1.2 La teoria della traduzione dalla seconda metà del „
1.2.2. La „scienza‟ della traduzione: da Eugene A Nida alla scienza della traduzione in Germania
Benché i seminari di traduzione americani avessero aperto nuove prospettive, negli anni ‟60 e soprattutto negli anni ‟70 fu impellente la necessità di un approccio più sistematico a quella «disciplina che sembrava possedere gli strumenti teorici e linguistici essenziali per affrontare il problema era la linguistica»99.
Fino ai primi anni Sessanta la linguistica era stata caratterizzata da una ricerca prevalentemente descrittiva che mirava a spiegare dettagliatamente le regole grammaticali, senza comparare però le singole grammatiche; questi studi quindi avevano poco valore per i traduttori.
In questo stesso periodo venne elaborata da Noam Chomsky la grammatica generativo-trasformazionale, che modificò in modo significativo la teoria della traduzione. In particolare, la grammatica generativa, legittimata dalla linguistica, conferì credibilità e autorevolezza alla scienza della traduzione di Eugene Nida, la cui esperienza si fondava sulla traduzione della Bibbia.
Nida sostenne, fin da subito, che la propria teoria della traduzione fosse stata ben sviluppata e articolata prima che Chomsky consegnasse il suo lavoro alle stampe, Syntactic Structures, pubblicato nel 1957 nei Paesi Bassi.
Nida – parlando di se stesso in terza persona – afferma infatti:
Prima della formulazione della grammatica generativo-trasformazionale da parte di Chomsky, Nida aveva già adottato un approccio fondato essenzialmente su una struttura profonda per affrontare certi problemi di esegesi. In un articolo intitolato A New Methodology in Biblical Exegesis (1952) aveva propugnato la trasformazione di strutture superficiali complesse per riportarle a un livello sottostante, in cui gli elementi fondamentali sono oggetti, eventi, astrazioni e termini relazionali100
Tuttavia, contrariamente da quanto aveva affermato Mida, la propria teoria aveva assunto una forma definitiva con l‟aggiunta della componente trasformazionale elaborata da Chomsky. In realtà aveva letto Syntactic Structures di Chomsky in
99 Gentzler, op. cit., p. 51.
100 Eugene A. Nida, A Framework for the Analysis and Evaluation of Theories of Translation, in R.W. Brislin (a cura di), Translation: Applications and Research, New York, Gardner Press, 1976, p. 71.
ciclostile due anni prima che fosse pubblicato, e aveva fatto proprie le premesse teoriche101, le regole trasformazionali e la stessa terminologia dal linguista.
Nida, il cui lavoro era inizialmente più orientato alla pratica della traduzione della Bibbia che non alla teoria, partiva dall‟ovvia considerazione secondo cui l‟attività di traduzione della testo sacro aveva prodotto più dati in più lingue di qualsiasi altra traduzione: la Bibbia infatti aveva una storia più lunga e, considerando la sua diffusione, aveva raggiunto un numero di persone enorme, toccando tutti i campi, perché all‟interno vi si trovava sia brani di prosa che di poesia.
Conscio della mancanza di sistematicità dell‟approccio orientato esclusivamente alla pratica, egli tentò di conferire validità scientifica alla propria metodologia per poi applicarla alla traduzione in generale. Attraverso la teoria della sintassi e della grammatica generativa di Noam Chomsky102, il lavoro di Nida «cessò di essere rivolto semplicemente ai colleghi missionari e si trasformò in un tentativo di creare le premesse per rivolgersi a un uditorio più vasto; l‟opera di Nida divenne infatti la base di un nuovo campo di indagine del XX secolo: era nata così la “scienza” della traduzione»103.
Il modello di struttura profonda/struttura superficiale di Chomsky verrà quindi usato da Nida, che approfondirà concetti come il „messaggio soggiacente‟. Tuttavia, rispetto a Chomsky, Nida include nella propria teoria il concetto di „contesto culturale‟, vale a dire quel contesto in cui si inserisce la comunicazione. Per ragioni sia pragmatiche che teologiche, Nida si concentra sulla reazione del destinatario del messaggio.
A differenza di Chomsky Nida non privilegia il segno, ma la reazione a esso: «se la sua traduzione può sollecitare la reazione voluta da Dio, la traduzione è riuscita: le parole e i simboli sono semplici etichette e la forma del messaggio assume quindi un‟importanza secondaria»104. Mentre quindi Chomsky indaga sul significato insito nel segno avulso dal contesto culturale, Nida è più interessato alle modalità di funzionamento del segno in una data società.
