1.2 La teoria della traduzione dalla seconda metà del „
1.2.4 La traduttologia in Francia da Mounin alla psicolinguistica
Se, come si è già detto, la fase scientifica della storia della traduzione inizia nella seconda metà del „900, grazie al contributo della linguistica strutturale e della teoria dell‟informazione, nel saggio del 1944 Variations sur les Bucoliques, Paul Valéry cominciava a delineare la problematica traduttiva160, attraverso un approccio che sarebbe stato simile a quello adottato negli anni ‟60 e ‟70.
Traducendo le Bucoliche di Virgilio, Valéry muoveva dall‟idea secondo la quale l‟attività poetica è già, di per sé, una forma di traduzione. Il poeta quindi considerava il processo traduttivo come un fenomeno altamente creativo: «la traduzione non deve mettere a confronto il testo di partenza con quello di arrivo, ma
159 Come si è visto, oggigiorno i punti di contatto sono ben più numerosi dei punti di contrasto, grazie all‟elemento culturale che caratterizza entrambi gli approcci, quello letterario e quello linguistico. Sembrerebbe quindi che i tempi siano maturi per una ridefinizione radicale del campo e dei fini dei T.S., specie nel settore degli studi su corpora di testi in formato elettronico. Studi descrittivi su corpora informatizzati ampi offrono ovviamente un‟opportunità eccezionale di verificare schemi linguistici e culturali di comportamento traduttivo già identificati su corpora di testi relativamente ridotti e frammentari. Nonostante queste indagini non siano state ancora compiute su corpora imponenti, la combinazione di nuove tecnologie, unitamente agli approcci critici dei T.S., offre prospettive promettenti per il futuro, oltre che l‟opportunità di colmare il divario oggi esistente fra le diverse branche della disciplina. Cfr. Gentzler, op. cit., p. 151.
deve diventare il luogo in cui si rapportano due poetiche, due processi creativi dinamici»161.
A proposito del problema della fedeltà all‟originale, Valéry era cosciente del fatto che in un testo poetico ogni parola avesse una propria unicità semantica; tuttavia, la fedeltà – se esclusivamente circoscritta al senso – era una sorta di „tradimento‟: anche la sostanza sonora aveva un suo ruolo e la tessitura del significante poetico non doveva venire meno.
Nella sua traduzione delle Bucoliche Valéry prediligeva una sorta di ricreazione poetica che tenesse conto dell‟intrinseca necessità ritmica; ciò nondimeno il traduttore non avrebbe dovuto adottare soluzioni metriche identiche all‟originale; Valéry procedeva quindi traducendo ogni esametro con un alessandrino, rinunciando alla rima, in modo da rimanere quanto più vicino possibile all‟originale.
Per il poeta quindi – ed è questo il punto di svolta – tradurre non significava imitare, ma produrre con mezzi diversi effetti uguali: «je confesse une fois de plus que le travail m‟interesse infiniment plus que le produit du travail»162 . Da queste stesse
posizioni si muoverà la traduttologia dopo la svolta degli anni ‟50, quando la scienza della traduzione non sarà più dominata dalla linguistica diacronica, ma dalla linguistica strutturale e descrittiva.
Tra gli esponenti più in vista del periodo, tra coloro cioè che riusciranno a coniugare la teoria della traduzione alla linguistica, vi sarà Georges Mounin, autore de Les Belles infidèles, manifesto in cui vuol rimuovere il concetto di intraducibilità. Mounin afferma che insistere sulla dicotomia fra traducibilità/intraducibilità distoglie erroneamente lo studioso dai problemi reali che pone un testo da tradurre. La traduzione è necessaria, e non è mai né completamente possibile, né completamente impossibile, ma «ha piuttosto le caratteristiche di un inesauribile rapporto dialettico»163. Per quel che riguarda il metodo traduttivo da impiegare, Mounin adopera un‟efficace metafora, distinguendo tra vetri trasparenti e vetri colorati. Nel primo caso si tratterebbe di francesizzare il testo, epurandolo da qualsiasi elemento che ricordi l‟originalità straniera; nel caso dei vetri colorati, il traduttore si serve della tecnica di traduzione parola per parola, mantenendo intatte le strutture semantiche, morfologiche e sintattiche del testo di partenza. In entrambi i casi sarà comunque
161 Raccanello, op. cit., p. 263.
162 Paul Valéry, Calepin d‟un poète, in Id., Œuvres, Bibliothèques de la Plèiade, Paris, Gallimard,1957, p. 1456.
necessario non solo rispettare il contenuto, ma soprattutto il senso globale164,
semantico e pragmatico dell‟originale, che è molto più ampio dei singoli elementi linguistici che compongono un testo.
