All’inizio del capitolo precedente abbiamo visto come alcuni meccanismi percettivi visivi, in particolare quelli legati ai corollari del principio gestaltista di buona forma, agiscano anche in riferimento agli altri quattro sensi così come, più in generale, nei processi cognitivi di riconoscimento, inteso come ponte tra ciò che vediamo e ciò che sappiamo. Sono poi stati elencati vari passaggi nei quali i principali epistemologi e linguisti citati in questa sezione hanno ripreso in maniera più o meno esplicita tali costanze percettive nei loro studi sul pensiero e sul linguaggio. Abbiamo tuttavia anche messo in guardia dal rischio di schiacciare il pensiero sulla percezione, mostrando, attraverso una rassegna di esperimenti e ricerche, come il primo coinvolga capacità e processi molto più articolati e complessi rispetto alla seconda. Infine abbiamo fatto un breve cenno alla problematica relativa al ruolo del linguaggio nella costruzione e comunicazione della conoscenza ordinaria e scientifica.
Ci troviamo però oggi in un’epoca in cui la conoscenza è sempre più legata all’osservazione e manipolazione di artefatti visuali, tanto che alcuni studiosi parlano di una ‘iconic turn’ che avrebbe da tempo deassolutizzato il primato del linguaggio nella conoscenza difeso dal ‘linguistic turn’1. Da qui l’idea che il crescente ruolo delle forme visuali nella conoscenza e nel pensiero vada riconsiderato e rintracciato ben oltre alle cinque costanze percettive gestaltiste. L’uso delle immagini, pensiamo ad esempio ai diagrammi, apre infatti strade alternative per relazionarci con l’ignoto, per articolare ciò che prima era vago, per orientarci nel mondo. Tuttavia, come osserva il designer italiano Donato Ricci [2011: 144], «raramente ci si sofferma su come queste raffigurazioni esprimano un significato culturale e su come le informazioni che riceviamo attraverso questi artefatti siano veicolate anche dalla loro forma. In questo senso, la struttura e la forma dell’informazione grafica sono parte integrante del loro significato e della loro forza argomentativa, retorica e persuasiva […] La storia dei metodi, modelli e linguaggi visuali è la storia dei dispositivi, e quindi della tecnologia, che l’uomo usa per amplificare le proprie facoltà cognitive». È inoltre ormai da tempo che le immagini sono state legittimate sia dall’epistemologia sia dalla filosofia della scienza, non solo come mezzi per la diffusione della conoscenza, ma anche come elementi essenziali per la scoperta, l’analisi e la giustificazione del sapere scientifico. Già Otto Neurath, cofondatore del Circolo di Vienna e creatore
1 L’espressione ‘linguistic turn’ «sottolinea il fatto che nei decenni tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del
ventesimo una serie di importanti autori di varie provenienza nazionali e disciplinari e aderenti ad orientamenti epistemologici diversi [tra i quali molti di quelli citati in questo studio] hanno manifestato una spontanea convergenza verso la valorizzazione del linguaggio e la rivendicazione della sua centralità nell’esperienza umana» [Marradi 2006b: 302]. ‘Iconic turn’ (ikonische Wende) fu invece introdotta dal filosofo e storico dell’arte tedesco Gottfried Bohem [1994] a indicare, in contrapposizione alla ‘linguistic turn’, come nel ‘900 le immagini siano ritornate prepotentemente alla ribalta e che – date le loro qualità di immediatezza, concretezza e chiarezza – vada loro riconosciuta una superiorità espressiva rispetto al linguaggio. Il precoce radicamento della riflessione sulla visualità nella tradizione accademica tedesca si rifletterà nella bibliografia di riferimento sulla visualizzazione della conoscenza sia a livello epistemologico (nel presente capitolo) sia metodologico (nel capitolo successivo).
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del codice Isotype (cfr. par. 4.1.2.), affermò provocatoriamente che “le parole dividono, le immagini uniscono”.
In questo capitolo verranno brevemente illustrati i principi della diagrammatica contemporanea rintracciando le loro affinità con alcuni dei fondamentali processi cognitivi illustrati in precedenza. Tali principi mi hanno infatti portato a sostenere la tesi che la fondazione epistemologica delle tecniche di knowledge visualization (cfr. cap. V) non vada ricercata tanto nell’uso che esse fanno dei termini e dei sistemi di enunciati, quanto piuttosto nella caratteristica stessa della visualità, o meglio ancora, nella sinergia tra visivo e linguistico.
4.1. La diagrammatologia
La filosofa tedesca Sybille Krämer, basa i suoi studi di diagrammatologia su una visione del pensiero come “fisicamente” esteso ben oltre il “cervello”2
.