101 Gentzler, op. cit., p. 52.
102 Come si sa la teoria di Noam Chomsky consta di tre livelli di concettualizzazione: a) un componente base costituito da “regole per la struttura delle frasi” che producono; b) una struttura profonda, che a sua volta viene modificata, mediante regole trasformazionali in una struttura superficiale; 3) una struttura superficiale. Concetti come la “struttura profonda”, il “centro”, il “nucleo”, l‟”essenza” sono stati quindi mutuati da Chomsky e riutilizzati da Nida. Cfr. Gentzler, op. cit., p. 55.
103 Ivi, p. 54. 104 Ivi, pp. 62-3.
Sia Nida che Chomsky giungeranno comunque a conclusioni simili sulla natura del linguaggio: per entrambi infatti alla base delle strutture superficiali vi sono delle strutture profonde105.
Se la teoria di Nida è stata ritenuta progressista perché introduce il concetto di contesto del messaggio, tuttavia non è meno astratta di quella di Chomsky: «il “messaggio nel contesto” o il “messaggio nella sua ricezione” viene astratto dalla storia, concepito come un elemento unico e un‟essenza in sé e trasformato in un concetto atemporale»106.
Secondo Nida il testo tradotto dovrebbe produrre una reazione nel lettore calato nella cultura contemporanea che sia simile a quella prodotta nei ricettori originari; se ciò non avviene egli suggerisce di apportare variazioni al testo per indurre la reazione iniziale. Questa teoria, divenuta assai nota col il nome di “equivalenza dinamica”, è frutto delle convinzioni di Nida in fatto di religione.
In Toward a Science of Translating: With Special Reference to Principles and Procedures Involved in Bible Translating, Nida sintetizza la sua metodologia di lavoro nell‟ambito della traduzione letteraria:
È più efficiente sia dal punto di vista scientifico che pratico (1) ridurre il testo di partenza ai suoi nuclei strutturalmente più semplici e semanticamente più evidenti, (2) trasferire il significato dalla lingua di partenza alla lingua del ricettore a buon livello strutturalmente semplice e (3) generare un‟espressione stilisticamente e semanticamente equivalente nella lingua del ricettore107.
Inoltre, sempre secondo Nida il traduttore
deve comprendere non solo l‟ovvio contenuto del messaggio, ma anche le sottili sfumature di significato, i valori emotivi importanti delle parole e le caratteristiche stilistiche che determinano il “sapore e la sensazione” del messaggio […] In altre parole, oltre a conoscere due o più lingue coinvolte nel processo traduttivo, il traduttore deve conoscere l‟argomento in questione108
105 Gentzler, op. cit., p. 64. 106 Ivi, p. 63.
107 E. Nida, Toward a Science of Translating: With Special Reference to Principles and Procedures
Involved in Bible Translating, Leida, E.J. Brill,1964, p. 68, citato in Gentzler, op. cit., p. 65.
Come si vede, la formazione religiosa di Nida tende a influenzare il suo metodo scientifico, al punto che il ruolo di traduttore e quello di missionario sembrano fondersi insieme. Oltre ad avere una completa conoscenza della fonte, Nida esige che il traduttore sia in rapporto empatico con l‟autore e abbia la capacità di imitare il comportamento, l‟eloquio e i modi dell‟autore con estrema verosimiglianza.
Egli afferma che il traduttore deve ammirare l‟autore, avere lo stesso retroterra culturale e dare al lettore «la stessa gioia prodotta dall‟originale»109; se non vengono soddisfatti questi requisiti il traduttore non potrà cogliere né il messaggio originale né come esso funzioni.
Tuttavia, non mancano i limiti di questa elaborazione teorica. La teoria della traduzione di Nida lascia intendere che egli «non si fida di lasciare i lettori a decodificare i testi da sé, perciò postula un lettore onnipotente, preferibilmente il missionario/traduttore ideale, che farà il lavoro per il lettore. L‟obiettivo, perfino con la Bibbia, è di sfatare il mistero, risolvere le ambiguità e ridurre le complessità per consentire il semplice consumo»110.
Nida non può permettere che il lettore decida da sé; per ottenere la reazione voluta (o meglio, la reazione che immagina abbia avuto il lettore del testo originale) egli – in quanto traduttore – ha la licenza di modificare, snellire e semplificare il testo. Tuttavia, come afferma Gentzler,
questa metodologia può essere molto utile per chi traduce opere di propaganda o pubblicità e sembra funzionare con certi tipi di religione, ma i suoi limiti nell‟ambito di una scienza del tradurre sono ovvi: Nida fornisce un eccellente modello di traduzione che prevede la manipolazione del testo nell‟interesse della fede religiosa, ma non i fondamenti per quella che l‟Occidente in generale considera una scienza111
Nonostante i limiti teorici evidenziati, l‟opera di Nida ha esercitato una sorprendente influenza a livello accademico anche al di fuori del contesto biblico, specie nei campi della linguistica. L‟applicazione più puntuale della teoria di Nida è avvenuta non in Inghilterra o in America, ma in Germania, dove la scienza della
109 Gentzler, op. cit., p. 66. 110 Ivi, p. 67.
traduzione è stata oggetto di studio presso l‟Università di Saarland a Saarbrücken, università che forma i futuri traduttori e interpreti tedeschi.
