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La traduzione in francese

Nel documento L'acte de traduire L'arte della gioia (pagine 124-132)

3. L’arte della gioia

3.4 La traduzione in francese

Nella traduzione dall‟italiano al francese, uno degli elementi più difficoltosi è senz‟altro il passaggio da una lingua elastica281 (l‟italiano) a una piuttosto rigida (il francese). Gli ostacoli maggiori alla flessibilità del francese sono da ricercarsi nel centralismo linguistico e nello scrupolo accademico, che si manifesta attraverso una fortissima esigenza di rispetto della norma, sia essa sintattica, ortografica o lessicale, tanto che il codice linguistico francese risulta avere una struttura ferrea e poco incline ai cambiamenti. Non bisogna d‟altronde dimenticare che i “colonizzatori” francesi, per indicare la poca dimestichezza con la lingua, sono soliti dire parler petit nègre282, a testimonianza che neanche l‟espressione orale sfugge al rigoroso autocontrollo linguistico, che si mantiene sempre sulla falsariga del modello scritto. Ne è riprova anche quanto affermato da Raymond Queneau, che ha fatto della manipolazione linguistica il proprio cavallo di battaglia: «on pouvait prévoir un moment où la différence entre français parlé et français écrit serait tel qu‟il se produirait une véritable catastrophe […] Tout d‟un coup, il y aurait deux langues: l‟une, le français écrit, deviendrait l‟équivalent du latin ; et l‟autre, dûment codifiée, serait à son tour enseignée dans les écoles. On reconnaîtrait dans le néo-français un idiome

281 Secondo Calvino l‟italiano è una «lingua di gomma con la quale pare di poter fare tutto quel che si vuole», per cui «
 una buona traduzione [in italiano] di un libro straniero può conservare un qualche saporino dell‟originale; un libro di scrittore italiano tradotto il meglio possibile in qualsiasi altra lingua conserva del suo sapore originale una parte molto minore, o nulla del tutto», in Italo Calvino,

L‟italiano, una lingua tra le altre lingue, in Una pietra sopra, Milano, Mondadori, 1965, p. 142.

282 Cfr. Ahmadou Kourouma, Allah n‟est pas obligé, Paris, Seuil, 2000, p. 3: «Et d‟abord… et un… M‟appelle Birahima. Suis p‟tit nègre. Pas parce que suis black et gosse. Non! Mais suis p‟tit nègre parce que je parle mal le français. C‟é comme ça. Même si on est grand, même vieux, même arabe, chinois, blanc, russe, même américain ; si on parle mal le français, on dit on parle p‟tit nègre, on est p‟tit nègre quand même. Ça, c‟est la loi du français de tous les jours qui veut ça».

indépendant. Cette thèse que je me suis plu à soutenir à plusieurs reprises il y a une vingtaine d‟années, ne me paraît plus aussi bien fondée»283. Lo scrupolo accademico,

la volontà di padroneggiare la lingua e possederla interamente caratterizza quindi anche dell‟espressione orale, nella quale non si è verificato, come pure si poteva ipotizzare, un abisso creato dalla prepotente distanza esistente tra ortografia e pronuncia. Questo è indubbiamente un dato da tenere a mente quando si deve operare una traduzione da una lingua come quella della Sapienza, che a tratti e in determinati contesti comunicativi si produce in scarti notevoli dall‟italiano standard, e cioè quando si muove in un ambito diafasicamente e diastraticamente connotato, trascolorando nel dialetto.

In opposizione a quanto affermato, si potrebbero citare la forza e la vitalità anche letteraria – basti pensare a Céline – dell‟argot. Questo però se si dimenticasse che l‟argot nasce innanzitutto come linguaggio di rivolta e di trasgressione sociale ma soprattutto che è una lingua “da adulti”, certo non usata per cantare berceuses o per raccontare fiabe284.

