TECNICHE DI VISUALIZZAZIONE DELLA CONOSCENZA E RICERCA SOCIALE
VI. Criticità e nuovi svilupp
6.1. I limiti delle tecniche original
La rifiorita letteratura sulla knowledge visualization che ha accompagnato l’inizio del nuovo millennio emergono una serie di problemi legati all’uso del conceptual mapping e del mind mapping nelle loro versioni originarie. Essi possono essere a mio avviso ricondotti a tre criticità di ordine generale tra loro interconnesse.
La prima è costituita dal menzionato feticismo nutrito verso queste tecniche dai loro stessi ideatori (cfr. par 5.4) che si è tradotto in un’eccessiva ortodossia nell’applicazione delle formule originali, in una scarsa riflessione sui loro limiti intrinseci e sulla loro applicabilità a situazioni specifiche e in un mancato confronto costruttivo tra i sostenitori dell’uno o dell’altro approccio. La seconda è legata alle menzionate nuove esigenze di resource-based e self-regulated learning che, tra le altre cose, evidenziano una serie di ostacoli di carattere tecnologico. La terza riguarda l’ingenuo ottimismo che abbiamo visto serpeggiare in larga parte di cognitivisti riguardo la possibilità di “fotografare” i processi e le strutture cognitive esplicitando la conoscenza tacita; ciò sottostimando l’influenza della
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dimensione emotiva, inconsapevole e inconscia. Va però riconosciuto che un maggior pragmatismo e l’implementazione di nuovi software e tecnologie hanno oggi favorito notevoli passi in avanti in merito a molti di questi problemi. Tuttavia, come vedremo, la strada per “fotografare” il pensiero – se mai ne esista una – è ancora molto lunga e tortuosa.
6.1.1. Rigidità metodologiche e tecnologiche
In linea generale, vari autori sottolineano che le Mc sono molto utili a rappresentare la conoscenza proposizionale, ma non per forza le altre forme di sapere presenti nella mente degli individui. Anche le teorie cognitive inerenti all’elaborazione e rappresentazione della conoscenza riconoscono oggi come questa sia in larga parte costituita da codici non verbali come l’immaginario visivo, l’analogia, il suono o altre informazioni sensoriali (Kosslyn 1980; Johnson-Laird 1983; Baddeley 1985; Paivo 1986; Chabris e Kosslyn 2005). Sfruttare meglio l’immaginazione e rappresentarne i risultati divengono così oggi le principali sfide della knowledge visualization.
Un’altra questione generale riguarda la rigida struttura morfologica delle mappe. Secondo Donald Densereau [2005], la regola più importante sarebbe infatti far corrispondere attentamente la struttura della rappresentazione a quella del tema trattato: forzare ad esempio procedure o processi, tipicamente rappresentati da catene o loop, in una struttura gerarchica verticale o radiale risulta controproducente. In questo senso potremmo dire che il Representation Correspondence Principle individuato da Chabris [2005], secondo il quale la rappresentazione deve corrispondere alla forma del processo cognitivo soggiacete, non pare tener conto della struttura degli specifici problemi e oggetti trattati e per i quali le mappe tradizionali non costituiscono sempre soluzioni ottimali. Sottovalutare il fatto che spesso sono gli stessi oggetti da interpretare a richiamare strutture cognitive particolari (cfr. par. 1.7), conduce così a violare i principi di referenzialità e dipendenza della diagrammatologia – ovvero gli stessi criteri alla base delle discipline cartografiche (cfr. par. 4.1.2).