L‟influsso di Nida in Germania è massimamente evidente nell‟opera di Wolfram Wilss, che ha insegnato a Saarbrücken e il cui testo, Übersetzungswissenschaft. Probleme und Methoden, del 1977, è stato tradotto in inglese col titolo The Science of Translation: Problems and Methods nel 1982. Questo testo esprime al meglio la teoria e la pratica della traduzione in Germania.
In particolare Wills sembra opporsi alle due teorie linguistiche dominanti, quella descrittiva e quella generativo-trasformazionale. Si oppone alla linguistica descrittiva e, nello specifico, allo strutturalismo tassonomico112 poiché entrambe descrivono semplicemente la struttura superficiale di due lingue specifiche, mostrando scarso interesse per la traduzione.
Al contrario, i motivi per i quali Wills si oppone alla grammatica generativo- trasformazionale sembrano meno chiari: in primo luogo sostiene che questa disciplina sia afflitta da un problema analogo a quello della linguistica strutturale, poiché i generativisti «utilizzano gli stessi strumenti metodologici di una “scienza scientista” e tentano di proporre una descrizione matematicamente esplicita dei processi mentali che consenta la verifica e la conferma empirica»113. In secondo luogo, Wills sembra opporsi alla grammatica generativo-trasformazionale perché è dominata dalla sintassi, non include la psicolinguistica, studia isolatamente i sistemi di lingue, ignora i problemi di ricezione e di funzione del messaggio nel contesto comunicativo.
Benché Wills critichi apertamente Chomsky e la sua grammatica generativo- trasformazionale, tuttavia propone una scienza della traduzione che utilizza gli stessi concetti – elaborati dallo statunitense – di struttura superficiale e di struttura profonda; per Wills quindi la traduzione è garantita dall‟esistenza – a livello di struttura profonda – degli universali sintattici e semantici: la sua scienza della traduzione si riduce quindi alla semplice creazione di equivalenti sintattici, semantici e di ricezione.
La teoria di Wills è quindi molto più vicina a quella di Chomsky di quanto lo stesso Wills non sia disposto ad ammettere:
112 Gentzler, op. cit., p. 71. 113 Ibidem.
La traducibilità di un testo viene quindi garantita dall‟esistenza di categorie universali sintattiche, semantiche e logico-esperenziali. Se, nonostante ciò, la traduzione non è paragonabile all‟originale dal punto di vista qualitativo, la ragione non sarà (di solito) una carenza nelle possibilità espressive in quella particolare [lingua di arrivo] ma piuttosto la limitata abilità del traduttore nell‟analisi del testo114.
Pertanto – secondo l‟approccio di Wills – con un‟adeguata formazione universitaria gli studenti possono ampliare il proprio bagaglio di equivalenti adeguati, affinare la propria intuizione ermeneutica e produrre traduzioni di qualità.
La metodologia di ricerca di Wills si basa pertanto sulla riduzione del testo originale al suo contenuto tematico e alla sua tipologia testuale; i testi vengono quindi classificati secondo tipologie ideali e relazioni complesse ridotte a formule ottenute “empiricamente”, suddividendoli in categorie secondo generi e temi universali. Questi temi devono essere riconvertiti dal traduttore in una lingua e in un contesto diversi, ma sono concepiti per produrre lo stesso effetto dell‟originale.
Tuttavia, la teoria di Wills cade in quello che i critici letterari chiamano l‟errore empirico115: questi metodi universalizzanti rischiano infatti di tralasciare gli elementi che non rientrano nelle categorie, a omettere le contraddizioni e a eliminare aspetti ironici e artifici che fanno quasi sempre parte dei testi.
Oltre all‟Università di Saarbrücken, anche la scuola di Lipsia, nata intorno alla metà degli anni ‟60, si è notevolmente evoluta e ha offerto un contributo significativo alla teoria della traduzione contemporanea.