Inoltre, Mounin introduce un concetto nuovo, legato alle culture di riferimento: per lo studioso la traduzione non è caratterizzata dal contesto linguistico, ma dall‟insieme dei rapporti esistenti tra le due culture, quella del testo di partenza e quella del testo di arrivo.
Con Les problèmes théoriques de la traduction Mounin viene consacrato come fondatore della traduttologia francese, poiché in quest‟opera non solo sintetizza e rielabora le teorie di filosofi, linguisti e antropologi, da Humboldt a Martinet, da Bloomfield a Saussure e a Nida, ma cerca di stabilire quale sia lo statuto moderno dell‟atto del tradurre.
Mounin si sofferma sui problemi che la connotazione pone al traduttore: in quanto parte del linguaggio, la connotazione, al pari della denotazione, deve essere tradotta; tuttavia «l‟atmosfera linguistica che avviluppa le parole, per l‟estrema soggettività che le caratterizza, resiste alla traduzione. Se è possibile tradurre i significati denotativi di un testo, ciò non è altrettanto facile per quelli connotativi»165.
Infine, nei Problèmes più che offrire al traduttore gli strumenti necessari al proprio lavoro, Mounin lo mette in guardia da ciò che non deve fare: per non correre il pericolo dell‟ipertraduzione, del libero adattamento e dell‟infedeltà, il traduttore dovrà evitare le disparità e la mancanza dell‟omogeneità linguistica e stilistica nel testo di arrivo.
Un contributo importante alla traduttologia all‟inizio degli anni ‟70 venne dato da Henri Meschonnic, teorico della traduzione letteraria e in particolare di quella biblica. Per lo studioso la necessità di una teoria traduttiva non deve essere intesa come momento speculativo, avvicinando in questo modo la riflessione teorica alla pratica traduttiva: traduzione testuale «est un empirisme qui aujourd‟hui peut se transformer en expérimentation, devenir pratique théorique et non plus artisanat esthétique, c‟est-à-dire une poétique en actea u lieu d‟une idéologie appliquée»166.
Confutando alcuni principi teorici di Nida come ad esempio la dicotomia, all‟interno del processo traduttivo, tra denotazione e connotazione e, di conseguenza,
164 Cfr. Raccanello, op. cit., p. 266. 165 Ivi, p. 268.
166 Henri Meschonnic, Traduction d‟un texte prophétique, in AA.VV., Colloque sur la traduction
tra il senso e lo stile, Meschonnic – non ammettendo la separazione di significante e significato – arriverà ad affermare che quando si ha un testo si ha tutto167: «scindere la
traduzione in due momenti, uno che trasmetta il significato e l‟altro che lo abbellisca formalmente (poétisation) senza riconoscere il concetto unico di forma-senso, significa perseverare sulla strada ormai desueta, che vuole relegare lo stile alla sola funzione estetica»168.
Coinvolgendo l‟ambito più vasto della langue-culture, per Meschonnic la traduzione può seguire due principi, il decentramento e l‟annessione. Si parla di decentramento quando l‟attività traduttiva si realizza nel suo duplice aspetto, e cioè il momento interlinguistico e quello interculturale. Questo tipo di traduzione implica inoltre una partecipazione interpretativa del traduttore, connotandosi come re- énonciation169 specifica di un soggetto storico. IL testo d‟arrivo mantiene e riconosce la diversità linguistico-culturale con il testo di partenza: in questo modo, non essendo influenzato da nessuna contingenza ideologica, la traduzione mantiene nel tempo la propria validità.