In continuità con questa problematica, Keller e Tergan [2005] sottolineano come le Mc tradizionali siano state pensate e usate per descrivere, definire e organizzare la conoscenza in un dato ambito in modo statico. Non è così ad esempio possibile sfruttare a pieno la rappresentazione del campo semantico, mostrando come il mutamento di un concetto influenzi quelli ad esso connessi. Questi limiti hanno ricadute di non poco conto, «impediscono alle mappe concettuali di essere impiegate ad esempio per rappresentare la conoscenza scientifica, in quanto questa si basa su relazioni tra concetti sia statiche sia dinamiche» [ivi: 18, tda]. In questo senso, secondo Pedroni [2005], la mappa dovrebbe supportare anche le informazioni in merito al grado di consenso attorno alla propria struttura, esplicitando gli aspetti evolutivi e dinamici del confronto tra scuole di pensiero; questo problema si intreccia peraltro con quello legato alla forma della rappresentazione.
La mappa sviluppata dal singolo esperto, ad esempio nell'ambito del suo insegnamento in un corso di formazione, tende facilmente ad assomigliare a una struttura ad albero. Ciò dipende
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principalmente dall'abitudine mentale degli esperti, il cui background culturale comprende chiaramente il concetto di indice, di struttura tassonomica gerarchica (anche perché tale è la struttura degli indici dei libri di testo), ma difficilmente comprende il concetto di mappa, e di esplicitazione del tessuto di relazioni. Se invece la mappa viene generata dalla collaborazione di molti esperti, la transizione da struttura ad albero a struttura a mappa è inevitabile. Una struttura gerarchica non può, infatti, supportare una diversità di vedute e una negoziazione di significati, in quanto si rivela fortemente limitante nei confronti delle esigenze dialettiche, a causa della stessa regola che impone l’aspetto gerarchico in tutte le relazioni segnalate [ivi: 6].
Queste prime osservazioni rilevano la necessità di strumenti morfologicamente più flessibili. Tornando ad esempio alla figura 3 del capitolo V, vediamo tuttavia come già lo stesso Novak usava lavorare con regole meno stringenti di quelle da lui stesso dettate a livello teorico. Si osserva infatti una Mc priva di un concetto focale e che, frutto di un lavoro collettivo atto a rappresentare il processo produttivo di un’azienda, non si sviluppa “ad albero rovesciato”, ma “a mappa” in senso orizzontale. Sherman Alpert [2005] osserva ad esempio come nelle Mc non sempre un concetto è in rapporto di genere / specie con quelli sottostanti (ad esempio il legame: animale-uccello-canarino, non è uguale al legame uccello-respira-ossigeno)4. La rinuncia a una struttura rigidamente gerarchica è pertanto necessaria, ma ciò impedirà di ridurre all’occorrenza una mappa complessa a pochi concetti fondamentali. Così, seppure alcuni software offrano la possibilità di rappresentare le mappe su più livelli, questo rimane un problema aperto.
Infine, tutte le criticità sin qui evidenziate sono in parte legate e acuite da una serie di limitazioni tecnologiche: a differenza dell’information visualization la knowledge visualizaion si è infatti a lungo servita esclusivamente di rappresentazioni bidimensionali, peraltro disegnate su fogli o stampate su carta. È così stato a lungo impossibile rappresentare la dimensione dinamica della mappa, svilupparla su più livelli e collegarla ad altre mappe o ad altri tipi di fonti informative. Tergan [2005] sottolinea come le tradizionali Mc cartacee limitino la possibilità di compiere connessioni trasversali tra concetti distanti e impediscano di “concretizzare” la rete di concetti che le compongono attraverso altri contenuti (note, bozzetti, immagini, etc)5. Favorendo l’astrattezza e la generalità dei concetti, esse impediscono così la rappresentazione sia di content knowledge sia di resource knowledge – ovvero di collegamenti a esemplari di un dato concetto e a indicazioni su dove trovare le informazioni rilevanti. Similmente a Simon, George Siemens [2005] evidenzia che la conoscenza non si limita oggi al know-
what o al know-how, ma va considerata anche in termini di know-where: è sempre più importante
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In altri termini, per rappresentare strutture gerarchiche pure, le mappe dovrebbero limitarsi ad esprimere conoscenza di carattere pre-assertorio (cfr. par. 1.7) nella quale i concetti sono connessi da legame genere / specie – relazione che non può invece costituire il nesso tra due asserti.
