TECNICHE DI VISUALIZZAZIONE DELLA CONOSCENZA E RICERCA SOCIALE
VII. Mappatura della conoscenza, grounded theory e ricerca empirica
7.1. La Grounded Theory costruttivista
7.2.1. Mappare la conoscenza personale e sociologica
Mappare la propria conoscenza concettuale nella fase progettuale, o comunque prima di andare sul campo, non è di certo una novità nella ricerca sociale né appannaggio esclusivo dell’approccio non standard. Più di trent’anni fa Marradi [1980: 86] evidenziò una serie di problemi legati alla fase progettuale dell’indagine sociale afferente alla famiglia dell’associazione.
Può capitare che man mano che si affina il modello e si penetra la complessità della situazione, ci si renda conto di non poter inserire in un modello una o più variabili che ora ci appaiono essenziali, perché esse non sono state considerate tali al momento di raccogliere i dati, e quindi non sono state operativizzate e non compaiono nella matrice.
Il metodologo puntualizza che nemmeno il ricorso alle fonti statistiche ufficiali garantisce di per sé la fedeltà dei dati, né ci tutela dalla mancata copertura di aree semantiche pertinenti all’oggetto e all’obiettivo dell’indagine. Egli sottolinea pertanto «l’importanza di un’accurata riflessione su tutte le proprietà che possono risultare rilevanti per gli obiettivi di una ricerca» [ibidem]. Per fare ciò suggerisce di «partire da una riflessione (molto meglio se di gruppo) sui concetti che interessano il nostro problema di ricerca, e poi cercare le varie definizioni operative o i relativi indicatori nelle fonti ufficiali o nelle domande di questionari già redatti» [Marradi 2007: 202].
È proprio rispetto alla problematica della parziale irreversibilità del processo di ricerca standard che Marradi [1980] introdusse nel suo primo manuale uno strumento che chiamò ‘macro-modello’; in seguito – per evitare confusioni con il modello dell’analisi di dati – cambiò il nome in ‘mappa dei concetti’ [2007: 203]: «una specie di rete, o diagramma di flusso, in cui tutti i concetti che andiamo scegliendo sono collocati su un foglio e posti in relazione tra loro mediante frecce, come avviene tra le variabili in un modello». Tuttavia, mentre il modello è composto da variabili, la mappa è composta da concetti. Pertanto, se la sua costruzione dovrebbe precedere la fase di raccolta dei dati, quella di modelli (siano essi impliciti o espliciti) precederà ogni passo della loro analisi. La mappa, troppo complessa per essere trasformata in un singolo modello statistico, servirà invece a scegliere preliminarmente i concetti e a suggerire poi alcuni modelli specifici da analizzare. Dati il campo d’applicazione, in questo tipo di mappa alle linee che uniscono i concetti non viene accostato un predicato che determini qualitativamente le connessioni; queste esprimono generica associazione che starà eventualmente al ricercatore precisare sulla base della sua conoscenza in sede di interpretazione dei risultati.
Nella mia sommaria ricognizione ho potuto rilevare che molti ricercatori empirici portano esempi di mappatura dei concetti anche in ambito non standard come strumenti per rappresentare la propria conoscenza pregressa, confrontarla / integrarla con quella rintracciata in letteratura e con quella del gruppo di ricerca [Brightman 2003; Cañas et al. 2008; Clarke 2003; Daley 2004; Diana e
168
Montesperelli 2005; Grimaldi 2011; Grimaldi e Gallina 2014; Hipsky 2006; Kinchin e Hay 2000; Kinchin et al 2010; Meier 2007 e Stake 2010].
