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La tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti lavoratori

Nel documento Carcere e diritti sociali (pagine 93-97)

L’organizzazione del lavoro penitenziario

12. La tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti lavoratori

L’Op penitenziario stabilisce che i detenuti possono rivolgersi alla magistratura di sorve-glianza con lo strumento del reclamo in caso di violazione delle regole relative “l’attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede e la remunerazione nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali” (articolo 69). Il magistrato di sorveglianza in questo caso decide con ordinanza impugnabile in cassazione seguendo la procedura prevista dall’articolo 14 ter Op.

La competenza in materia di lavoro penitenziario della magistratura di sorveglianza, stabili-ta dall’articolo 69, è sstabili-tastabili-ta messa in discussione dalla giurisprudenza e dalla dottrina molte volte dopo l’entrata in vigore dell’Op del 1975. Una recente sentenza della Corte Costituzionale (la numero 341 del 2006) è arrivata a rimuoverla del tutto e ad attribuirla al giudice del lavoro. Per comprendere a pieno il significato e la portata di questo cambiamento è necessario fare una ricostruzione del percorso legislativo e giurisprudenziale che l’hanno preceduta.

Anzitutto bisogna ricordare che la formulazione citata dell’69 Op è stata introdotta solo nel 1986 dalla legge Gozzini. Precedentemente, il Magistrato decideva sui reclami proposti dai dete-nuti in materia di lavoro con un mero ordine di servizio il quale, non essendo qualificabile come un provvedimento giurisdizionale ma come semplice atto amministrativo, non era impugnabile in Cassazione. Una sentenza della Corte Costituzionale (103 del 1984) aveva stabilito, però, che tale strumento di tutela non giurisdizionale dei diritti del detenuto lavoratore non poteva sostituirsi alla tutela giurisdizionale del giudice del lavoro, al quale il detenuto poteva in ogni caso ricorrere “non essendovi motivo di distinzione, a tale proposito, tra il normale lavoro subordinato ed il lavoro dei detenuti o internati”171. In sintesi, il detenuto per tutelare i propri diritti di lavoratore poteva sia proporre reclamo al magistrato di sorveglianza che ricorrere al giudice del lavoro.

Questo sistema di tutela è stato successivamente modificato dalla legge Gozzini che ha reso la Magistratura di Sorveglianza l’unico organo giurisdizionale competente in materia di diritti del detenuto lavoratore172. Essa ha stabilito, inoltre, che la decisione del magistrato debba essere

170 In tal senso Corte Cassazione, sez. lav., 28 giugno 1976, n. 2469, Busardo e 9 novembre 1978, Pederzin, rispettiva-mente in “Foro Italiano”, 1976, I, p. 1804 e in “Foro italiano”, 1979, I, p. 368; cfr. anche R. Ciccotti, F. Pittau, Aspetti del lavoro carcerario nell’evoluzione giurisprudenziale, in “Rassegna di studi penitenziari e criminologici” I-II, 1982, pp. 125 e ss. Si veda anche M. Villa, Cosa accade al rapporto di lavoro nel caso di carcerazione preventiva del lavoratore?, in “Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale”, 2000, fascicolo 1, pt. 2, pp. 78-81.

171 Prima della riforma della Gozzini, dunque, era competente il Pretore in materia di controversie di lavoro fra detenuti e datori di lavoro privati e tribunale amministrativo per le controversie fra lavoratori detenuti e am-ministrazione penitenziaria.

172 Secondo alcuni (Vitali 2001, Cardanobile-Bruno-Basso-Careccia 2007) la disciplina dell’articolo 69 si deve ri-ferire esclusivamente al lavoro penitenziario alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, dovendosi ritenere inapplicabile per il lavoro alle dipendenze di terzi.

