• Non ci sono risultati.

il titolo di soggiorno dello straniero in esecuzione pena

Nel documento Carcere e diritti sociali (pagine 190-194)

detenuti stranieri e diritti sociali

4. il titolo di soggiorno dello straniero in esecuzione pena

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente la condanna penale comporta, salvo rare eccezioni, la perdita del titolo di soggiorno. Prima che una sentenza della Corte Costituzio-nale riconoscesse che lo straniero in esecuzione pena è regolare in forza di una sentenza di condanna che lo costringe a restare sul territorio (sentenza numero 78 del 5 marzo 2007), era stata messa in dubbio la legittimità della permanenza sul territorio dello straniero detenuto o in esecuzione di una misura alternativa.

Inizialmente il problema era stato risolto da alcune circolari ministeriali che avevano rico-nosciuto la legittimità della permanenza sul territorio dello straniero in misura alternativa. La circolare del Ministero del lavoro numero 27 del 15 marzo 1993 aveva stabilito che gli stranieri sprovvisti di permesso di soggiorno che sono obbligati, in forza di una decisione giurisdizio-nale, a permanere sul territorio Italiano e a svolgere attività lavorativa in misura alternativa alla pena detentiva, in forza di una ordinanza del Tribunale di sorveglianza o di un provvedi-mento di ammissione al lavoro all’esterno, possono essere avviati al lavoro sulla base della ordinanza del magistrato di sorveglianza che dispone l’affidamento in prova ai servizi sociali o la semi-libertà. La lettera circolare del Ministero di Grazia e Giustizia (prot. 547671/10) del 12/04/1999, aveva confermato che “il permesso di soggiorno, per i detenuti e per gli inter-nati extracomunitari avviati al lavoro extramurario in misura alterinter-nativa o ammessi al lavoro all’esterno, non è necessario, attesa appunto la condizione di detenzione”. Infine la circolare del Ministero dell’Interno numero 300 del 2000372 aveva chiarito che “in riguardo alla posizio-ne di soggiorno dei cittadini stranieri detenuti ammessi alla misure alternative previste dalla

legge, quali la possibilità di svolgere attività lavorativa all’esterno del carcere si rappresenta che la normativa vigente non prevede il rilascio del permesso di soggiorno ad hoc per detti soggetti. In queste circostanze non si reputa possibile rilasciare un permesso di soggiorno per motivi di Giustizia né ad altro titolo, ben potendo l’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza costituire ex se un’autorizzazione a permanere nel territorio nazionale”.

Successivamente una sentenza della Cassazione (numero 30130 del 2003) aveva imposto una soluzione di segno opposto a quella adottata dalle circolari ministeriali:

l’affidamento in prova al servizio sociale e, in genere, tutte le mi-sure extramurarie alternative alla detenzione, non possono essere applicate allo straniero extracomunitario che si trovi in Italia in condizioni di clandestinità, atteso che tale condizione rende illega-le la permanenza del medesimo straniero nel territorio dello Stato e non può, d’altra parte, ammettersi che l’esecuzione della pena abbia luogo con modalità tali da comportare la violazione o l’esclu-sione delle norme che rendono configurabile detta illegalità.

Nel caso sottoposto alla Cassazione, il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Lecce aveva impugnato il provvedimento con il quale il Tribunale di sorveglianza di Taranto aveva disposto una misura alternativa in favore di una detenuta straniera. La Corte partendo dall’assunto che fosse “contra legem la permanenza nello Stato di uno straniero che vi ha fatto ingresso clandestinamente” riteneva che “l’esecuzione della pena nei confronti dello stesso non può avvenire se non con modalità che non comportino la violazione o la elusione delle regular iuris che statuiscono tale carattere di illegalità”. Di conseguenza lo “status di clandestinità dello straniero” era considerato come “oggettivamente ostativo all’applicazione di misure alternative”.

Santoro (2004) ha evidenziato che la sentenza della Corte di Cassazione aveva delle im-plicazioni insostenibili. Il titolo che legittima e obbliga lo straniero a rimanere sul territorio, sia che l’esecuzione debba avvenire in carcere o in misura alternativa è lo stesso: l’ordine di esecuzione di condanna. Se si afferma, come ha fatto la Corte, che questo titolo di esecuzione non è sufficiente a legittimare la permanenza dello straniero condannato, allora si dovrebbe dedurre che ogni modalità di esecuzione penale, ad eccezione dell’espulsione come misura sostitutiva (articolo 16 Tu), è impossibile nei suoi confronti. Lo straniero non potrebbe nean-che essere recluso in carcere perché “clandestino” e sarebbe sottoposto ad un regime speciale di esecuzione della pena che deroga a tutte le norme dell’Ordinamento Penitenziario.

