di organizzarsi autonomamente grazie a forze di tipo vettoriali (come accade in un campo magnetico). [Anolli, Darley, Glucksberg, Kinchla 1998, pp. 19-20].

116 le connessioni al contesto. Questi particolari aspetti non possono quindi essere considerati adeguatamente quando le ricerche si svolgono in laboratorio o in situazioni comunque artificiali.

Le caratteristiche particolari dei contesti umani sono fortemente determinanti quando si vuole fare ricerca in ambito educativo. Per sua natura, infatti, ogni intervento formativo risulta essere unico e irripetibile, e molto spesso può generare effetti osservabili solo nel lungo periodo [Lucisano & Salerno 2002, p. 41].

Ogni volta che un ricercatore si pone in condizione di avviare una ricerca relativamente a un dato problema, deve per prima cosa riflettere sugli aspetti metodologici che utilizzerà nella ricerca stessa: questo aspetto è di fondamentale importanza, in quanto in base alle scelte prese si determineranno gli strumenti da utilizzare e la dimensione della realtà da osservare.

Quando possibile è meglio utilizzare una molteplicità di approcci, che contribuiscano a un comune metodo scientifico di conoscenza e soluzione di problemi reali.

In ambito educativo la ricerca-azione può rivelarsi molto utile, dal momento che si pone come indagine riflessiva orientata all’azione e al cambiamento. Si tratta di un tipo di indagine sulle azioni avviate, per risolvere e migliorare situazioni problematiche; si avvale di un modo collaborativo di fare ricerca e prevede l’utilizzo di una molteplicità di strumenti.

La denominazione di ricerca-azione, che unisce i due termini di “ricerca” e di “azione” sta a sottolineare la complementarità e l’indissolubilità di entrambi gli aspetti: significa che per un processo di ricerca-azione efficace è necessario che siano presenti entrambe le istanze della ricerca e dell’azione:

[…] la ricerca, per essere autenticamente tale, postula una fase di sospensione dell’azione e di distanziamento dalle urgenze pratiche, per attivare deweyanamente un momento di “pensiero riflessivo” […] se le urgenze della problematica da affrontare richiedono che si passi

117 immediatamente all’azione, senza una preliminare riflessione, allora non si ha r-a, ma pura azione educativa. In questo senso non ci debbono essere malintesi: la r-a implica l’azione, ma non ogni azione educativa è definibile come r-a. [Baldacci 2001 p 141]

Molto spesso la comunità scientifica ancora si pone dei dubbi sull’attendibilità e trasparenza dei risultati ottenibili attraverso questa metodologia di ricerca.

Un’utile riflessione in merito a tale criticità viene fornito da Baldacci, quando suggerisce di assumere il principio della complementarità tra il punto di vista di un osservatore interno e quello di un osservatore esterno:

[…] qualsiasi descrizione di un certo sistema è operata a partire dalla determinazione di un metadominio descrittivo, di un punto di vista che consente all’osservatore di distinguere tale sistema come un’unità e di descriverne le relazioni. Pertanto, è la prospettiva dell’osservatore rispetto al sistema che fonda un dominio descrittivo […] la diversità di atteggiamento epistemico (distanza/coinvolgimento) tra ricerca sperimentale e r-a può essere concettualizzata come diversità di posizione dell’osservatore rispetto al sistema studiato. […] Volendo esprimerci in termini schematici e un po’ forzati, si potrebbe dire che per l’osservatore esterno il sistema è un “oggetto epistemico” da conoscere e analizzare, mentre per l’attore interno il sistema è una “esperienza vissuta” da perseverare o trasformare […] si deve sottolineare che si tratta di punti di vista complementari e vicarianti; né l’uno né l’altro forniscono una visione privilegiata del sistema. Perciò, una posizione epistemologicamente più avanzata non consiste nell’adottarne uno a scapito dell’altro, ma nell’assumere il principio della loro complementarità e quindi l’esigenza del loro coordinamento e della loro costruttiva interazione. [Baldacci 2001, p. 144].