assunta con provvedimento giurisdizionale impugnabile in Cassazione e non più con semplice ordine di servizio e che si debba applicare la procedura camerale dell’articolo 14ter Op173. Dopo l’entrata in vigore della legge Gozzini, la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che:

benché il lavoro carcerario, prestato dal detenuto all’interno o all’esterno dello stabilimento detentivo a favore dell’amministrazio-ne penitenziaria oppure all’esterno a favore alle dipendenze di altri datori di lavoro, sia assimilabile all’ordinario lavoro subordinato, la competenza del giudice del lavoro per le relative controversie deve ritenersi derogata a favore del magistrato di sorveglianza per effetto dell’attribuzione a quest’ultimo dei reclami dei detenuti concernenti l’attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede e la remunerazio-ne, lo svolgimento delle attività di tirocinio e lavoro, e le assicura-zioni sociali, nell’ambito di una competenza di tale giudice alla quale deve riconoscersi natura giurisdizionale nel quadro della disciplina introdotta dalla riforma penitenziaria di cui alla l. n. 663 del 1986, che prevede lo svolgimento di uno speciale procedimento nel quale sono garantiti i diritti di difesa e la decisione con ordinanza impugna-bile per cassazione. (Corte Cass., Sez. U, sent. n. 490 del 21.7.1999)

Secondo alcuni l’attribuzione alla magistratura di sorveglianza della competenza in ma-teria di lavoro penitenziario comporta una tutela debole dei diritti del detenuto lavoratore (Vitali 2001, Furfaro 2008). In effetti, la procedura prevista dall’articolo 14ter non garantisce il diritto di contraddittorio, come nella procedura innanzi al giudice del lavoro174. Pertanto, ci troveremmo di fronte ad una grave violazione dell’articolo 3 della Costituzione, poiché si legittima un’ingiustificata disparità di trattamento dei detenuti rispetto ai lavoratori liberi, e dell’articolo 24 della Costituzione, perché non si garantisce il diritto alla difesa. La Corte di Cassazione nel 2001 si è pronunciata sulla presunta incompatibilità della procedura prevista dagli articoli 69 e 14 con i principi costituzionali ed ha stabilito che:

è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzio-nale dell’articolo 69 ord. pen. in relazione all’articolo 409 cpc e con riferimento all’articolo 3 Cost.; infatti le diversità strutturali fra il rito applicabile per le ordinarie controversie di lavoro e quello proprio del procedimento davanti al magistrato di sorveglianza per il lavoro dei detenuti, una volta assunta la natura giurisdizionale quale minimo denominatore comune di entrambi, non escludono la ragionevolezza della previsione di una diversa competenza per

173 L’articolo 14 prevede che la decisione venga presa nel corso di una camera di consiglio alla presenza del difen-sore del detenuto e di un rappresentante dell’amministrazione penitenziaria.

174 L’articolo 14 ter prevede che il magistrato di sorveglianza decida “con ordinanza in camera di consiglio entro dieci giorni dalla ricezione del reclamo […] il procedimento si svolge con la partecipazione del difensore e del pubblico ministero. L’interessato e l’amministrazione possono presentare memorie”. La procedura non si svolge con le modalità di un vero e proprio contraddittorio orale, dal momento che le parti possono presentare solo memorie scritte. Si tenga, inoltre, presente che se il datore di lavoro fosse un privato tale procedura non lo legittimerebbe a presentare neanche memorie scritte.

le controversie concernenti il lavoro carcerario, date le peculiarità del relativo rapporto che, avendo come parte un detenuto, è, per ciò stesso, inserito in un contesto di attività, che risultano stret-tamente connesse e consequenziali alla pena, e, pertanto, istitu-zionalmente sottoposte alla sorveglianza del giudice penale (Corte Cass., Ss. Uu., 26 gennaio 2001, Min. Giust. c. Stojakovic, in “Il foro italiano” 2001, I, p. 2890).

Questo orientamento è stato completamente ribaltato dalla sentenza della Corte Costi-tuzionale numero 341 del 2006, menzionata all’inizio del paragrafo. Nella sentenza la Corte ha dichiarato, infatti, incostituzionale l’articolo 69 nella parte in cui attribuisce alla Magistratura di Sorveglianza la competenza in materia di lavoro dei detenuti, ed ha trasferito la compe-tenza al giudice ordinario del lavoro. La sencompe-tenza ha un contenuto molto articolato che vale la pena di ricostruire, anche perché definisce in maniera forse definitiva i principi generali in tema di tutela dei diritti dei detenuti lavoratori.