Inoltre, le affermazioni della Cassazione si ponevano in evidente contrasto con l’articolo 27 comma terzo della Costituzione. Come ha sostenuto Santoro (2004) tale precetto costitu-zionale impone che la pena, sia detentiva che in misura alternativa, debba tendere alla riedu-cazione del ”condannato” intendendosi per tale qualsiasi individuo, italiano o straniero, che subisce una condanna penale. Le misure alternative sono parte di quel trattamento rieducati-vo del condannato che, ai sensi dell’articolo 1 dell’Op, deve essere garantito a tutti i detenuti senza distinzione basata alla nazionalità.

Tale orientamento della Cassazione373 è stato successivamente smentito da un’altra sen-tenza (numero 14500 del 2006) nella quale la Corte di Cassazione a Sezioni unite ha affermato la condizione dello straniero clandestino o irregolare, pur se soggetto ad espulsione ammi-nistrativa da eseguire dopo l’espiazione della pena, non è di per sé ostativa alla concessione di misure extramurarie374. La Cassazione in questa sentenza ha stabilito che “l’ordinamento penitenziario non opera alcuna discriminazione del relativo trattamento sulla base della li-ceità, o non, della presenza del soggetto nel territorio dello Stato italiano, e non contiene alcun divieto, esplicito o implicito, di applicazione delle misure alternative alla detenzione a favore del condannato straniero che sia entrato o si trattenga illegalmente in Italia”. Il divieto di discriminazione contenuto dall’articolo 1 dell’Op va interpretato, secondo la Corte, alla luce degli articoli 2, 3 e 27 della Costituzione, dalla cui lettura combinata si evince che la rie-ducazione è un diritto che va garantito a tutti i condannati inclusi coloro “che versino in con-dizione di clandestinità o di irregolarità e siano perciò potenzialmente soggetti ad espulsione amministrativa da eseguire dopo l’espiazione della pena”.

Il riferimento che la Corte fa al provvedimento di espulsione di cui potrebbe essere ogget-to il detenuogget-to straniero merita un approfondimenogget-to. Prima della sentenza in oggetogget-to, infatti, la Cassazione aveva sostenuto (sentenza 30330 del 2003) che il fatto che gli stranieri possono essere espulsi anche prima della fine dell’esecuzione della pena, sulla base della previsione dell’articolo 16 del Tu Immigrazione (supra paragrafo 3), fa si che essi siano sottoposti ad una sorta di “regime speciale” di esecuzione penale che non è finalizzato alla rieducazione ma alla sua custodia in attesa del rimpatrio. La sentenza 14500 ha ribaltato tale opinione: secondo la Corte l’espulsione prevista dall’articolo 16 non ha caratteri dell’automaticità e della generalità tali da configurare un regime detentivo speciale per i detenuti stranieri. Infatti sono numerosi i casi in cui l’espulsione potrebbe non essere disposta: quando la nazionalità e l’identità dello straniero non siano accertati, quando egli debba scontare una pena detentiva, anche residua, superiore a due anni (art. 16, comma 5, primo periodo), quando sia stato condannato per un reato ostativo (quelli previsti dall’art. 407, comma 2, lett. a, c.p.p e per i reati previsti dal Tu Immigrazione) e, infine, nei casi di inespellibilità previsti dall’art. 19 del Tu.

Il contrasto tra i due orientamenti giurisprudenziali è stato risolto, infine, dalla sentenza della Corte costituzionale numero 78 del 2007 la quale ha stabilito che lo straniero detenuto è da considerarsi regolare per tutto il periodo in cui dura la detenzione e ha il diritto di acce-dere alle misure alternative extramurarie. La Corte era stata chiamata a giudicare la legittimi-tà delle norme sulle misure alternative che, secondo l’interpretazione della Cassazione, non

373 Inizialmente la Cassazione ha confermato l’orientamento espresso nella sentenza 30330 del 2003 in ulteriori decisioni: Cass., Sez. I, 20/5/2003, Calderon, rv. 226134; Sez. I, 5/6/2003, Mema, rv. 225219; Sez. I, 11/11/2004, Pg in proc. Hadir, rv. 230191; Sez. I, 22/12/2004, Pg in proc. Raufu Emiola Orolu.

