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2.1. Il pensiero narrativo

2.1.1. Oralità, identità e narrazione

La dimensione narrativa della mente umana è quindi innata nell’uomo perché fondamentale per la sua crescita, per la costruzione di senso e di identità. Da quando l’uomo esiste ha sempre avuto la necessità di raccontare la realtà circostante: per ricordare, per tramandare alle generazioni successive le proprie esperienze, per raccontare il mondo, per insegnare la propria cultura.

Relativamente a questa necessità dell’uomo, la storia che segue45

mi sembra che ne esprima efficacemente il senso: la riporto perchè mi sembra un’utile sintesi per introdurre le riflessioni successive.

Una mattina, all’alba dei tempi, un essere vivente si svegliò dal letargo, uscì dalla caverna e andò a caccia, oppure al pascolo. Poi tornò nella sua caverna e decise di provare a RAPPRESENTARE46 fuori di lui LA SUA ESPERIENZA del mondo, ciò che era avvenuto fra lui e l’animale. Scelse una

roccia levigata e cominciò a inciderla finchè non comparve l’immagine di un animale.

Sorpreso e stupito lui stesso o lei stessa, andò a chiamare il suo compagno o la sua compagna e poi gli altri del gruppo e tutti videro l’animale inciso nella roccia e tutti seppero che anche loro potevano

FERMARE LIMMAGINE dell’animale incidendola sulla roccia e così fecero.

45 Questa storia è tratta da Marcoli A, Il bambino perduto e ritrovato. Favole per far pace col

bambino che siamo stati, Mondadori, Milano 1999, pp. 59 – 63.

Alba Marcoli, psicologa clinica spentasi nel 2014, ha condotto per anni gruppi di formazione e sensibilizzazione psicologica per adulti, in particolare per genitori e insegnanti, durante i quali si avvaleva proprio dell’utilizzo di favole costruite ad hoc, partendo da storie reali.

87 Ma passarono le estati, gli inverni, le primavere e gli autunni e quegli esseri viventi si accorsero che i loro disegni, anche se belli, avevano uno svantaggio, non si potevano trasportare, e per vedere l’immagine dell’animale quando lui era assente, non restava che andarne a vedere il disegno sulla roccia. Eppure l’immagine dell’animale accompagnava quell’essere vivente dappertutto, era nella sua testa, lo seguiva nella caverna, nella capanna, nella sua giornata di caccia o di lavoro con la terra, compariva persino nella sua mente quando dormiva.

E così egli decise di rappresentare l’immagine dell’animale con qualcosa che era come l’immagine stessa, che poteva seguirlo sempre, nella caverna, nella capanna, nella giornata di caccia, persino nei suoi sogni. E questo qualcosa che poteva seguirlo sempre lo scoprì nella sua

VOCE, che era dentro di lui come l’immagine e così egli prestò alcuni suoni

all’immagine dell’animale e le diede UN NOME. Poi chiamò la sua

compagna o il suo compagno e tutti gli altri e anche loro diedero un nome all’immagine e quando si accorsero che se ognuno dava un nome diverso poi bisognava tornare al disegno per capire a quale immagine ci si riferiva, decisero di dare lo stesso nome alla stessa immagine e nomi diversi a immagini diverse.

E così quell’essere vivente diede il nome “animale” all’immagine dell’animale e chiamò se stesso uomo o donna a seconda che seminasse o raccogliesse la vita. E così i suoni che prima venivano emessi senza ordine e sistematicità cominciarono ad essere emessi all’interno di un ordine e nacque la PAROLA.

La parola accompagnava l’uomo e la donna sempre, nella capanna, a caccia, nei lavori della terra, persino nei percorsi del sogno e a poco a poco diventò la loro compagna inseparabile. Era una grande conquista, permetteva non soltanto all’uomo e alla donna di dare un nome alle loro immagini mentali, ma tesseva i rapporti fra di loro e all’interno del gruppo, rappresentava il loro territorio e li DIFFERENZIAVA DAGLI ALTRI.

88 Passarono altri inverni, primavere, estati e autunni e i figli degli uomini e delle donne si erano sparpagliati per tutto il mondo, al di là dei monti, dei fiumi e degli oceani, ma sempre in gruppo. E ogni gruppo a poco a poco elaborò la parola a seconda della sua storia e dei luoghi in cui viveva e così i sistemi di parole diventarono diversi fra di loro e nacquero LE LINGUE e ognuna aveva il proprio modo di descrivere

l’immagine che era nella mente degli uomini e a poco a poco anche l’immagine cambiò e si adeguò sempre più alla lingua che doveva rappresentarla e viceversa.

E così gli uomini che vivevano tutto l’anno in mezzo alla neve avevano tante immagini mentali della neve e tante parole diverse per descriverle, quelli che vivevano pascolando le pecore nei climi temperati tante immagini mentali per le pecore e tante parole diverse per descriverle e così via.

E per le cose difficili da capire e da spiegare nella vita degli uomini, nacquero a poco a poco I MITI, che si raccontavano con le favole la sera

vicino al fuoco. E il fuoco serviva per scaldarsi, per cucinare il cibo, per illuminare il buio che faceva paura e per ricordare che il grande fuoco del cielo che era tramontato sarebbe ritornato fedelmente, come sempre, la mattina seguente a illuminare e a riscaldare la terra.

Passarono ancora altre estati, autunni, inverni e primavere e un giorno un uomo e una donna vecchi, che raccontavano ai figli e alle figlie dei loro figli e delle loro figlie le storie che avevano sentito dai padri e dalle madri dei loro padri e delle loro madri quando erano piccoli, pensarono a come sarebbe stato bello se anche le parole di quelle storie fossero potute restare incise nella pietra.