Il principio dell‟annessione – generato dal sistema letterario contemporaneo – si avvale solo illusoriamente dello statuto di trasparenza: «illusion du naturel, […] comme si un texte en langue de départ était écrit en langue d‟arrivée, abstraction faite des différences de culture, d‟époque, de structure linguistique»170. Infatti, non riconoscere il ruolo storico dell‟attività traduttiva significa negare le trasformazioni che la traduzione171 ha prodotto nella cultura d‟arrivo, che invece rappresenta un momento di scambio e di modernità.
Sempre negli stessi anni Jean-René Ladmiral, altro esponente illustre delle teorie traduttive in Francia, proporrà la propria riflessione sotto forma di théorèmes, affrontando il problema traduttivo dal punto di vista semiotico-semanticista. Al pari di Meschonnic rifiuta l‟equivalenza tra traduzione e arte, opponendosi alla dicotomia tra forma e senso; inoltre entrambi sono accomunati dalla convinzione secondo cui
167 Meschonnic, op. cit., p. 311. 168 Raccanello, op. cit., p. 272. 169 Ibidem.
170 Meschonnic, op. cit., p. 306.
171 È Meschonnic a fare la distinzione tra traduzione ristretta (intesa come operazione di passaggio da una lingua all‟altra) e traduzione generalizzata (operazione di passaggio da un qualsiasi sistema segnico a un altro). Cfr. Meschonnic, op. cit., p. 24 e sgg.
tradurre non è solo un fatto linguistico, ma «un momento che coinvolge un complesso più vasto designato come périlangue»172.
La teoria traduttiva di Ladmiral, nota col nome di prasseologia173, propone strumenti didattici adatti ad affrontare l‟attività traduttiva:
Senza essere normativa né sistematica, ma piuttosto un bricolage frammentario, una sorta di “rhapsodie de théorèmes disjoints affrontés à la tourmente de la pratique” (Ladmiral 1987: 123), la traduttologia deve farsi pragmatica, svincolandosi da un‟impostazione essenzialmente teorica. Per rispondere alle esigenze della prassi traduttiva, è indispensabile che essa sappia “mettre au point un „produit‟” […] (Ladmiral 1979: 8) e allarghi il campo di indagine a un insieme interdisciplinare, senza peraltro compromettere la propria autonomia174.
In un articolo del 1986 Ladmiral attua una distinzione tra i sourciers, ovvero coloro che sono legati al significante della langue del testo-source, e i ciblistes, che intendono rispettare il significato – ovvero il senso e il valore – di una parole che deve prodursi nella lingua-cible175.
Il primo tipo di traduzione, quello che Ladmiral chiama source, tende a copiare quanto più aderentemente possibile l‟originale, tanto dal punto di vista linguistico, quanto da quello culturale, «a un punto tale da non renderlo più comprensibile in modo diretto, se non attraverso un apparato di note a piè pagina»176; nel secondo tipo di traduzione, chiamata cibliste, il traduttore ricerca un‟espressione naturale, cercando di ricreare nel pubblico della lingua ricevente lo stesso effetto che il messaggio originale aveva prodotto nei suoi destinatari originali.
A proposito dell‟annosa questione sulla traducibilità/intraducibilità, lo studioso sostiene che sia necessario andare oltre la contrapposizione tra l‟equivalenza formale e quella dinamica, vale a dire il mot-à-mot alle belles infidèles. Per Ladmiral infatti la traduzione non è una transcodificazione: tradurre non equivale a trasporre «les mots-
172 Raccanello, op. cit., p. 276.
173 La prasseologia di Ladmiral stabilisce «qu‟entre ces deux pôles opposés il existe une relation dialetique»; formulando i teoremi sulla traduzione Ladmiral porta al superamento della visione antinomica, tipica di un dibattito disancorato alla prassi e incline a destoricizzare i problemi teorici per porli in un eternità ideale. Cfr. Id, Traduire: théorèmes pour la traduction, Payot, Paris, 1979, p. 90. 174 Ivi, p. 277. Le opere a cui Raccanello fa riferimento sono rispettivamente J.-R. Ladmiral, Le français
dans le monde. Retour à la traduction, “Traductologiques”, 1, 1987, pp.18-25 e Id., Traduire… cit., p.