Il nostro pensiero non è limitato a ciò che avviene nella nostra testa; piuttosto, esso si genera attraverso le interazioni con una serie di simboli e strumenti tecnici esterni. Gli artefatti grafici – come liste, grafici, diagrammi e mappe – gettano le fondamenta per l’acquisizione, valutazione e trasmissione della conoscenza scientifica […] I pensieri, quando trasposti su un semplice pezzo di carta o sulla superficie di uno schermo, acquistano un posto nel senso letterale del termine: situati spazio-temporalmente, essi diventano non solo pensabili, ma anche visibili e tangibili. Incarnati in un medium, possono essere fissati, osservati, manipolati, riorganizzati e cancellati. Il telos del progresso scientifico non è infatti soltanto un processo di crescente astrazione, ma anche il movimento opposto verso una crescente concretizzazione. La superficie dell’inscrizione non costituisce soltanto uno spazio di rappresentazione del pensiero, ma anche uno spazio di azione [2010: 14, tda].
L’autrice sottolinea che, pur vivendo in un mondo tridimensionale, l’uomo è mosso da un ‘impulso cartografico’ che lo induce ad appiattire la realtà rappresentandola in forme planari – configurazioni simboliche basate sull’interazione tra piano, linee e punti – che permettono di creare uno spazio di attività intellettuale. Questi artefatti costituiscono la generale categoria della ‘iconicità operativa’, della quale i diagrammi costituiscono un sottoinsieme. Da qui l’assunto che «le inscrizioni diagrammatiche, tra le quali includiamo gli artefatti grafici che vanno dagli appunti ai diagrammi e alle mappe, sono media che forniscono un aggancio tra pensiero e intuizione, tra ‘noetica’ ed ‘estetica’. Attraverso questo interstitial graphic world, l’universale diviene intuibile dai sensi e il concettuale viene
2 Già un profeta della comunicazione contemporanea come Herbert Marshall McLuhan [1964/1967] sosteneva che i media
sono un prolungamento dei nostri sensi, giungendo alla radicale e celebre conclusione che “Il medium è il messaggio” [ivi: 31] ovvero, che la struttura della comunicazione sarebbe dettata in toto dal mezzo tecnologico impiegato a prescindere dai contenuti. Senza nulla togliere alla pertinenza e profondità delle sue intuizioni complessive, il determinismo tecnologico del sociologo canadese viene oggi visto da molti come troppo incentrato sui mezzi di comunicazione in sé a scapito della varietà degli elementi implicati nel processo comunicativo.
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incorporato: la differenza tra il percepibile e l’intellegibile è allo stesso tempo colmata e costituita» [Krämer 2010: 13, tda, corsivo mio].
A partire da questa tesi Krämer si interroga sulle conseguenze dell’introduzione di questi artifici bidimensionali in termini di acquisizione e giustificazione della conoscenza. A fondamento di queste forme di rappresentazione la filosofa propone così una ‘epistemology of the line’ basata sul doppio statuto della linea: tratto empirico percepibile da un lato e mezzo per rappresentare l’intellegibile dall’altro.
Quindi, quando parliamo di un ‘impulso cartografico’ in termini filosofici ed epistemici, noi intendiamo la ricerca di soluzioni grafiche che possano essere trasformate in uno spazio di attività intellettuale. La cognizione è pertanto concepibile come movimento orientato in termini spaziali. Da qui la provocazione di Kant: “Cosa significa orientarsi nel pensiero?” [Krämer 2011: 277, tda].
Il fatto che l’immagine costituisca un’evidenza scientifica non è tuttavia una novità: la scienza è sempre dipesa dall’occhio della mente [ivi] che fornisce ai sensi il codice per penetrare l’invisibile, l’ipotetico e l’astratto. Oggi però abbiamo a che fare con questa ‘iconic turn’ che, sulla base della distinzione tra linguaggio e immagine, pone al centro il ruolo dell’iconicità nelle nostre facoltà cognitive e nella creazione degli oggetti epistemici. D’altro canto, Krämer riconosce che la molteplicità di fenomeni epistemicamente rilevanti in cui siamo immersi è costituita da elementi che non sono quasi mai una forma pura dell’uno o dell’altra, ma che riassumono contemporaneamente e in proporzione variabile, elementi linguistici e iconici. Con l’espressione ‘iconicità notazionale’ (Schriftbildlichkeit) [Krämer 2003], l’epistemologa mostra ad esempio come la stessa scrittura sia un costrutto ibrido tra linguistico e iconico, tra l’atto di raccontare e di mostrare: un tentativo di rendere visibile il pensiero attraverso segni sensibili che contengono elementi sia linguistici sia iconici.
