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La traduzione nella cultura anglosassone contemporanea: dalla prima fase dei Translation Studies alla teoria Polisistemica

Nel documento L'acte de traduire L'arte della gioia (pagine 40-50)

1.2 La teoria della traduzione dalla seconda metà del „

1.2.3 La traduzione nella cultura anglosassone contemporanea: dalla prima fase dei Translation Studies alla teoria Polisistemica

Negli anni ‟70 gli studi sulla traduzione letteraria presero due direzioni123 ben distinte: un gruppo di studiosi si concentrò prevalentemente su problemi letterari, affrontati rifiutando i presupposti teorici, le regole prescrittive e il linguaggio specifico della linguistica; un altro gruppo privilegiò un approccio più propriamente linguistico, adottando la terminologia e gli strumenti propri della disciplina.

In entrambi i casi, sia i linguisti che i traduttori letterari guardavano con scetticismo al lavoro e ai risultati provenienti dai reciproci contributi: i traduttori letterari scartavano qualsiasi analisi scientifica, mentre i linguisti evitavano l‟analisi letteraria non linguistica.

122 Gentzler, op. cit., p. 83. 123 Ivi, p. 85.

A intervenire in questa situazione di dicotomia tra linguisti e traduttori letterari – imprimendo un nuovo impulso agli studi sulla traduzione – fu proprio un gruppo di giovani studiosi provenienti dai Paesi Bassi e dal Belgio124, che sperimenteranno una approccio metodologico nuovo: proprio in questi anni nascono i Translation Studies125.

Il termine fu introdotto per la prima volta da James S. Holmes126 nel 1972 – poi consacrato da André Lefevere nell‟Appendice degli Atti del convegno di Lovanio, Colloquium on Literature and Translation – come «il più appropriato a definire la nuova disciplina accademica che aveva per principale oggetto di studio il fenomeno della traduzione»127. Inizialmente il nome fu usato per indicare il particolare approccio di un gruppo di studiosi alla traduzione letteraria, mentre oggi indica tutto l‟insieme della disciplina accademica della traduzione nel mondo di lingua inglese.

Gli studiosi dei Pesi Bassi, intervenendo all‟interno di un dibattito che vedeva in contrasto l‟approccio linguistico con quello letterario, sposteranno quindi il centro dell‟indagine teorica basando la ricerca «su un concetto evolutivo di metascienza, non sul concetto logico positivista, non sul concetto ermeneutico»128.

124 Secondo Gentzler le nazioni più piccole che parlano lingue “minori” dipendono dalla traduzione per la loro stessa sopravvivenza commerciale, politica e culturale; per questo motivo «non stupisce dunque che gli studiosi di quei paesi non solo sappiano di più sulla traduzione, ma possano adattarsi più agevolmente in situazioni di conflitto». Inoltre, vista la posizione geografica che li pone al crocevia della vita intellettuale europea, non stupisce che un nuovo punto di vista sulla traduzione si sia sviluppato proprio in questi paesi Gentzler, op. cit., pp. 86-7.

125 Da questo momento in poi, quando ci si riferirà ai Translation Studies, si adotterà la sigla TS. 126 The Name and Nature of Translation Studies venne pubblicato nel 1975 e più tardi incluso nella raccolta di saggi di Holmes dal titolo Translated! Papers on Literary Translation and Translation

Studies, Amsterdam, Rodopi, 1988 è una versione ampliata di un contributo presentato nella Sezione

Traduzioni del Terzo Convegno Internazionale di Linguistica Applicata tenutosi a Copenhagen nel 1975.

127 Margherita Ulrych, La traduzione nella cultura anglosassone contemporanea: tendenze e

prospettive, in Id, Tradurre. Un approccio multidisciplinare, UTET, Torino, 1997, p. 214.

128 André Lefevere, Translation Poetry: Seven Strategies and a Blueprint, Van Gorcum, Assen- Amsterdam, 1975, p. 7, cit in Gentzler, op. cit., p. 86.