Il centralismo linguistico, che rende Parigi, per ragioni storiche ampiamente messe in luce285, unico riferimento linguistico credibile, emargina le lingue di

provincia, bollandone la cadenza e il lessico. Ciò non toglie che esista un patrimonio linguistico regionale, denso di valenze semantiche, diffuso in vaste zone del paese, di cui spesso i parlanti hanno una conoscenza a volte solo inconscia. In Le pré des langues, Annie Salanger scrive: J‟ai été plongée dans les mots de la langue vernaculaire dès l‟enfance, puia je les ai oubliés, je les ai en partie reconnus qui surnageaient dans mon accent […]. Il arrive plus souvent qu‟on ne le croit que le travail d‟écriture soit aussi recherche d‟une autre langue sous celle qui l‟exprime. On la cherche sans le savoir, on nourrit sa propre langue d‟une fine distance avec l‟autre jamais rattrappée, qui tient en alerte le désir de dire, voué à une insatisfaction inépuisable mais jouissive. […] Une langue, deux mêlées plutôt s‟attachaient à trouver là-bas leur espace commun, une sorte de chant des limites qui me retenait, captive et libre»286.

283 Raimond Queneau, Curieuse évolution de la langue française, in Le voyage en Grèce, Gallimard, 1973, p. 224.

284 Cfr. Alain Rey, Fréderic Duval, Gilles Siouffi, Mille ans de langue française. Histoire d‟une

passion, op.cit. pp. 1225-33.

285 Cfr. § 2.1.

Evocare due lingue intrecciate nell‟universo creativo della scrittrice, sembra quanto mai adeguato alla realtà comunicativa di Goliarda Sapienza, che si muove con consapevolezza nell‟amplissima gamma espressiva a sua disposizione, adeguandola di volta in volta ai differenti contesti d‟uso, e facendola muovere dal dialetto catanese al registro colto287. E se questo può apparire più o meno scontato nel quadro linguistico dell‟italiano, lo è sicuramente molto meno in quello del francese.

La lingua della Sapienza copre un vasto ventaglio di varietà del repertorio linguistico italiano, dall‟italiano regionale (con incursioni popolari) fino ad arrivare a un registro più alto, intessuto di citazioni colte e di rimandi intertestuali, riferiti al patrimonio filosofico-letterario europeo.

La lingua si adegua al contesto comunicativo: ad esempio la prima parte del romanzo, nella quale la protagonista interagisce con un ambiente socioculturale diastraticamente connotato verso il basso, è caratterizzata da una lingua, tanto a livello lessicale (termini dialettali, proverbi) quanto a livello morfosintattico, costellata da incursioni piuttosto frequenti del dialetto, che servono ad ancorare il romanzo alla cultura di stampo feudale che tanto ha caratterizzato la storia dell‟isola e che sembrano richiamare echi di verghiana memoria.

L‟evoluzione del romanzo conduce a un affrancamento della protagonista da un destino di miseria e ignoranza, riscatto che si svolge anche attraverso un cambiamento di registro e attraverso un‟attenuazione dell‟uso del dialetto, relegato a situazioni comunicative particolari e comunque più rarefatte.

287 In tal senso il personaggio di Modesta cerca costantemente e consapevolmente di arricchirsi di nuove possibilità espressive: «Da quel giorno abbandonai tutte quelle brutte parole senza rimpianto. Non fu facile, anche cercando di dimenticarle non mi volevano uscire dalla testa, ma io escogitai un sistema, una disciplina per dirla come madre Leonora (però, che bella parola, disciplina)»; oppure «Ma dopo, la voce di madre Leonora, ricomposta nella sua dolcezza di sempre, avrebbe ricominciato a dire parole belle, come infinito, azzurro, soave, celestiale, magnolie. Che belli i nomi dei fiori: gerani, ortensie, gelsomino, che suoni meravigliosi! Ora poi che le scriveva le parole li sul bianco della carta, nero su bianco, non le avrebbe perdute più, non le avrebbe dimenticate più. Erano sue, solo sue. Le aveva rubate, rubate a tutti quei libri», in Sapienza, L‟arte… cit., pp. 20-1. Ma Modesta, nel suo lavoro di ricerca, va oltre, perché una volta che si è impossessata delle parole le trova corrotte e deprivate del loro senso profondo dalla consuetudine e dalla tradizione: «Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. Mentiva la parola amore, esattamente come la parola morte. Mentivano molte parole, mentivano quasi tutte. Ecco che cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali. E poi, ripulirle dalla muffa, liberarle dalle incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l'uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, rassegnazione. Imparai a leggere i libri in un altro modo. Man mano che incontravo una certa parola, un certo aggettivo li tiravo fuori dal loro contesto e li analizzavo per vedere se si potevano usare nel "mio" contesto. In quel primo tentativo di individuare la bugia nascosta dietro parole anche per me suggestive, mi accorsi di quante di esse e quindi di quanti falsi concetti ero stata vittima». Ivi, pp. 134- 5.