27.
175 Cfr. J.-R. Ladmiral, Sourciers et ciblistes, “Revue d‟Esthétique”, 12, 1986, p. 19. 176 Ivi, p. 21.
source par les mots-cible selon une correspondance supposéé bi-univoque entre les uns et les autres»177; partendo invece da concetti saussuriani di langue e parole
Ladmiral definisce l‟attività traduttiva come «une opération de méta-communication assurant l‟identité de la parole à travers la différence des langues»178. Egli insiste poi sulla dimensione ermeneutica del traduttore che si configura come momento fondamentale dell‟atto traduttivo. Il traduttore, in questo processo ermeneutico, ha libertà di scelta: opera cioè tenendo presente il pubblico d‟arrivo, la familiarità di questo con l‟autore dell‟originale e con la langue-culture179.
Ladmiral si sofferma sul problema della connotazione, che è di competenza non della stilistica, bensì della semantica. In primo luogo lo studioso, sulla base delle formulazioni di Hjelmslev, distingue tra connotazione semantica e semiotica. La prima è riconducibile al contenuto semantico, mentre la seconda deriva dal funzionamento testuale: «una semantica della traduzione, che si prolunga in un punto di vista semiologico o transemantico, favorisce un giusto approccio testuale da parte del traduttore, aiutandolo ad affrontare i diversi referenti connotativi per ricrearli nel texte-cible»180.
La questione della tipologia testuale e delle differenti strategie traduttive viene affrontata in un saggio del 1981, Éléments de traduction philosophique. Ritenendo insufficiente la tradizionale dicotomia fra traduzione tecnica e traduzione letteraria, lo studioso introduce un terzo modo di tradurre, la traduzione filosofica, e, più in generale la traduzione del discorso teorico-culturale. La traduzione filosofica è destinata a diventare il vero banco di prova per i traduttori: essa «est de même nature (sinon de même degré) que l‟œvre littéraire dont elle est un effet, historique et littèraire»181.
Nella seconda metà degli anno ‟80 Antoine Berman elaborerà una nuova teoria della traduzione, escludendo ogni categorizzazione normativa e metodologica, e sviluppando invece un nuovo atteggiamento etico. Punto di riferimento per Berman è il dibattito traduttivo sviluppatosi in Germania in epoca romantica, la cui vivacità e attualità ha contribuito a offrire nuovi spunti di riflessione teorica ed empirica nell‟ambito della pratica traduttiva.
177 Ladmiral, Théorèmes… cit., p. 106. 178 Ivi, p. 223.
179 Cfr. Raccanello, op. cit., p. 279. 180 Ibidem.
Egli rifiuta una teoria della traduzione che si fondi su uno statuto logoro che connota il traduttore a farsi piccolo piccolo, oppure a «servir deux maîtres […] servir l‟œuvre, l‟auteur, la langue étrangère, […] le public et la langue propre»182.
Berman parte dal presupposto secondo cui la traduzione vive nella perenne dicotomia tra eticità ed etnocentrismo. Secondo lui la traduzione deve aprirsi «à l‟Autre, féconder le Propre par la médiation de l‟Étranger»183, e, d‟altra parte, deve rispondere alla tendenza opposta, quella narcisistica che spinge ogni cultura verso l‟autosufficienza. Partendo dall‟idea di Meschonnic secondo cui tradurre non è annessione, ma decentramento, anche Berman definisce la traduzione come „accoglienza‟, come se si trattasse – per usare una metafora dello stesso Berman – di un «auberge du lointain»184, in cui si riconosce la differenza culturale e linguistica della traduzione, accettando l‟estraneità al sistema culturale della cultura ricevente. Alla traduzione etnocentrica, vale a dire quella traduzione che «filtra, traveste e nega sistematicamente la presenza dell‟altro, Berman contrappone la finalità etica del tradurre»185. Bisogna cioè scardinare la vecchia dimensione della traduzione,
sostituendola con la traduzione etica, poetica e filosofica. In questo modo «il traduttore è chiamato direttamente in causa; spetta a lui individuare le tendenze deformanti che, forse incosciamente, lo condizionano nelle scelte linguistiche e letterarie. Chi traduce deve pensare a educare il proprio pubblico all‟altro, piuttosto che sfrondare il testo da ogni l‟elemento estraneo, in nome della comunicazione e della leggibilità»186.