I TS si porranno quindi in modo critico sia verso l‟approccio strettamente linguistico, che tendeva a escludere qualsiasi approccio che potesse essere considerato non-scientifico, sia verso i testi letterari come oggetto di studio, in quanto si allontanavano troppo dalle forme standard del linguaggio129. I TS rifiutano inoltre il concetto di equivalenza tra il testo d‟origine e quello d‟arrivo: al concetto di equivalenza viene sostituito quello di “norma”130.

Gli studiosi dei Translation Studies mostreranno una certa insoddisfazione131 verso l‟approccio letterario tradizionale: la traduzione non veniva considerata un argomento legittimo di studio, ma piuttosto un mezzo per raggiungere qualche altra meta accademica più qualificante. La traduzione e i traduttori erano stati relegati dagli studiosi a un livello infimo, almeno in ambito letterario.

Invece di definire la teoria della traduzione, all‟inizio i TS tentarono di studiare le procedure di traduzione: piuttosto che discutere sulla natura del significato, questa nuova corrente tentò di comprendere come “viaggia” il significato. Come sottolinea Gentzler

l‟aspetto più caratterizzante di questa nuova corrente era l‟insistenza sull‟apertura ad approcci interdisciplinari, l‟obiettivo di far lavorare studiosi di letteratura con i logici, i linguisti con i filosofi, mentre diveniva meno importante definire i confini di distinzioni come giusto e sbagliato, formale e dinamico, letterale e libero, arte e scienza, teoria e pratica. La traduzione letteraria come disciplina non era più suddivisa in traduzione letteraria e non, ma considerata un tutt‟uno. […] Perfino la distinzione tra scrittore originale e traduttore fu messa in discussione, perché oggetto di studio non era né un nucleo assente di “significato” né una “struttura linguistica” profonda, ma piuttosto lo stesso testo tradotto. 132

129 Ulrych, La traduzione… cit., pp. 216-7.

130 Lo studioso della traduzione deve cercare le norme che sottostanno al processo traduttivo, attraverso un modello tripartito proposto da Toury nel 1980. Toury postula tre livelli di rapporti tra il testo di partenza e quello di arrivo: competence (indica modi possibili e teorici di tradurre un testo),

performance (descrizione delle tradizioni esistenti nella realtà) e norms (principi guida più o meno

codificati che gli studiosi della traduzione possono usare per esaminare e ricostruire il processo traduttivo che sta dietro un dato testo). Le norms si possono identificare in base alla descrizione di una

performance che può allora portare alla teorizzazione della competence. Cfr. Ivi, p. 219, nota 13.

131 Ivi, p. 221-2.

In un primo momento i TS favorirono una metodologia traduttiva integrata e ancora fortemente influenzata dal legame con il formalismo russo133, limitando il

campo d‟indagine alle traduzioni concrete esistenti, e non a una teoria generale della traduzione. Tra gli studiosi di questo primo periodo ricorderemo, ad esempio, i già citati Holmes e Lefevere, oltre che Raymond van den Broeck.

Uno dei rappresentanti più importanti della prima fase dei TS fu James Stratton Holmes, morto prematuramente nel 1986. Egli fu uno dei fondatori della moderna scienza della traduzione e autore di The Name and Nature of Translation Studies (1972-75), considerato come il testo programmatico in questo campo. In questo saggio Holmes delinea l‟ambito e la struttura della nuova disciplina, concependo il metodo come una pratica empirica che considera i testi effettivamente tradotti a mano a mano che compaiono in una data cultura.

Nel saggio Holmes suddivide i Translation Studies in tre aree134 di interesse, vale a dire:

1. aspetto descrittivo (i T.S. devono descrivere i fenomeni di traduzione che si manifestano nel mondo);

2. aspetto teorico (i T.S. devono stabilire i principi mediante i quali si possono spiegare questi fenomeni);

3. aspetto applicato (i T.S. devono usare l‟informazione ottenuta dalle aree 1 e 2 nella pratica della traduzione e nella formazione dei traduttori).