Tuttavia l‟evoluzione della lingua non si conclude nel passaggio dal dialetto all‟italiano colto, poiché, nello scorrere delle pagine, il siciliano riacquista una dignità che lo proietta a distanza dalla funzione di indicatore dell‟appartenenza sociale, facendolo diventare portatore di una saggezza tanto primigenia quanto conquistata, che è espressione, più che punto di arrivo, dell‟esistenza della protagonista.

Come porsi quindi di fronte a un romanzo come L‟arte della gioia, nel quale se è vero che è ampiamente presente un uso mimetico della lingua, è altrettanto vero che lo stesso linguaggio veicola un contenuto che pervade l‟intero testo di sfumature cariche di significato, evocatrici di un mondo intriso di suoni, odori, colori e gesti, che proprio la lingua fissa al contingente ed eleva a canone universale?

Quando Réné de Ceccatty scrive l‟ormai celebre recensione del romanzo, la conclude facendo riferimento allo stile della scrittura e alla sua traduzione in francese: «Un style généreux, si l'adjectif ne paraît pas désormais galvaudé. Et qui nous arrive en français dans une traduction précise, fluide et lyrique»288.

Il concetto di fluidità è senza dubbio quello su cui si è soffermata di più la traduttrice, Nathalie Castagné, quando è stata sollecitata a una riflessione sul suo approccio al romanzo, nello specifico rispetto alla presenza del dialetto289: «J‟ai fait le

choix de ne pas essayer de mettre du dialecte français à la place du dialecte sicilien, parce qu'en fait, il n‟y a pas du tout en France le même rapport entre le français et les lettres dialectales que celui qui existe en italien. Et encore, il y a un problème de fluidité, parce qu‟on peut passer de l‟italien au sicilien avec une certaine fluidité, mais en revanche, en français, ça fait vraiment un arrêt terrible si on met un dialecte, puisqu‟ils ne sont plus utilisés du tout. C‟est des langues dont l‟emploi pèse lourdement. En tout cas, je n‟ai pas une telle connaissance d‟un dialecte pour pouvoir y arriver».

La traduttrice, rivendicando le proprie scelte, ha affermato da una parte che il rapporto che la lingua francese ha con i suoi dialetti, essendo molto più distante da quello che l‟italiano intrattiene con le proprie lingue regionali, implicherebbe l‟impossibilità – poiché ne metterebbe a repentaglio la fluidità – dell‟uso di un dialetto nella traduzione dall‟italiano al francese; mentre dall‟altro lato afferma che anche se tale dialetto esistesse, lei non avrebbe le competenze necessarie per servirsene.

288 Réné De Ceccatty, Sapienza, princesse hérétique, in “Le Monde des livres” (inserto culturale al quotidiano “Le Monde”) del 16-09-2001, p.1.

289 Tutte le dichiarazioni della traduttrice qui riportate sono state rilasciate in occasione dell‟intervista già citata che ho fatto a Nathalie Castagné a Montpellier tra il 17 e il 19 giugno 2011.

Cercando di chiarire il concetto Nathalie Castagné ha asserito inoltre che «utiliser du dialecte ferait une coupure qu‟on ne sent pas dans le texte original, sauf en effet pour un mot, une expression de temps en temps où on sent que c‟est du pur sicilien, et là je crois que je l‟ai laissé tout le temps en sicilien. Je voulais éviter à tout prix qu‟il y ait une rupture stylistique, dans le son, ou tout simplement dans la lecture, qui n‟existe pas dans le livre. Donc par rapport à mes connaissances, j‟ai été obligée d‟essayer de sentir, d‟entendre au mieux une tonalité, une couleur musicale dans ce qui était dit, mais qui est aussi le caractère de chacun, et d‟essayer de rendre au mieux avec des petites nuances de couleurs, c‟est-à-dire ce qui était en ma possession, vu que je n‟avais utilisé qu‟une seule langue plus quelque mot du Midi qui s‟offraient à moi. A part ça, à coté de ces couleurs très intenses, très caracterisées que Goliarda utilise, je passe à un-deux-trois degrés en dessous en utilisant mes coloris, qui sont des nuances du français, mais c‟est tout! C‟est juste des coloris à coté de couleurs formidables, extraordinaires donnés par l‟accession à un dialecte, ou à un dialecte retravaillé, à une syntaxe différente, que Goliarda Sapienza peut utiliser».