E così provarono a disegnare sulla pietra o sulla sabbia o sulla roccia o su una foglia le forme delle parole. E siccome in ogni parola c’erano tanti suoni o tanti pensieri, a ogni suono o a ogni pensiero diedero una forma diversa e a ogni suono o pensiero uguale diedero la stessa forma.

89 Nacque così LALFABETO, e quell’uomo e quella donna poterono

disegnare per i figli e le figlie dei figli e delle figlie dei loro discendenti le parole delle storie che avevano ereditato dai padri dei loro padri e dalle madri delle loro madri.

E allora l’uomo si accorse che in questo modo era riuscito a vincere i cicli del tempi, perché il disegno delle parole restava oltre la morte dei suoi antenati e oltre la sua. Inorgoglito per aver battuto il tempo, l’uomo cominciò a coltivare con sempre maggior cura la parola e la rese sempre più ricca e creò degli alfabeti sempre più raffinati.

Ma alla fine era così abituato a dare il nome alle immagini delle cose, che gli capitò sempre più spesso di confondere la parola per l’immagine che lui aveva nella sua mente, l’immagine per ciò che stava fuori di lui e di pensare che ogni cosa avesse solo quell’immagine.

E così gli successe, sempre più spesso, di confondere la parola “animale” con l’immagine che aveva nella sua mente, l’immagine che aveva nella mente con la sua vecchia preda di caccia e finì per pensare che quella fosse l’unica immagine con l’unica parola possibile. E l’alfabeto, che l’uomo aveva creato per catturare il mondo, finì per catturare lui, cosicchè egli cominciò A VEDERE IL MONDO SOLO ATTRAVERSO LALFABETO E LA PAROLA.

Da una parte era una conquista straordinaria, l’aveva portato a fissare sulla carta la formula per percorrere le strade del cielo e arrivare sulla luna e gli aveva permesso, attraverso i secoli, di costruire delle splendide cattedrali e monumenti fatti di parole, ma dall’altra parte c’era il rischio di credere che la parola fosse il mondo e che il mondo avesse quella sola parola.

E invece doveva pur esistere un mondo che avesse un’altra parola, visto che quell’essere vivente, col passare del tempo, sempre più spesso sentiva e provava delle cose dentro di sé nel suo rapporto col mondo che non riuscivano ad arrivare alla parola come lui la conosceva.

90 E allora quell’essere vivente, dopo tanto e tanto tempo e dopo essere arrivato sulla Luna e iniziato a esplorare Marte, si ricordò che i padri e le madri dei padri e delle madri dei suoi antenati avevano raccontato con i miti e con le favole le cose che non riuscivano a raccontare con altre parole.

E così decise di provare a RITORNARE A RACCONTARE CON LE FAVOLE le

cose difficili, come quello che ogni tanto può succedere nel cuore di un uomo, soprattutto quando è bambino e che le altre parole spesso non riescono a raccogliere.

Ma per raccontare e ascoltare le favole bisogna prima sedersi pazientemente la sera vicino a un fuoco che brilla nel buio e ascoltare in silenzio.

Perché le favole nascono solo dal silenzio, nel profondo del cuore di un uomo, per raccogliere le voci senza altre parole che hanno echeggiato nel tempo alla luce della luna e delle stelle, sulla faccia di questa nostra vecchia terra.

E allora adesso in silenzio, la sera, nell’intimità di una casa con il televisore spento, proviamo ad ascoltare a poco a poco qualche favola sulle cose che non si vedono ma possono succedere lo stesso nel cuore di un bambino, anche in quello che è nascosto in ogni adulto. E se qualcuna ci serve, teniamola dentro, ma se non ci serve lasciamola scorrere via, dolcemente, come la pioggia sulle tegole di un tetto. Perché di una favola ognuno può fare quel che vuole, se vuole, con i propri tempi e alla propria velocità…

Fin dall’antichità infatti l’uomo ha fatto ricorso a miti, leggende, racconti epici per spiegare, per dare un senso alla realtà circostante.

Ancor prima dell’invenzione della scrittura l’uomo aveva “inventato” la narrazione: è nota la centralità di figure come gli aedi, cantastorie che avevano il compito di narrare le gesta epiche di eroi e di divinità. Il racconto epico e il mito

91 avevano il compito di tramandare alle generazioni successive le storie che erano state create dai propri antenati per spiegare i fenomeni naturali e la realtà circostante. Il tramandare queste storie era necessario per mantenere vive le tradizioni culturali di un dato popolo e con il tempo la storia, che veniva raccontata oralmente, si arricchiva e si modificava e contribuiva ad arricchire e modificare la cultura stessa all’interno della quale era nata.

L’importanza di questo aspetto educativo, presente nelle società caratterizzate da una forma di oralità primaria47

, è stata messa in risalto da Havelock [1986] che sostiene come, nelle culture orali, la garanzia di poter conservare le conoscenze acquisite sia collegata alla ripetizione delle conoscenze stesse: l’unica possibilità, per l’uomo che non conosce ancora un sistema di scrittura, di conservare ricordi, esperienze e avvenimenti è data dalla sua capacità mnemonica. Da questa esigenza nasce la forma poetica utilizzata nei grandi racconti epici, nelle fiabe e nelle storie, che si avvalevano di suoni ritmati che ne facilitassero la memorizzazione.

L’avvento della scrittura ha sicuramente modificato le abitudini degli individui, che non hanno più sentito la necessità di ripetere all’infinito le storie affinchè la cultura venisse condivisa con le generazioni future, ma sicuramente non ha spento la necessità di raccontare narrazioni.

47 I sistemi a oralità primaria sono quelli in cui non è presente un sistema di scrittura, per cui la

cultura è costruita e mediata esclusivamente da scambi comunicativi orali. Per un approfondimento in merito a tali temi si veda Ong [1986].

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