Superando il concetto di fedeltà/infedeltà della traduzione, Holmes sostiene che «ogni traduzione deve essere ritenuta come un atto di interpretazione critica»135: i Translation Studies quindi non devono occuparsi dell‟identità tra testo di partenza e testo di arrivo, quanto dell‟analisi del rapporto tra:

a. testo tradotto (come testo secondario) e testo di partenza;

133 I Translation Studies prendono le distanze dalla teoria di Chomsky e di Nida, che si concentrano entrambe su componenti generative della struttura profonda, a discapito delle caratteristiche della struttura superficiale reale. Il formalismo russo e i Translation Studies privilegiano caratteristiche specifiche della struttura superficiale, analizzandole alla ricerca delle componenti che rendano il testo un‟opera letteraria. «In realtà, i formalisti russi, pur utilizzando concetti tematici, li relegarono in una posizione di secondo piano e si preoccuparono maggiormente di criteri compositivi. Sostenevano infatti che le idee astratte sono molto simili nel corso della storia; quello che contava per loro erano i modi in cui erano espressi i concetti tematici, che nei Translation Studies vengono utilizzati in modo analogo, anche se non occupano più una posizione primaria e determinante, ma una in cui dipendono dalla cultura e dalla lingua in cui sono inseriti». Gentzler, op. cit., p. 90.

134 Ivi, p. 105. 135 Ivi, p. 103.

b. testo tradotto (come testo primario) e le pratiche di significazione nell‟ambito della tradizione della cultura di arrivo.

Holmes inoltre afferma che «ogni traduttore di poesia lavora consciamente o inconsciamente in varie dimensioni, facendo scelte su ciascuno dei tre piani, quello linguistico, quello letterario e quello socioculturale, e sull‟asse delle x dell‟esotizzazione versus naturalizzazione e l‟asse delle y della storicizzazione versus modernizzazione»136.

Egli insiste sul fatto che i TS dovrebbero concentrarsi sul processo di traduzione, analizzando le scelte fatte dal traduttore tra le migliaia di possibilità che gli si offrono. Una volta fatte le scelte iniziali, la traduzione inizia a produrre regole proprie determinando le scelte successive137.

Per Holmes il processo traduttivo permette al traduttore di concentrarsi simultaneamente sulla singola parola e, contemporaneamente, sull‟intero testo (sulle interazioni cioè tra la singola unità e l‟insieme); il traduttore, mentre traduce, ha in mente una mappa del prototesto e, contemporaneamente, proietta sulla cultura ricevente una mappa dell‟ipotetico metatesto:

Ho ipotizzato che in realtà il processo traduttivo sia un processo a vari livelli; mentre traduciamo frasi, abbiamo una mappa dell‟originale in mente e nel contempo una mappa del tipo di testo che vogliamo produrre nella lingua ricevente. Anche quando traduciamo in serie, abbiamo questa concezione strutturale così che ogni frase della nostra traduzione è determinata non solo dalla frase dell‟originale ma anche dalle due mappe dell‟originale e del testo tradotto che ci portiamo dietro mentre traduciamo.138

136 James S. Holmes, The Name and Nature of Translation Studies, p. 7, citato in Osimo, Storia… cit., p. 212.

137 Cfr. Gentzler, op. cit., p. 108.

André Lefevere, in una delle sue opere più famose, Translating Poetry: Seven Strategies and Blueprint del 1975, rivela un approccio piuttosto simile a quello di Holmes, tentando cioè di adottare un metodo più empirico e obiettivo:

Il compito del traduttore è proprio quello di rendere il testo di partenza, l‟interpretazione dell‟autore originale di un dato tema espresso in un certo numero di variazioni, accessibile ai lettori che non abbiano familiarità con queste variazioni sostituendo la variazione dell‟autore originale con i suoi equivalenti in una lingua, tempo, luogo e tradizione differente. Particolare rilievo deve essere dato al fatto che il traduttore deve sostituire tutte le variazioni contenute nel testo di partenza con i loro equivalenti139