Quindi la Castagnè ribadisce con forza che l‟utilizzo del dialetto nella traduzione francese avrebbe nuociuto al romanzo, appesantendolo e creando una rottura sintattico-stilistica; ragione per la quale si è trovata nell‟obbligo di gestire delle sfumature di colori, utilizzando la gamma che aveva a disposizione nella propria tavolozza, che per forza di cose era più esigua rispetto a quella di Goliarda Sapienza.

Consapevole del rischio che si corre quando si traduce, Nathalie Castagné continua il suo ragionamento:«Je savais très bien que forcement l‟on perd beaucoup en traduisant, qu‟on allait perdre un degré de couleur en plus en passant de l‟italien – qui peut introduire un dialecte sans que ce soit dérangeant – au français qui selon moi ne le peut pas. Donc il fallait que je me débrouille avec ça! Mais puisque j‟ai bien vu que le sicilien était très important pour Goliarda, que ce livre avait aussi pour fonction parmi tant d‟autres de faire passer et de conserver quelque chose du sicilien, j‟ai voulu garder quelques termes siciliens de temps en temps au lieu de les traduire, en mettant une note, mais pas trop pour que ça ne soit pas trop lourd, que ça n‟arrête pas dans la lecture, parce que c‟est un roman et il faut que ce soit le plus fluide possible. Je sais, je me souviens très bien que j‟ai voulu laisser quelques termes en sicilien précisément parce que je sentais que pour Goliarda c‟était une chose importante. Je savais qu‟il y avait cette mémoire-là aussi dans le livre, que moi je ne pouvais pas beaucoup

respecter parce qu‟il fallait bien faire passer le texte en France et pour des lecteurs français.».

Il concetto di fluidità ritorna quindi come elemento centrale e filo conduttore che ha determinato ogni decisione legata alla traduzione.

Per chiarire il senso della sua scelta, la traduttrice ha mantenuto il punto anche quando le si sono chiesti lumi relativamente a una scelta traduttiva, legata a un passaggio abbastanza semplice, caratterizzato essenzialmente da una posposizione del verbo.

Il testo che in originale dice: «Te cercavo, e scema non sono! Te cercavo, hai finito?», viene reso in francese con le seguenti parole: «Je te cherchais, et je ne suis pas une crétine! Je te cherchais, tu as fini?» Alla traduttrice è stato quindi chiesto se la traduzione sarebbe stata la stessa se il testo originale avesse recitato: «Ti cercavo e non sono una scema, ti cercavo, hai finito?». Nathalie Castagné risponde: «bien sûr, je ne pouvais pas trouver d‟autres solutions, parce qu‟ il y en avait pas. C‟est même pas que j‟aie eu du mal, il y a des choses qui m‟ont donné du mal parce qu‟il y avait éventuellement une autre solution, alors là je ne pouvais pas».

Fermo restando l‟apprezzamento per la qualità della traduzione in francese dell‟Arte della gioia, le granitiche certezze di Nathalie Castagné lasciano qualche perplessità, e questo per una serie di ragioni.

Innanzitutto affermare che i dialetti non sono più utilizzati in Francia sembra quantomeno imprudente, poiché come è stato ampiamente dimostrato290, per quanto la politica linguistica fortemente accentratrice dello Stato francese ne abbia segnato un forte declino, le lingue regionali in Francia mantengono una certa vitalità e molte di esse hanno perfino visto nascere al loro interno opere letterarie di un certo spessore. Dichiararne quindi la morte quasi aprioristicamente appare se non altro azzardato.