374 Questa linea interpretativa si è affermata inizialmente in riferimento alla semilibertà (Cass., Sez. I, 14/12/2004, Pg in proc. Sheqja, rv. 230586), successivamente in relazione all’affidamento in prova al servizio sociale (Cass., Sez. I, 18/5/2005, Ben Dhafer Sami, rv. 232104, Sez. I, 18/10/2005, P.G. in proc. Tafa; Sez. I, 25/10/2005, P.G. in proc. Chafaoui; Sez. I, 24/11/2005, P.G. in proc. Metalla).

sono accessibili agli stranieri non comunitari375. La Corte è partita dall’assunto che la finalità rieducativa della pena prevista dall’articolo 27 della Costituzione deve “contemperarsi con le altre funzioni che la Costituzione assegna alla pena medesima, vale a dire: prevenzione gene-rale, difesa sociale, prevenzione speciale”. In ogni caso nessuna di queste finalità può prevalere totalmente e prevaricare in maniera definitiva le altre. L’accesso al diritto al trattamento peni-tenziario non può essere precluso, pertanto, in maniera automatica, definitiva e permanente sulla base del tipo di reato commesso o della pena inflitta (sentenze numero 306 del 1993 e 161 del 1997). In ragione di tale principio la Corte ha stabilito che il principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione è incompatibile con l’articolo 27 della Costituzione dal momento che esso comporta la “radicale esclusione dalle misure alternative alla detenzione di un’intera categoria di soggetti, individuata sulla base di un indice – la qualità di cittadino extracomuni-tario presente irregolarmente sul territorio dello Stato – privo di univoco significato rispetto ai valori rilevanti ai fini considerati”. Inoltre, a giudizio della Corte l’esclusione dei condannati stranieri dalle misure alternative è illegittima poiché:

risulta collegata in modo automatico ad una condizione soggetti-va – il mancato possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato – che, di per sé, non è univocamente sin-tomatica né di una particolare pericolosità sociale, incompatibile con il perseguimento di un percorso rieducativo attraverso qual-siasi misura alternativa, né della sicura assenza di un collegamento col territorio, che impedisca la proficua applicazione della misura medesima. In conseguenza di siffatto automatismo, vengono quin-di ad essere irragionevolmente accomunate situazioni soggettive assai eterogenee: quali, ad esempio, quella dello straniero entrato clandestinamente nel territorio dello Stato in violazione del divie-to di reingresso e detenudivie-to proprio per tale causa, e quella dello straniero che abbia semplicemente omesso di chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno e che sia detenuto per un reato non ri-guardante la disciplina dell’immigrazione.

La Corte giudicava, dunque, incostituzionali gli articoli 47, 48 e 50 dell’Op (che disciplinano le misure alternative dell’affidamento in prova ai servizi sociali e la semi libertà) se “interpre-tati nel senso che allo straniero extracomunitario, entrato illegalmente nel territorio dello Stato o privo del permesso di soggiorno, sia in ogni caso precluso l’accesso alle misure alter-native da essi previste”.

La Corte ha affermato che lo straniero in esecuzione pena, sia detentiva che in misura alternativa, è da considerarsi regolarmente soggiornate sul territorio dal momento che “è 375 Il giudice del rinvio può sollevare dubbi di costituzionalità concernenti l’interpretazione normativa imposta da principi di diritto enunciati dalla Corte di cassazione (Corte Cost. sentenze numero 58 del 1995, n. 257 del 1994, n. 138 del 1993). Nel caso in esame oggetto del ricorso di costituzionalità erano state, infatti, le norme che disciplinano le misure alternative alla detenzione nell’interpretazione data dalla sentenza della Cassazione numero 30130 del 2003.

proprio la condizione di persona soggetta all’esecuzione della pena che abilita ex lege – ed anzi costringe – lo straniero a permanere nel territorio dello Stato”. Secondo la Corte nel mo-mento in cui il legislatore prevede che il condannato straniero non venga espulso ma sconti la pena in Italia “adotta una soluzione che implica l’accettazione della perdurante presenza dello straniero nel territorio nazionale durante il tempo di espiazione della pena stessa”.

L’autorizzazione del detenuto straniero a rimanere in Italia è limitata però al tempo in cui dura la pena376. Al termine dell’esecuzione, infatti, il detenuto potrebbe non avere diritto ad ottenere o a rinnovare il permesso di soggiorno a causa della condanna penale subita377 (arti-colo 5 del Tu Immigrazione) e deve essere espulso dal territorio (art. 13 del Tu).

Nel documento Carcere e diritti sociali (pagine 190-194)