In linea con quanto affermato da Holmes sulla pratica della traduzione, van der Broeck evita buona parte della terminologia teorica che aveva caratterizzato tradizionalmente la traduzione. Anzi, è proprio Van der Broeck a sottolineare il bisogno di respingere l‟idea che la relazione di equivalenza possa essere ancora applicata alla traduzione. Egli si oppone inoltre a termini quali somiglianza, analogia, adeguatezza, invarianza e congruenza, oltre che alle loro concrete applicazioni140.

Un contributo significativo agli approcci metodologici dei TS venne dalla Teoria Polisistemica, elaborata all‟inizio degli anni ‟70 da Itamar Even-Zohar, uno degli esponenti di spicco della scuola di poetica di Tel Aviv141, una sorta di continuazione ideale del formalismo russo e dello strutturalismo ceco. Sarà proprio Even-Zohar a parlare per la prima volta di polisistema come un insieme di sistemi letterari (dalla forme elevate e canonizzate fino ad arrivare alla poesia “bassa” e non canonizzata) presenti in una data cultura142.

Partendo dal concetto di sistema letterario gerarchico elaborato da Tynjanov143, Itamar Even-Zohar conia il termine polisistema per riferirsi all‟intera rete

139 André Lefevere, Translating Poetry: Seven Strategies and Blueprint, 1975, citato in Gentzler, op.

cit., p. 107.

140 Gentzler, op. cit., p. 109. 141 Cfr. Osimo, Storia… cit., p. 228. 142 Gentzler, op. cit., p. 119.

143 A Tynjanov si deve il merito di aver introdotto il termine “sistema”. In esso gli elementi non sono mai completamente isolati, ma sempre in rapporto con altri elementi di altri sistemi. Per Tynjanov era possibile suddividere l‟intero mondo letterario in molteplici sistemi strutturali, organizzati attraverso quello che lui chiamava ordine sociale. L‟ordine sociale consisteva in tutto ciò che era stato normalizzato, automatizzato, regolarizzato. Ogni singolo elemento del sistema veniva messo in relazione con la norma letteraria preesistente, per stabilire poi le leggi immanenti che presiedevano alla sua realizzazione. Cfr. Gentzler, op. cit., p. 123-9.

di sistemi correlati – letterari ed extraletterari – all‟interno della società144. Attraverso

la “teoria polisistemica” Even-Zohar per tenta di spiegare la funzione di tutti i tipi di scrittura nell‟ambito di una data cultura, dai testi canonici a quelli marginali. In particolare, secondo lo studioso la letteratura tradotta opera in modo diverso a seconda dell‟epoca, della forza e della stabilità del particolare “polisistema” in cui è inserita. Il rapporto tra le opere tradotte e il polisistema letterario non può essere definito né primario, né secondario, ma variabile a seconda delle circostanze specifiche che operano all‟interno di un sistema letterario dato.

Even-Zohar delinea tre situazioni sociali che determinano una situazione in cui la traduzione manterrebbe una posizione primaria145:

a. quando una letteratura è “giovane” o si trova in una fase di affermazione; b. quando una letteratura è “periferica” o “debole”, oppure quando presenta

entrambe queste caratteristiche;

c. quando una letteratura attraversa una crisi o si trova a una svolta.

Nel primo caso, tipico della situazione israeliana, la traduzione soddisfa la necessità di una letteratura giovane di utilizzare il suo nuovo linguaggio per il maggior numero possibile di tipi di scrittura diversa. Nella seconda situazione (ad esempio in un piccolo paese come i Paesi Bassi), la letteratura non è in grado di riprodurre tutti i tipi di scrittura che può realizzare un sistema più ampio; per questo motivo la letteratura “periferica” ricorre alla traduzione per introdurre nel sistema dei testi che stabiliscano un precedente. Infine, nel terzo caso, i modelli letterari consolidati non stimolano più la nuova generazione (come accadeva nell‟America degli anni ‟60) che si rivolgono altrove alla ricerca di nuovi modelli e spunti.