Robert Stake [2010: 106, tda] osserva che «spesso un ricercatore non riesce a trovare letteratura rilevante in altre discipline perché lui o lei non ha sufficientemente considerato che le altre discipline usano termini diversi per lo stesso concetto. Una mappa concettuale può essere utile ad analizzare la letteratura in campi differenti». Esempio interessante in questo senso l’indagine coordinata da Petra Meier [2007] sull’applicabilità di modelli matematici per la presa di decisioni informate in interventi per il contrasto del crimine armato. In sede di pianificazione vennero usate le Mm per creare un documento visuale che organizzasse la letteratura sull’argomento e fosse fruibile da parte di tutto il gruppo di ricerca. Nel riconoscere la difficoltà del mettere in comunicazione differenti paradigmi e terminologie (da quello sociologico a quello giudiziari e medico), l’autrice segnala come l’uso di una Mm permise innanzitutto di arrivare a una costruzione condivisa e partecipata del concetto di crimine armato.
Dato che l’obiettivo preliminare dell’équipe era l’identificazione e definizione dei concetti chiave, piuttosto che la qualificazione dei loro legami, venne privilegiato lo strumento delle Mm. Anche altri autori sottolineano l’utilità delle mappe per «amalgamare il gruppo di ricerca» [Diana e Montesperelli 2005] e per facilitarne la presa di decisioni [Muzzi e Ortolani 2003]. Renato Grimaldi [2011: 294] afferma che «le mappe concettuali sono al servizio del lavoro di gruppo poiché consentono di agevolare il confronto intersoggettivo del proprio modello mentale con quello degli altri, facilitano i processi di condivisione e di costruzione collaborativa di conoscenze (Trinchero2003)».
Un caso limite è costituito dal lavoro di Wheeldon [2011] che, in una ricerca sui corsi di formazione ai responsabili delle risorse umane presso i Ministeri di Giustizia lituano e canadese, chiese ai futuri intervistati di inviargli una mappa mentale che rappresentasse il loro ruolo all’interno dell’organizzazione. Secondo l’autore, oltre ad aiutare i ricercatori nella formulazione di una traccia d’intervista pertinente, quest’operazione stimolò i soggetti a riflettere preventivamente e ad offrire così rappresentazioni più articolate in sede d’intervista8
.
Un’altra interessante esperienza è quella dell’uso della tecnica del Pre-Conceptual Mapping, proposta e usata in chiave fenomenologica da Shellie Hipsky [2006: 719, tda] e da lei definita come «una procedura formalizzata per individuare, documentare e usare le assunzioni preconcette nella ricerca qualitativa9». L’autrice riprende le parole di Glaser [2002], per il quale il rapporto del
8 Wheeldon afferma inoltre che questo vantaggio fu controllato confrontando le interviste fatte a coloro che avevano prima
inviato una mappa con quelle fatte a coloro che non l’avevano inviata e conteggiando i concetti d’interesse affrontati dagli uni e dagli altri. I primi avrebbero espresso il 15% di concetti in più dei secondi. Ritengo tuttavia forzoso interpretare un simile conteggio come indicatore della qualità del contenuto del colloquio. Inoltre il gruppo di controllo era chiaramente affetto da un bias motivazionale in quanto composto da coloro ai quali era stato chiesto di inviare la mappa prima dell’intervista, ma non l’avevano fatto.
9 Orientamento simile è riscontrabile nel lavoro di Chris Tattersall e colleghi [2007]. A partire da indagini non standard nel
campo del nursing, questi evidenziano le potenzialità dell’uso di mappe mentali nell’approccio fenomenologico. Affermano infatti che «nella semplice analisi del testo, ad esempio di tradizionali trascrizioni d’intervista, il cervello potrebbe agire secondo logiche troppo stringenti, e non essere libero di fare connessioni originali; ciò non permetterebbe di
169
ricercatore con l’oggetto non è altro che “un’altra variabile nell’ambito della costante attività comparativa”; una componente positiva e inevitabile della ricerca, nella misura in cui viene riconosciuto dal ricercatore. Le mappe pre-concettuali di Hipsky costituirebbero così una strategia sistematica per esplicitare queste conoscenze, ovvero per:
- identificarle in sede di progettazione;
- confrontarle con la base empirica in sede di analisi;
- fornire, inserendole nel rapporto di ricerca, utili elementi al lettore per compiere le proprie interpretazioni e valutazioni.