5 Abbiamo visto (cfr. par. 5.3.2) come Buzan non contempli la raffigurazione di legami trasversali tra concetti distanti,
consigliando piuttosto di ripetere i concetti in posizioni differenti. Dal canto suo anche Novak suggerisce di ridurre al minimo i collegamenti trasversali, o comunque di disegnarli in un secondo momento. Il primo caldeggia inoltre maggiormente l’uso delle immagini, ma si mostra più intransigente verso le annotazioni in quanto inibitrici del pensiero creativo.
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sapere dove reperire le fonti di conoscenza e dove organizzare e riporre la propria. Una Mc che rappresenta semplicemente una rete di asserti non sarebbe così in grado di aiutare l’utente in questo compito.
6.1.2. Difficoltà di comprensione e d’uso
L’altra generale area problematica riguarda la difficoltà d’uso di questi strumenti, spesso sottovalutata dai loro sviluppatori. Soprattutto rispetto alle Mc sono infatti state empiricamente rilevate difficoltà per gli utenti sia nella loro creazione sia nella loro decodifica.
In merito alla prima, Densereau [2005] afferma che, se è pur vero che bastano due ore per imparare a usare e costruire le Mc, ci vuole comunque parecchia pratica prima di sviluppare un proprio stile personale o, più in generale, di usare le mappe con maggior profitto rispetto agli strumenti ai quali siamo abituati dall’infanzia come, primo fra tutti, il testo. A livello di lettura e comprensione l’autore descrive il fenomeno del cosiddetto ‘map shock’: una reazione emotiva negativa alla complessità visiva che ne inibisce la decodifica. Il disegnatore deve pertanto «bilanciare l’importanza della specificazione delle relazioni con il bisogno di chiarezza visiva e semplicità di elaborazione» [ivi: 73]. Inoltre, come abbiamo visto, la disposizione spaziale proposta può essere diversa da quella che l’utente crea nei suoi modelli mentali; è pertanto consigliabile promuovere strategie affinché egli possa trasformare la mappa in altre forme di rappresentazione strutturata come testi, indici o altri diagrammi. Anche Pedroni [2005: 1 e 8] mette in guardia dal fatto che il livello di complessità6 della rappresentazione possa influire negativamente sul suo utilizzo.
La rappresentazione della conoscenza, e la fruibilità stessa delle mappe, iniziano a perdere di efficacia al superamento di una certa soglia di complessità […] La difficoltà di rappresentazione delle mappe il cui numero di nodi si avvicina a 100 è evidente, ancor più se il grafo è strettamente connesso, ovvero caratterizzato da un numero di archi significativamente maggiore del numero di nodi […] Utilizzando le Mc in questo senso, è facile rendersi conto che, oltrepassate le poche decine di nodi e archi, la leggibilità e la comprensibilità della Mc iniziano a calare rapidamente, e giungono a trasformare l’iniziale ergonomia in un disordine scomodo e inefficiente, rendendo faticosi l’esplorazione e lo studio del documento-mappa.
Spesso la complessità di un tema rende peraltro difficile adottare soluzioni di compromesso tra completezza e leggibilità che non sfocino nell’eccessiva semplificazione. Se infatti, come abbiamo visto nel precedente capitolo, le fissazioni oculari non sono in grado di riconoscere poco più di tre semplici oggetti colorati per volta – e la memoria verbale a breve termine può trattenere al massimo
6 L’autore osserva i sistemi complessi da una prospettiva differente da quella qui già incontrata (cfr. par. 3.2.1) e legata a
sistemi che, nel caso delle Mc, sono fondati su schemi entità-relazione.Tale prospettiva «evidenzia un altro carattere che, se pure non rientra nelle definizioni canoniche, è comune e riscontrabile in tutti gli ambiti: la sensibile differenza tra il numero delle entità e il numero delle relazioni. In un sistema complesso, il rapporto tra relazioni ed entità è nettamente superiore a 1 e può raggiungere valori molto elevati» [Pedroni 2009: 1].