La traduzione quindi non è una semplice mediazione, ma ha un valore dialogico fondamentale: essa può rigenerare l‟originale, può evidenziare le possibilità rimaste latenti nel testo. Ed è per questo motivo che le ri-traduzioni di quelle opere che sono state pietre miliari della nostra cultura diventano essenziali per dare nuovo impulso vitale a quelle «dont la puissance d‟ébranlement et d‟interpellation avait fini par être menacée à la fois par leur „gloire‟ […] et par des traductions appartenant à une phase de la con science occidentale qui ne correspond plus à la nôtre»187.
182 Antoine Berman, L‟épreuve de l‟étranger, Paris, Gallimard, 1984, p. 15. 183 Ivi, p. 16.
184 Cfr. Antoine Berman, La traduction et la lettre ou l‟auberge du lointain, Paris, Seuil, 1999, p. 2. L‟originale metafora è ripresa dalla tradizione trovadorica, in particolare da una canzone di Jaufré Rudel in cui è presente l‟espressione «l‟alberc de lohn», equivalente ad «asilo per l‟ospite che viene da lontano».
185 Raccanello, op. cit., p. 282. 186 Ivi, p. 283.
Dopo Berman, nel corso degli anni ‟80 e ‟90, nell‟ambito delle teorie sulla traduzione in Francia si è fatta strada la prospettiva sociolinguistica. Un contributo assai importante è venuto da Maurice Pergnier che, ponendosi in una prospettiva critica rispetto allo strutturalismo, e sostenendo – come aveva fatto Benveniste188 – che le strutture semantiche delle lingue non sono trasponibili, afferma che non sono le parole a essere tradotte, ma le idee: «il messaggio, inteso come il contenuto da tradurre, è l‟unità minima sulla quale poggia l‟operazione traduttiva, ravvisata da altri nella parola o nel monema»189. A tal proposito lo studioso distingue tra „equivalenza di senso‟, che è relativa ai codici, ed „equivalenza di designazione‟, relativa ai discorsi circostanziati. Tradurre significa quindi sostituire un messaggio, o una parte di esso, con un altro messaggio equivalente enunciato nella lingua d‟arrivo.
In tal modo la traduzione non si pone più come fenomeno di comparazione interlinguistica, ma come un atto della comunicazione. Quindi, la riflessione sulla traduzione deve essere incentrata sul messaggio e non sulla lingua: «questa variazione prospettica porta a sostituire lo schema tradizionale Lp (lingua di partenza) La (lingua di arrivo), con Mp (messaggio di partenza) Ma (messaggio di arrivo)»190. La teoria della traduzione di Pergnier indaga lo statuto sociale della lingua, concentrandosi quindi sugli ostacoli comunicativi e sulla sua permeabilità/impermeabilità, sempre alla luce dello spessore storico e sociologico di tali sistemi.
Come si è visto quindi non mancano gli approcci non solo alla problematica traduttiva, quanto alla terminologia usata e alle soluzioni metodologiche indicate. È evidente che al di là delle diversità metodologiche tra le diverse scuole e, di conseguenza, tra i diversi studiosi, la molteplicità delle teorizzazioni rappresentano validi strumenti di lavoro per i traduttori. Questa nuova disciplina può pertanto permetterci di raggiungere una più profonda comprensione non soltanto della natura della traduzione, ma della natura del linguaggio stessa, oltre che della comunicazione più in generale.
188 Secondo Benveniste è possibile trasporre il contenuto linguistico da una lingua di partenza a una lingua di arrivo; tuttavia «non si può trasporre il contenuto semiotico di una lingua in quello di un‟altra; è l‟impossibilità della traduzione». Si veda É. Benveniste, Problèmes de linguistique générale, Gallimard, Paris, 1974, p. 228 e sgg.
189 Raccanello, op. cit., p. 284. 190 Ibidem.