OGGETTO CONOSCENZA
4.3. Prospettiva di riferimento: la ricerca come apprendimento
I processi descritti in questa prima sezione – dalla comparsa degli oggetti nel campo di coscienza alla formulazione di teorie nell’ambito delle scienze sociali – offrono una serie di elementi di comprensione per poter affrontare questo studio a partire dal seppur banale assunto che la ricerca scientifica è innanzitutto un processo di apprendimento, peraltro costellato di azzardi, dubbi, errori e ripensamenti. In estrema sintesi, impariamo qualcosa confrontando i fenomeni sui quali si posa la nostra attenzione – secondo i particolari punti di vista, interessi, condizioni psicologiche ed emotive del momento – con il nostro bagaglio di conoscenze pregresse. Quest’ultimo integra rappresentazioni sia delle nostre esperienze dirette del mondo esterno sia di quelle che ci vengono raccontate, così come di quelle che avvengono nella nostra interiorità (pensiero, fantasia, immaginazione) e che, pur afferendo a regioni di senso differenti, concorrono a nutrirlo e a modificare così i nostri schemi interpretativi.
Tutti, compresi gli scienziati sociali, nascono, si sviluppano e vivono nel proprio mondo della vita quotidiana; esso è preesistente e in larga misura derivato socialmente. Nell’ambito di questo processo continuo e inesauribile che caratterizza l’intera esistenza (“la coscienza è sempre coscienza di qualcosa”) noi possiamo muoverci servendoci degli schemi e dei criteri coerenti che caratterizzano le diverse province di significato nelle quali ci muoviamo. Le scienze non sono infatti altro che particolari mondi vitali caratterizzati da schemi, regole e linguaggi propri; ma il processo di apprendimento dello scienziato, non inizia all’interno di quei mondi, né a un certo punto vi si rinchiude, ma nasce e si intreccia con quello che accade nel suo mondo della vita quotidiana, nella sua comunità linguistica, sociale, etc.
La messa in discussione delle categorie di senso comune, l’atteggiamento dell’epoché, è peraltro adottabile sia dall’uomo di scienza sia dall’uomo della strada, qualora egli, di fronte a un nuovo problema, si interroghi sulla plausibilità dei propri asserti (e anzi tematizzi le condizioni date per scontate mediante le quali il problema si pone come tale e si cominciano a impostare gli strumenti per risolverlo), cercando di ricostruire il processo che in precedenza lo ha condotto a formularli e a darli fino a nuovo avviso fuor di questione. Indagine teorica ed empirica costituiscono così un particolare processo di apprendimento che intreccia gli schemi interpretativi afferenti alle diverse province di significato del ricercatore nello sforzo di ricondurre la conoscenza acquisita a quella della scienza, di modo da renderla tematizzabile, argomentabile e integrabile con il sapere emerso da coloro che la abitano. Questa, a differenza di altre, esige enunciati chiari, coerenti e logicamente argomentati, che possano essere dimostrati esplicitando, per quanto possibile, i processi politetici dei quali essi costituiscono sintesi di ordine superiore. Ciò non significa però che la conoscenza scientifica scaturisca
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da processi logico-deduttivi: il ruolo delle inferenze informali – dall’intuizione all’abduzione – sono ormai riconosciuti; senza di esse sarebbe possibile esercitarsi soltanto nelle tautologie. Allo stesso tempo è illusorio credere di poter cancellare o neutralizzare i propri orientamenti e giudizi o di poter esplicitare del tutto la connoiseurship che guida il ricercatore passo per passo nella sua indagine.
Alla luce di questa prospettiva, il presente studio intende riflettere sulla possibilità e utilità di rappresentare diagrammaticamente le strutture concettuali e assertorie emergenti dal processo di ricerca sociale non standard, in modo da facilitare la ricostruzione del processo di apprendimento del ricercatore in termini evolutivi. La tesi è che tale ricostruzione sia utile non solo al controllo della conoscenza passo per passo acquisita, ma anche alla sua stessa produzione, potenziando, data la continuità tra strategie cognitive e diagrammatiche, la fecondità euristica dell’esperienza di ricerca.
Pertanto, nei prossimi capitoli, rifletteremo su queste opportunità a partire dalla descrizione di una serie di tecniche, senza dimenticare che qualsiasi risultato al quale perverremo non sarà altro che una rappresentazione di qualcosa; o meglio, una meta-rappresentazione di precedenti rappresentazioni. Abbiamo visto infatti come la parola e l’immagine siano solo una possibile rappresentazione dei concetti e come il significato sia solo una possibile rappresentazione del referente. Allo stesso modo, una mappa concettuale o mentale costituita da caselle, parole, enunciati e frecce, non potrà mai riprodurre gli schemi concettuali e assertori – ovvero la conoscenza di qualcuno su un dato argomento – in scala uno ad uno, ma soltanto rappresentarne una sintesi, creata secondo criteri personali.
Se, vista la faccenda in questi termini, sorgessero seri e legittimi dubbi sull’utilità di questo progetto, reputo interessante riprendere alcune parole usate da Polanyi, nel descrivere il secondo principio operazionale del linguaggio, ovvero quello di trattabilità (cfr. par. 2.1.3).
La migliore esemplificazione di questo punto è fornita dal processo della proiezione cartogra9fica. Una mappa è tanto più accurata quanto più la sua scala si avvicina all’unità, ma se dovesse raggiungere l’unità e rappresentare le caratteristiche di un paesaggio nella loro grandezza naturale, sarebbe senza utilità, perché sarebbe più o meno tanto difficile orientarsi sulla mappa che orientarsi nella regione proiettata su essa […] Questa utilità che la trattabilità offre al pensiero può essere intesa come qualcosa che si svolga in tre stadi: 1. La denotazione primaria. 2. La sua riorganizzazione 3. La lettura del risultato [Polanyi 1958/1990:177-8].
Così, il valore della rappresentazione dell’esperienza attraverso un sistema semantico, non sta nella sua fedele riproduzione ma nella capacità di rivelarne aspetti nuovi, ovvero nel suo potenziale euristico. Il valore della rappresentazione della conoscenza (sia in forma linguistica sia visuale) non va così ricercato in una sua supposta o pretesa esaustività, ma, al contrario, nella sua capacità di riorganizzare e sintetizzare saperi e credenze secondo la prospettiva e i criteri ritenuti più idonei ad affrontare uno specifico obiettivo cognitivo.
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