Allo stesso modo, sembra eccessivo escludere la possibilità di trovare soluzioni alternative rispetto ad alcune scelte fatte. Si potrebbero citare infatti diversi casi di traduzioni verso il francese di testi in cui è presente una lingua regionale italiana, che si sono mosse in direzioni diverse rispetto alla scelta di standardizzare la lingua. Per restare nell‟ambito linguistico del siciliano, si potrebbe citare ad esempio il caso della traduzione verso il francese di Andrea Camilleri che, pur partendo da presupposti linguistici molto differenti da quelli che caratterizzano la scrittura di

Goliarda Sapienza, ne condividono tuttavia la stessa radice culturale, e si prestano a soluzioni che potrebbero essere interessanti anche nella prospettiva linguistica della scrittrice catanese.

Dominique Vittoz è tra i maggiori traduttori di Camilleri in francese. Ovviamente diversi studi sono stati fatti sulla sua opera, ma qui interessa maggiormente dare conto di alcune sue dichiarazioni rispetto alle proprie strategie traduttive: «mi sono messa a guardare alla mia lingua, il francese, un po‟ diversamente, ricordando ad un tratto che, tutto sommato, in qualche remotissima zona della mia memoria, possedevo anch‟io parole portatrici dello stesso effetto deflagrante [come quelle usate da Camilleri]: quelle del mio patois per usare la spregiativa parola francese, oppure in termini linguistici più nobili, la parlata franco- provenzale di Lione.

[…] Grandissimo merito dei libri di Camilleri per il traduttore francese è di obbligarlo ad andare a rivangare campi abbandonati. E di liberarsi dall‟ossessione della pureté de la langue. 
 Si tratta quindi di coniare spudoratamente un francese meticcio. Ma non inventandolo come ho già detto […]. Per quanto mi riguarda, ho voluto creare un francese meticcio attingendo a quelle parlate, dal francese accademico trascurate e disprezzate, censurate, eppure piene di vitalità. A un livello più modesto, e tragedia della colonizzazione a parte, l‟operazione è gemella di quella praticata da vari scrittori francofoni delle Antille o d‟Africa, come Patrick Chamoiseau della Martinica o Ahmadou Kourouma della Costa d‟Avorio per esempio, quando scrivono in francese, integrandovi con vendicativa e esuberante disinvoltura parole di creolo o di lingua malinkè, spiegandole se necessario ma il più delle volte dosandole e disponendole in modo che il lettore francofono non creolo o non malinkèfono possa capire lo stesso la frase o il paragrafo»291.

E quella di una lingua costruita in modo tale che l‟inserto di elementi dialettali sia portatore di arricchimento semantico, piuttosto che fonte di difficoltà interpretativa, è senza dubbio una delle direttrici sulle quali si è mossa l‟autrice dell‟Arte della gioia il cui romanzo, per ammissione della sua stessa traduttrice non pone problemi di comprensione a chi non è dialettofono292: «c‟est bizarre, parce que

291 Dominique Vittoz, Quale francese per tradurre l‟italiano di Camilleri? Una proposta non pacifica, in AA.VV., Il caso Camilleri. Letteratura e Storia, Palermo, Sellerio editore, 2004, p. 193.

292 A questo proposito capita, girovagando tra vari siti e blog di recensioni e commenti al libro, di incappare in dichiarazioni simili: «Dorota Scrive: 
 29 ottobre 2008 alle 11:52. Ho iniziato di leggere questo libro con una certa difficolta‟ per la questione della lingua (non sono italiana, ma durante la

vraiment quand je me suis lancée dans le texte j‟ai presque tout compris, pas tout le temps car après il y a des choses que j‟ai demandées, mais je sais qu‟il y en a que j‟ai comprises comme ça, parce qu‟il y avait quand même un sens qui venait. Je pensais que je ne me trompais pas de beaucoup et je me disais: “bon, je vais reprendre, de toute façon je reverrai après”, et en réalité il y a des choses sur lesquelles j‟ai pas eu besoin de revenir».

Alla luce di tutto ciò è sembrato interessante tentare di percorrere una via alternativa a quella battuta da Nathalie Castagné, ricordando soprattutto quanto

Nel documento L'acte de traduire L'arte della gioia (pagine 124-132)