Tra gli studiosi che hanno gravitato intorno alla scuola di Lipsia va certamente ricordato Otto Kade. Lo studioso concepiva una gamma piuttosto ampia di tipologie testuali116 «che sono integrati a seconda della forma e del contenuto»117. A quel tempo Kade si interessava della traduzione a livello di significato o di parola, per cui proponeva quattro tipi di corrispondenza: uno-a-uno (equivalenza totale); uno-molti (equivalenza opzionale); uno-parte [di uno] (equivalenza approssimativa) e uno- nessuno (equivalenza zero). Dopo aver diviso il testo in parti o unità, il traduttore
114 Wolfram Wills, The Science of Translation: Problems and Methods, citato in Osimo, Storia… cit., p. 216.
115 Gentzler, op. cit., p. 75.
116 Kade parla di Textgattungen, vale a dire non necessariamente tipi di testo, ma testi classificati in modo generale. Cfr. Osimo, Storia… cit., p. 216.
doveva scegliere l‟equivalente ottimale da un insieme variabile di equivalenti o opzioni; l‟elaborazione delle unità proseguiva poi con l‟elaborazione di un insieme omogeneo.
Con il diffondersi della linguistica e delle nuove teorie a essa associate, la scuola di Lipsia si è notevolmente evoluta, sicché il centro di interesse si è spostato dal metodo di traduzione parola per parola a un modello di tipo trasformativo.
Albrecht Neubert, esponente della scuola di Lipsia, a proposito del dibattito sulla teoria della traduzione, arriva a postulare l‟esistenza di un fattore invariabile, vale a dire la tipologia testuale118. Neubert è anche noto per il “modello top-down” della traduzione: il traduttore deve partire dal testo che costituisce l‟unità di traduzione essenziale. Dal testo globale «si procede a ritroso fino ad arrivare alla proposizione globale, che viene poi suddivisa in unità semantiche uniche più piccole trasferibili»119.
Nel processo di ricostruzione del testo Neubert introduce il concetto di „relatività traduttiva‟, che consente un processo creativo di trasferimento dal testo di partenza al testo di arrivo. La relatività deriva dall‟intrinseca molteplicità di possibilità strutturali dell‟originale: tuttavia, una volta che il traduttore sceglie una data parola, cioè una data struttura, il resto del testo segue un modello chiaramente delineato. Egli «concepisce il testo di partenza come un‟”isola di invarianza” e parla di un balzo o di un salto dal testo di partenza; sostiene che la “vera coerenza” […] in realtà è la norma per sezioni più ampie di testo e che le scelte che si pongono al traduttore sono “predestinate”»120.
Strettamente connesso al metodo della scuola di Lipsia e di Saarbrücken è il metodo di Reiss e Vermeer, la cui teoria non è finalizzata a elaborare norme di valutazione in base alle quali si giudica la qualità del testo tradotto.
Il lavoro dei due studiosi culmina in Grundlegung einer allgemeinen Translationstheorie, scritto a quattro mani nel 1984. I due autori sostengono che la traduzione dovrebbe essere «improntata principalmente a un aspetto funzionale dominante, o, per usare la nuova terminologia, allo „skopos‟ (termine greco per indicare l‟intenzione, l‟obiettivo, la funzione) dell‟originale»121.
118 Neubert afferma che, in base ai codici che regolano l‟uso del linguaggio, in qualsiasi situazione comunicativa, è possibile aspettarsi un tipo di testo caratteristico. Cfr. Gentzler, op. cit., p. 79.
119 Ivi, p. 80. 120 Ibidem. 121 Ivi, p. 81.
Reiss non ha come obiettivo la cosiddetta traduzione perfetta, ma suggerisce che i traduttori debbano tentare di ottenere soluzioni ottimali nelle condizioni reali esistenti; sostiene inoltre che il testo di arrivo debba essere coerente e che la sua coerenza dipenda dall‟idea che il traduttore ha della funzione del testo. Per ottenere delle soluzioni ottimali è inoltre necessario che vi sia coerenza tra il testo di partenza e quello di arrivo, ossia che vi sia quella che Reiss chiama „coerenza intertestuale‟.
Uno dei più recenti tentativi di modificare questi modelli, coerentemente con i progressi compiuti dalla linguistica e dalle altre scienze affini, viene da Mary Snell- Hornby che in Translation Studies: An Integrates Approach del 1988, trova il metodo di Reiss – fondato sulla tipologia testuale – troppo rigido e prescrittivo. La studiosa presenta un modello molto più complesso, basato sui recenti sviluppi dei Translation Studies. Opponendosi all‟approccio fondato sul rapporto tra struttura profonda/struttura superficiale e sugli universali di matrice idealista, invece di continuare a riflettere sui processi mentali e sulle strutture innate, la studiosa – in linea con l‟approccio metodologico dei Translation Studies – ha proposto di considerare i testi reali nella cultura di arrivo. L‟obiettivo è creare un nuovo paradigma allo studio della traduzione letteraria, ponendo maggiormente l‟accento non più sulle modalità attraverso cui dovrebbero svolgersi il processo traduttivo122, quanto sulla cultura di arrivo di testi reali.
1.2.3 La traduzione nella cultura anglosassone contemporanea: dalla prima fase