Secondo il filosofo della scienza portoghese Alexander Gerner [2010: 175, tda] i diagrammi ben esemplificano queste forme ibride «mettendo la discorsività e la grammatica in tensione attraverso i principi percettivi della vista, presentando una categoria propria che crea differenziazioni spaziali attraverso contrasti, lacune, spazi vuoti, relazioni e distanze […] non accompagna solamente il pensiero illustrandolo graficamente, ma ne mostra il processo creativo, nel quale lo stesso universo è visto come una molteplicità di spazi intrecciati e ripiegati che il pensiero scioglie e spiega su un piano percepibile». Egli definisce quindi i diagrammi come «schemi grafico-visuali che formano e performano argomenti attraverso un medium visuale» [ibidem, tda]. Così il disegno di linee e relazioni diagrammatiche può essere rintracciato nella stessa fondazione degli ordini spaziali necessari all’attività scientifica (geometria, invenzione dei numeri, alfabeti e pittogrammi); ma anche prima, fino alle “skeletonized icons” di 25.000 anni fa. Queste, secondo il filosofo portoghese, sarebbero i primi artefatti diagrammatici conosciuti: delle rudimentali mappe costruite con pietre e ossa di mammouth
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che permettevano all’uomo preistorico di orientarsi in un dato mondo vitale, localizzando e memorizzando luoghi e scorte di cibo.
Ma i diagrammi sono in grado di “oggettualizzare” rapporti spaziali così come, potenzialmente, qualsiasi altro tipo di relazione.Già Peirce, seppure molti lo indicano come un pioniere del ‘linguistic turn’, aveva assegnato esplicitamente al ‘diagrammatic reason’ il ruolo di intermediario tra intuizione e pensiero. Egli affermò provocatoriamente che «è solo attraverso le icone che noi ragioniamo davvero; gli astratti enunciati sono privi di valore se non nella misura in cui ci aiutano a costruire diagrammi» [Peirce 1893: 4.127, tda]. Aggiunse che «una grande proprietà distintiva delle icone è che, dalla loro diretta osservazione, possono essere scoperte altre verità riguardanti il loro referente, diverse dal quelle che erano state sufficienti a determinarne la rappresentazione» [1895: 2.277, tda]:
a) costruiamo un diagramma ricercando la tipicità di un oggetto, o di un insieme di oggetti, rappresentandone le caratteristiche e le relazioni che riteniamo essenziali e scartando quelle superflue;
b) la semplice osservazione del diagramma può portarci rintracciare in esso nuove informazioni e relazioni;
c) alla luce di tali informazioni potremmo eliminare degli oggetti, inserirne di nuovi o introdurre figure ausiliarie (ad es. frecce, forme geometriche, etc.);
d) procedendo di questo passo, potremmo a un tratto ritenere opportuno ridisegnare completamente il diagramma, rivedere strutturalmente la conoscenza che ci eravamo preposti di rappresentare, fino addirittura a non ritenerla più valida.
Così, se il primo passo è di per sé sufficiente a costruire un diagramma, la possibilità di proseguire nei successivi costituisce il principale indicatore dell’utilità della rappresentazione che abbiamo prodotto. Nella visione di Peirce la costruzione e l’uso dei diagrammi sono pertanto innanzitutto operazioni eidetiche, “icons of relations”, che possono consistere di progressive modifiche3.
Krämer riconosce l’abbondanza di letteratura filosofica sulla relazione tra diagrammi e conoscenza, ma denuncia l’assenza di una vera e propria teoria diagrammatologica; manca ad esempio un intensione condivisa del concetto di diagramma. L’autrice presuppone che «lo stesso formalismo, inteso come un’annotazione operativa che usa la bidimensionalità delle superfici per raffigurare questioni non visuali attraverso configurazioni visive al fine di operare sintatticamente su di esse, vada considerato come un attività diagrammatica. Noi includiamo pertanto nella diagrammatica non solo i diagrammi in senso stretto, ma tutte le forme di creazione intenzionale di marche, annotazioni, grafici, schemi e mappe. Se questo ampliamento del concetto di diagrammatica ha senso, essa va intesa come
3 I diagrammi, e i loro anche radicali aggiustamenti in corso d’opera, svolgono così la stessa funzione di orientamento nella
complessità che Bechtel e Richardson [1993] affidavano alle “kinemaitcs of change” della teoria scientifica: l’ipotesi iniziale farebbe parte della strategia euristica di partenza e potrebbe venire in seguito smentita, capovolta o sostituita senza che ciò comprometta la validità del processo di ricerca. Ciò rispecchia peraltro la modalità d’integrazione tra vissuti e schemi intepretativi incontrata in Schütz (cfr. par. 1.5). Queste dinamiche verranno esemplificate e approfondite nell’ultimo capitolo in relazione alla conoscenza sociologica.