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sette elementi – sarebbe possibile usare soltanto mappe molto semplici, che difficilmente daranno conto di problemi complessi e poco strutturati.
In merito all’etichettamento dei legami, il problema riguarda la sotto o sovra-specificazione delle relazioni. Usare troppi codici per creare una descrizione dettagliata potrebbe aumentare troppo la complessità della visualizzazione per l’utente e mascherare l’informazione veicolata dalla struttura spaziale della mappa [Densereau 2005]. D’altro canto, l’assenza di specificazione dei legami può condurre ad ambiguità, confusione e interpretazioni fallaci.
Il conceptual mapping è una sofisticata strategia per la strutturazione della conoscenza che richiede molto allenamento e un alto livello di competenza visuale e spaziale […] Il mind mapping è considerata una tecnica semplice che è in circolazione da quando gli uomini preistorici raffiguravano sulle pareti delle grotte. Il potenziale del mind mapping per favorire l’acquisizione di conoscenza può però essere valutato come relativamente scarso, perché le Mm permettono di rappresentare gli elementi della conoscenza, ma non supportano la strutturazione attiva del sapere a causa della mancanza di funzionalità atte a creare reti di conoscenza e a rappresentare ed etichettare le relazioni semantiche tra gli elementi [Neumann et al: 260, tda].
Jean-Francois Rouet e colleghi [2005] segnalano che, se generalmente l’uso di Mc migliora la comprensione del testo, i risultati sperimentali a riguardo sono tutt’altro che univoci. In uno studio condotto con studenti universitari [Potelle e Rouet 2003] rilevarono che una rappresentazione gerarchica può aiutare gli studenti con scarse conoscenze su un dato argomento, mentre per quelli già esperti sembrano più utili rappresentazioni a rete, come i grafi. In linea con Wiegemann [et al. 1992], concluse che gli effetti della rappresentazione dei contenuti sono in parte determinati dal livello di conoscenza pregressa del lettore. A simili conclusioni giunge anche Tergan [2005: 199]:
La passata ricerca ha svelato che raramente le Mc sono usate in maniera spontanea dagli studenti, perché costituiscono un compito cognitivo faticoso nel quale il processo di modifica può essere spesso goffo e caotico. Usare le Mc per la gestione della conoscenza richiede competenze particolari […] Il tipo di compito e di tema trattati, le caratteristiche della mappa, la quantità di pratica necessaria, l’inclinazione a imparare a memoria o significativamente, quella a servirsi del testo o dell’immagine, sono variabili che possono influenzare l’efficacia dell’apprendimento attraverso le Mc (Lambiotte e Dansereau 1992; Wiegman et al. 1992; Bruillard e Baron 2000; O’Donnell Dansereau e Hall 2002; Dansereau 2005).
La futura ricerca in materia dovrà pertanto concentrarsi su come intrecciare costruttivamente questi aspetti con le nuove possibilità offerte dalle tecnologie digitali e dalla Rete. Forse con un pizzico di presunzione, il tedesco afferma che le basi per un simile programma di ricerca sarebbero state gettate proprio dal suo gruppo di lavoro nel corso della decima Biennial Conference of the European
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Association for Research on Learning and Instruction (Earli) a Padova nel 2003. Impulso ulteriore
sarebbe stato fornito dall’International Workshop on Visual Artifacts for the Organization of
Information and Knowledge7, tenutosi l’anno seguente presso il Knowledge Media Research Center di
Tübingen (diretto dallo stesso Tergan) con l’intento di instaurare un dialogo tra esperti afferenti ai campi della knowledge e information visualization.