La Corte nella sentenza afferma due principi generali. Il primo è che il lavoro dei detenuti è da considerarsi parte di un trattamento finalizzato al recupero della persona e alla “valo-rizzazione delle attitudini e delle specifiche capacità lavorative del singolo”. Il secondo è che i detenuti, sia che lavorino alle dipendenze dell’amministrazione che di terzi, sono titolari di una serie di diritti uti persona che non possono venir meno o essere tutelati con minore effi-cacia a causa dello stato detentivo. A tali principi la Corte fa conseguire che:

1) i diritti delle parti coinvolte devono essere tutelati in sede giurisdizionale e “tali diritti non sono soltanto quelli dei detenuti, ma anche quelli degli altri soggetti del rapporto, quali i datori di lavoro, che non devono subire indirettamente menomazioni della propria sfera giuridica per il solo fatto di aver stipulato contratti con persone sottoposte a restrizione della libertà personale”;

2) la configurazione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dai rapporti di lavoro dei detenuti possono anche non coincidere con quelle che contrassegnano il lavoro libero, ma solo se “risulta necessario per mantenere integre le modalità essenziali di esecu-zione della pena, e per assicurare, con la previsione di specifiche modalità di svolgimento del processo, le corrispondenti esigenze organizzative dell’amministrazione penitenziaria”; 3) è da considerare illegittima ogni “irrazionale e ingiustificata discriminazione” con riguardo

ai diritti inerenti alle prestazioni lavorative tra i detenuti e gli altri cittadini.

La Corte ha affermato anche che sia il detenuto che l’amministrazione hanno il diritto a far valere le loro pretese nel corso di un procedimento giurisdizionale basato sul contraddittorio, come imposto dagli articoli 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione. La procedura camerale prevista dall’Op, secondo il giudizio della Corte, “non assicura al detenuto una difesa nei suoi tratti essenziali equivalente a quella offerta dall’ordinamento a tutti i lavorato-ri, giacché è consentito un contraddittorio puramente cartolare, che esclude la diretta partecipa-zione del lavoratore-detenuto al processo”. Allo stesso tempo essa “non assicura adeguata tutela

al datore di lavoro, posto che all’amministrazione penitenziaria è consentito solo la presentazio-ne di memorie, e che il terzo eventualmente interessato quale controparte del lavoratore (situa-zione che ricorre nel caso oggetto del giudizio principale) resta addirittura escluso dal contrad-dittorio, pur essendo destinato, in ogni caso, a rispondere, in via diretta o indiretta, della lesione dei diritti spettanti al detenuto lavoratore”. In conseguenza di ciò, lo strumento di tutela offerto dall’Op comprime in maniera irragionevole “le garanzie giurisdizionali essenziali riconosciute a tutti i cittadini”. La Corte precisa, inoltre, che l’amministrazione penitenziaria non può sottrarsi alle decisioni dell’autorità giudiziaria in materia di lavoro adducendo come giustificazione supe-riori esigenze di carattere organizzativo dal momento che queste “possono essere affrontate e risolte in modo razionale dall’amministrazione penitenziaria, senza che sia indispensabile attuare per legge il sacrificio di diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione”.