Secondo Even-Zohar condizioni sociali opposte caratterizzerebbero situazioni in cui la traduzione sarebbe di importanza secondaria per il polisistema. Infatti, in sistemi forti come quello francese o angloamericano, con molti tipi diversi di scrittura e tradizioni letterarie ben sviluppate, la scrittura originale produce innovazioni nelle idee e forme di traduzione indipendenti, relegando le traduzioni in una posizione marginale rispetto al funzionamento globale del sistema letterario.

144 In effetti Even-Zohar non può essere considerato un teorico della traduzione, ma della cultura. Cfr. Gentzler, op. cit., p. 129.

Secondo lo studioso, quando la letteratura tradotta assume una funzione primaria, i confini tra testi tradotti e testi originali diventano molto vaghi: dal momento che la funzione è quella di introdurre una nuova opera nella cultura ricevente e modificare i rapporti esistenti, i testi tradotti tendono a riprodurre le forme e le relazioni testuali dell‟originale, adeguate alla lingua di partenza146.

Se la forma del testo tradotto è troppo radicale o troppo straniante, il testo tradotto corre il rischio di non integrarsi nel sistema letterario della cultura ricevente; se il nuovo testo risulta “vincente”, esso tende a fungere da sistema primario: i codici sia della letteratura originale che di quella tradotta della cultura ricevente risultano quindi “arricchiti”.

Inoltre, sempre secondo Even-Zohar la traduzione rappresenta un‟attività secondaria all‟interno di un dato polisistema, i tentativi dei traduttori di trovare modelli già pronti per la traduzione determinano traduzioni conformi alle norme estetiche prestabilite della cultura ricevente, a spese della forma originale del testo.

Questa teoria influenzerà in modo significativo i TS, benché tra le due teorie permanessero delle evidenti differenze147. Mentre infatti la teoria polisistemica faceva

leva sulle norme sociali e sulle convenzioni letterarie della cultura ricevente (o di arrivo) che stanno alla base dei presupposti estetici del tradurre, i Translation Studies si concentreranno maggiormente sulle corrispondenze 1:1 e sul concetto di equivalenza funzionale. I Translation Studies infatti si concentrano sulle capacità soggettive del traduttore di produrre un testo equivalente che a sua volta abbia la capacità di influire sulle convenzioni letterarie e culturali di una società particolare.

Al d là delle differenze tra i due approcci, grazie alla teoria polisistemica molti studiosi legati ai TS rivoluzioneanno le loro teorie. Ad esempio, Theo Hermans sottolineerà l‟importanza delle teorie di Even-Zohar per la propria visione della letteratura come sistema complesso e dinamico, unitamente a un metodo empirico148 legato allo studio sul campo delle traduzioni.

André Lefevere, ad esempio, integrerà la propria teoria introducendo il concetto di „sistema ideologico‟149, vale a dire un insieme di discorsi che lottano in difesa di interessi rilevanti per mantenere o mettere in discussione le strutture di potere essenziali per un‟intera forma di vita sociale e storica.

146 Gentzler, op. cit., p. 133. 147 Ivi, p. 120.

148 Ivi, pp. 149-50. 149 Ivi, p. 155.

Uno degli effetti150 più rilevanti della teoria polisisistemica sui Translation

Studies fu di mettere in rilievo il ruolo centrale occupato, nel corso del tempo, dalla traduzione letteraria, la quale aveva avuto un‟incidenza importantissima nel polisistema occidentale. La prospettiva storica diventava di primaria importanza, al punto che gli studiosi della traduzione si dedicarono «ad esaminare non solo la storia della traduzione ma anche dei traduttori»151. Nel corso dei loro studi scoprirono, per esempio, che le culture tendono a tradurre in modo diverso in momenti storici diversi: «le culture traducono di più […] quando si sentono in posizione marginale o periferica. Per contro, quando una cultura attraversa un periodo di espansione coloniale o imperialistica non sente la necessità di importare traduzioni»152.