L’autrice porta l’esempio di un’indagine sociologica su un progetto teatrale da lei stessa curato, nella quale usò le pre-conceptual maps anche per monitore le proprie sovrapposizioni di ruolo. Queste le permisero di formulare un elenco di quelli che, sulla base dell’esperienza pregressa e della letteratura, prevedeva sarebbero stati i risultati dell’indagine e di confrontarli in seguito con quelli empirici.
Il più significativo e peculiare aspetto del pre-conceptual mapping è la capacità di analizzare quelle scoperte che non erano state previste nella pre-conceptual map. Elencando le categorie che sono emerse nel corso dello studio, come originariamente sconosciute e inimmaginabili da parte di una persona in possesso di un determinato expertise e di nozioni preconcette rispetto ai risultati, questa procedura rende giustizia alla domanda originale […]: “Come può un ricercatore che ha un certo
bias in merito all’oggetto di studio esaminare il tema in maniera sistematica tenendo in
considerazione i suoi preconcetti?” In questo modo le sue precomprensioni possono essere sfidate dalle scoperte fatte sul campo [Hipsky 2006: 725, tda].
Vari altri autori sottolineano l’utilità di forme di mappatura della conoscenza, in particolare delle Mm, prima dell’esperienza empirica. Jenny Brightman [2003: 2, tda] sostiene che possono essere usate come “strumento di apprendimento” in quanto «aiutano il ricercatore a esplorare e definire cos’è che sta cercando di fare organizzando il proprio pensiero nei vari passaggi del progetto (dalla pianificazione, alla strutturazione del rapporto conclusivo)». Ian Kinchin e David Hay [2000: 45, tda] affermano che «la mappatura concettuale promuove lo sviluppo di competenze cognitive fornendo un punto di riferimento esplicito per la riflessione. Questo processo è descritto da McAlsee (1994) come ‘auto-monitoraggio’. Una aspetto chiave di questo meccanismo è la visualizzazione della learning
arena per come ritratta dalla mappa».
Una volta creata la mappa delle proprie conoscenze, credenze e rappresentazioni di partenza (individuali o collettive) come rete di concetti, questa potrà inoltre essere usata come contesto semantico anche in sede di interrogazione dei motori di ricerca presenti in Rete (ad esempio secondo le compiere un’effettiva messa tra parentesi (bracketing) delle idee preconcette nel gruppo di ricerca, essenziale per l’analisi fenomenologica» [ivi: 33, tda].
170
modalità presentate nel paragrafo 6.2), allo scopo di rendere più precise ed efficaci le proprie search
queries. Per restare in Italia, Grimaldi [2011: 295] illustra le funzioni del metodo Sewcom (Search the Web with Concept Maps) che impiega un approccio meta-cognitivo per la ricerca di informazioni online, attraverso quattro passi:
- brainstorming e contestuale creazione di una Mc10 con parole correlate all’argomento che si vuole cercare;
- ri-strutturazione topologica della mappa sulla base delle aree semantiche individuate e uso dei motori di ricerca con le parole chiave di ciascuna area;
- lettura e valutazione dei documenti trovati e scoperta di nuovi termini da aggiungere alla mappa; - ri-strutturazione creativa della mappa e quindi della nuova conoscenza acquisita, con
l’evidenziazione delle interrelazioni fra concetti appartenenti ad aree semantiche differenti.
In linea generale, sia dentro sia fuori dalla Rete, l’autore afferma che tali mappe permettono di fruire di risorse che sono collegate tra loro con criteri di connessione, in quanto consentono di visualizzare sia l’unità informativa sia il contesto / percorso in cui essa si colloca.