La decisione della Corte è un apprezzabile tentativo di parificare la posizione del detenuto la-voratore a quello del lala-voratore libero. Gli effetti di tale cambiamento, però, non sono da valuta-re altvaluta-rettanto positivamente, poiché sembrano aver minato ulteriormente l’efficacia della tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti lavoratori. Per supportare questa affermazione ricordiamo nuovamente il caso del mancato adeguamento delle mercedi ai Ccnl, analizzato nel paragrafo 7. Abbiamo visto che il passaggio di competenze al giudice del lavoro ha scoraggiato le vertenze per l’adeguamento delle mercedi poiché il rito del lavoro, previsto dall’articolo 409 cpc175, presenta dei tempi molto più lunghi rispetto a quelli del procedimento camerale del Magistrato di Sorve-glianza. Inoltre, il fatto che il rito del lavoro si svolga in contraddittorio è, paradossalmente, causa di una minor tutela del detenuto176. I detenuti lavoranti, infatti, nella gran parte dei casi non si trovano in condizioni economiche tali da potersi permettere una difesa qualificata che regga ade-guatamente il confronto in contraddittorio con l’amministrazione penitenziaria. La legge prevede l’istituto del gratuito patrocinio a spese dello stato anche in materia civile e del lavoro177 grazie al quale i non abbienti, titolari di un reddito inferiore ai 10,628,16 €178, possono richiedere che l’ono-rario e le spese dell’avvocato legale e le spese processuali, vengono liquidati dal giudice al termi-ne del processo e pagati dallo Stato (Dpr 115 del 2002). Purtroppo, però, l’estrema lentezza con la 175 Il rito del lavoro si applica solo ai contratti di lavoro subordinato, secondo una dottrina minoritaria, però, il lavoro alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria non può essere qualificato come rapporto di lavoro subordinato e, pertanto, andrebbe applicato il rito ordinario (Cardanobile-Bruno-Basso-Careccia 2007).

176 Cardanobile (2007b) ha sostenuto, inoltre, che la sentenza della Corte si è inutilmente espressa su un aspetto già pacifico cioè quello della competenza del giudice del lavoro per le cause relative al lavoro penitenziario alle dipendenze di terzi.

177 Il patrocinio a spese dello Stato può essere concesso anche nell’ambito dei giudizi civili, amministrativi, conta-bili o tributari già pendenti ed anche nelle controversie civili, amministrative, contaconta-bili o tributarie per le quali si intende agire in giudizio. Era già previsto per il processo penale e del lavoro nonché per il processo di impu-gnazione del decreto di espulsione di stranieri e per i ricorsi al Garante per la protezione dei dati personali, è stato esteso ai giudizi civili ed amministrativi nonché alle procedure di volontaria giurisdizione dalla legge n. 134 del 2001che ha riformato la L. 217 del 1990 (poi abrogata dall’art. 299 del Dpr n. 115 del 2002).

178 Ogni due anni un decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia e del Ministero dell’Economia e delle Finanze adegua il limite di reddito alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati accertata dall’Istat. L’importo attuale è stato fissato dal Decreto del Ministero della Giustizia del 20 gennaio 2009 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 27 marzo 2009 n. 72).

quale i giudici decidono se ammettere o meno il richiedente al gratuito patrocinio e le parcelle degli avvocati vengono liquidate, spesso i pagamenti avvengono dopo 4 o 5 anni dalla chiusura della causa179, scoraggia gli avvocati dall’assumere difese di non abbienti e compromette, pertan-to, l’accesso al diritto alla difesa. Nel caso dei detenuti stranieri a questa difficoltà si aggiungono anche ostacoli di altra natura: sono sprovvisti di un documento d’identità e spesso registrati con generalità false180 e, pertanto, non riescono ad ottenere dall’autorità consolare del proprio paese d’origine un documento che attesti la loro effettiva condizione economica e patrimoniale.

La Corte nella sua decisione è partita dall’assunto che il lavoro sia parte del trattamen-to rieducativo ed è, di conseguenza, un dirittrattamen-to soggettivo da tutelare in via giurisdizionale. In realtà il lavoro penitenziario è trattato come un privilegio concesso discrezionalmente dall’amministrazione che, ricordiamo, non è un datore di lavoro qualsiasi, ma è anche la tito-lare del rapporto punitivo. Questa sovrapposizione di ruoli fa si che molti detenuti desistano dal ricorrere contro l’amministrazione per timore delle ripercussioni che questo potrebbe avere. Inoltre, il fatto che il lavoro sia previsto come obbligatorio comporta che in qualsiasi momento il detenuto possa essere legittimamente sospeso dal lavoro senza la necessità di un atto formale di licenziamento impugnabile in sede giurisdizionale.

Nel documento Carcere e diritti sociali (pagine 93-97)