Risulta evidente che per molti aspetti la ricerca-azione è particolarmente indicata quando ci si muove all’interno di contesti educativi, ad ogni modo proprio per la complessità della situazione in cui tale ricerca si svolge, è

118 necessario considerare alcuni degli aspetti peculiari che ne possono influenzare la buona riuscita o meno:

 non è possibile definire a priori modalità e strumenti d’azione, che andranno quindi determinati in base alle caratteristiche dei partecipanti;

 per attuare un percorso efficace di ricerca-azione è necessario monitorare e considerare costantemente tutte le azioni svolte;

 gli assunti e i princìpi che guidano la pratica educativa vengono costantemente esplicitati e messi in discussione: questo aspetto, se da una parte può essere utile allo sviluppo di una riflessione consapevole, dall’altra può scatenare atteggiamenti difensivi che devono essere prontamente gestiti;

 l’opportunità di svolgere la ricerca in gruppo e non da soli, consente di sfruttare il vantaggio derivante dal confronto con gli altri;

 il tempo necessario per svolgere una ricerca-azione è sicuramente maggiore di quello previsto da una ricerca quantitativa. [Lucisano & Salerno 2002, pp. 97- 98]

Il principale strumento di indagine di cui ci si avvale nel corso di una ricerca- azione è l’osservazione. A seconda del contesto e delle finalità della ricerca che si sta volgendo, questa può essere condotta secondo diverse modalità, l’elenco che segue vuole indicarne alcune differenti caratteristiche: [ibidem, pp. 176-177]  Osservazione partecipante: di derivazione antropologica, prevede la piena

partecipazione dell’osservatore alle attività del gruppo studiato;

 Osservazione spontanea e occasionale: in cui ogni soggetto può raccogliere informazioni in una data situazione, ovviamente la soggettività e la parziale definizione di questa modalità rischia di renderla poco rilevante in termini scientifici;

 Osservazione sistematica: si esamina un delimitato campo di fenomeni alla luce di schemi di riferimento predefiniti che aiutano l’osservatore a codificare e registrare le informazioni registrate; il rischio è di non considerare

119 adeguatamente alcune variabili che condizionano in maniera importante il contesto studiato;

 Osservazione naturalista: uno o più osservatori rilevano gli avvenimenti cercando di non influire in alcun modo sui comportamenti dei soggetti osservati, questo tipo di azione è particolarmente critica, in quanto il ricercatore non dovrebbe fare avvertire la propria presenza per non alterare il contesto osservato, ma risulta evidente che tale condizione è difficile da realizzare, perché nei contesti umani non è possibile isolare variabili e comportamenti;

 Osservazione diretta: l’oggetto di osservazione sono i processi attivati dai soggetti in determinate situazioni;

 Osservazione indiretta: l’oggetto di studio sono i prodotti, cioè i comportamenti attivati in seguito a una determinata situazione.

Quando si opera all’interno del contesto studiato, si ritiene che sia probabile il rischio di alterare in parte i dati raccolti attraverso l’osservazione. Il ricercatore deve dunque essere consapevole delle circostanze che definiscono il proprio lavoro: in questo modo potrà svolgere in maniera adeguata i propri studi e interpretarne gli esiti. Tra le fonti più comuni di errore, vengono solitamente indicati i seguenti [Lucisano & Salerno 2002, p. 177-179.]:

 la reattività dei soggetti osservati, che potrebbero modificare, anche inconsciamente, i propri comportamenti e atteggiamenti a causa della presenza dell’osservatore;

 la difficoltà di quantificazione e sistematizzazione dei dati, che spesso consistono in lunghe registrazioni di comportamenti difficilmente categorizzabili;

120  le dimensioni ridotte del campione tipiche delle ricerche qualitative, in cui si esaminano in profondità popolazioni ridotte: questa situazione comporta la non rappresentatività del campione esaminato65

;

 la mancanza di anonimato dei soggetti osservati, che richiede l’approvazione dei soggetti stessi a essere oggetto di studio, anche in situazioni che possono risultare delicate o imbarazzanti;

 lo scarso grado di attendibilità della misura causato dalla soggettività delle rilevazioni che spesso non si avvalgono di griglie in grado di identificare a priori gli elementi da prendere in considerazione;

 le aspettative dell’osservatore, il quale può interpretare dati e informazioni in base alle proprie attese;

 le tecniche di registrazione e codifica dei dati, che risultano di difficile organizzazione quando si utilizzano strumenti di rilevazione di tipo narrativo o descrittivo;

 la scarsa attenzione al contesto che potrebbe inficiare i dati rilevati che, decontestualizzati, potrebbero perdere significato.

Relativamente a questi rischi di errore, si è cercato di tenerne costantemente conto provando a sistematizzare ed esplicitare ogni riflessione, azione e decisione in modo da riuscire per quanto possibile a prevenirli o quanto meno a ridurne significativamente l’impatto ai fini della ricerca presentata.