I Translation Studies, attraverso l‟esperienza della teoria polisistemica, porranno l‟attenzione sulla cultura, considerata come la struttura di riferimento per lo studio della traduzione. Anzi, la prospettiva storica cui i T.S. fecero riferimento dimostrò che le traduzioni rappresentano un fattore determinante nello sviluppo della cultura nel mondo, e che anzi esisteva uno stretto rapporto tra evoluzione letteraria ed evoluzione culturale.

Secondo Bassnett e Lefevere, in un saggio del 1990, Translation, History and Culture, la traduzione deve essere studiata solo come un fenomeno interculturale; gli elementi linguistici e testuali vanno quindi indagati alla luce di come il testo funziona all‟interno di un più vasto e complesso sistema culturale. Questo approccio – chiamato da Bassnett e Lefevere cultural turn153 (svolta culturale) segna il passaggio dal testo alla cultura (considerata unità di traduzione putativa).

Nella seconda fase dei Translation Studies diventa centrale l‟idea che studiare la traduzione oggi equivalga a essere consapevole dei processi che in un certo momento temporale plasmano la cultura154. Tali processi includono certamente fattori economici, politici e sociali: «in short, the ideological dimension, so long ignored in investigations of translation process, has been restored and our knowledge of cultural history has consequently been enriched»155.

150 Ulrych, La traduzione… cit., p. 231. 151 Ibidem.

152 Ivi, p. 232.

153S. Bassnett, A. Lefevere, Translation, History and Culture, London-New York, Pinter, 1990, p. 4. 154 Ulrych, La traduzione… cit., p. 234.

155 «In breve, la dimensione ideologica, ignorata tanto a lungo nelle analisi dei processi traduttivi, è stata ripristinata e conseguentemente si è arricchita la nostra conoscenza della storia culturale», in Bassnett, Translation, Tradition, Transmission, 1989, citato in Ulrych, La traduzione… cit., pp. 234-5.

Bassnett quindi solleva la questione della presenza ubiqua dell‟ideologia, dal momento che il traduttore svolge un innegabile ruolo di mediazione tra due realtà culturali, ed è quindi soggetto a pressioni ideologiche e, talvolta, a manipolazioni: da una parte infatti il traduttore può modificare deliberatamente il testo d‟origine per utilizzarlo a scopi personali; dall‟altra i traduttori «possono essere manipolatori involontari, inconsapevoli soltanto perché la propria cultura d‟origine, il proprio linguaggio contengono e celano ideologie (come ogni altra lingua e cultura)»156.

Solo la linguistica è in grado di fornire gli strumenti per scoprire, sfidare e decostruire le ideologie che condizionano, più o meno coscientemente, l‟impegno dei traduttori e di emanciparli dal ruolo di «schiavi invisibili e servili delle strutture di potere dominanti a qualsiasi livello della società»157.

Altra questione centrale affrontata dagli studiosi della seconda fase dei T.S. è l‟autorità dell‟originale, che viene messa in discussione. Le traduzioni non sono considerate testi secondari e, per così dire, supplementari; i traduttori vengono invece considerati lettori autorevoli le cui interpretazioni del testo di origine portano alla creazione di nuovi testi:

Il rapporto di potere esistente nell‟atto stesso della lettura e della riscrittura è mutato e perciò sia le traduzioni sia i traduttori acquistano autorità. Come un testo assume una nuova forma con la traduzione, così i traduttori sono riconosciuti quali visibili strumenti che rendono tale cambiamento possibile.

Nel documento L'acte de traduire L'arte della gioia (pagine 40-50)