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una tecnica culturale [Krämer and Bredekamp 2003], che – nel suo sviluppo storico – costituisce una base di fatto indispensabile per tutte le attività cognitive umane» [Krämer 2010: 15, tda]. Elemento comune a questi ibridi tra linguaggio e immagine è, secondo la filosofa tedesca, il ‘graphism of the line’: in questo concetto ella rinviene il fondamento epistemologico dei diagrammi. Tali presupposti portano a due ulteriori assunti:
- la capacità di istituire marche grafiche è un tratto definente la specie umana, non secondaria a quella linguistica (come testimoniano le menzionate “skeletonized icons”);
- non solo la scienza, ma la stessa filosofia è gemellata alle strutture diagrammatiche sin dalla sua origine.
L’idea che la tradizione filosofica occidentale celi un fondamento diagrammatologico nel pensiero epistemologico dei suoi principali pensatori – nonostante abbia per gran parte rinnegato il ruolo delle immagini nella propria disciplina – ha spinto l’autrice a ricercare tali elementi. Nel farlo ella ha compiuto una rivisitazione in chiave diagrammatologica del pensiero di alcuni fondamentali filosofi antichi, moderni e contemporanei occidentali tra i quali Platone, Cartesio, Kant, Peirce e Wittgenstein. Per la nostra riflessione risulta particolarmente interessante la concezione diagrammatica rinvenuta dalla filosofa tedesca nella visione gnoseologica ed epistemologica socratico-platonica, espressa attraverso la nota metafora della linea. Centrale per l’individuazione dei principi della diagrammatologia krameriana, la riflessione su questo elemento ci permetterà infatti di tirare i fili del discorso in merito al fondamento epistemologico delle tecniche di knowledge visualization in relazione a quello delle scienze sociali, e di connettere così le due sezioni di questo lavoro.
4.1.1. La metafora platonica della linea
Riprendendo Socrate, nel VI libro de La Repubblica [360-390: 509-11], Platone descrisse una linea divisa in due parti ineguali da un segmento che separa il campo del sensibile da quello dell’intellegibile. I due campi sono a loro volta suddivisi da due ulteriori segmenti, andando così a rappresentare le quattro diverse entità metafisiche. Ad ognuna di queste, ordinate secondo il loro grado di conoscibilità, corrisponde una specifica modalità conoscitiva (fig. 1). Sia Socrate sia Platone si affidarono a descrizioni linguistiche, ma la recente rilettura della metafora a opera della filosofia contemporanea ne offre svariate rappresentazioni visuali4.
In termini metafisici, la sfera sensibile è composta dagli oggetti sensibili e dalle loro immagini, mentre quella dell’intellegibile, dalle forme matematiche e dalle forme assolute (le cosiddette “idee”5
): la prima sarebbe pertanto “illuminata dal Sole”, la seconda dal “Bene”. In termini gnoseo- epistemologici, la forma di conoscenza riguardante la sfera sensibile è l’opinione (doxa): gli oggetti si
4 Krämer [2010] cita ad esempio i lavori di Brentlinger [1963], Fogelin [1971], Nicholas [2007], Notopoulos [1936], Stocks
[1911] e Yang [2005]; così come la rassegna delle molteplici interpretazioni della metafora stilata da Ueding [1992].
5 Esse sarebbero innate in quanto presenti nell’anima di ogni essere umano, che tuttavia non è in grado di conoscerle nella
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possono conoscere attraverso la percezione che genera credenza (pistis); le loro immagini vengono invece indagate dall’immaginazione che produce congettura (eikasia).
Fig. 1 – Rappresentazione grafica della metafora della linea platonica [Fonte: Krämer 2010: 16, tda]
Quello che però produce vera conoscenza (episteme) è il rapporto con l’intellegibile, ovvero il mondo delle forme: quelle matematiche vengono impiegate nel ragionamento deduttivo (dianoia), mentre le forme assolute permettono la forma più alta di conoscenza, l’intuizione (noesis). Quest’ultima è il “pensiero puro” che, per mezzo delle idee, risale a una completa fondazione del sistema conoscitivo. Essa permette infatti di mettere in relazione le idee rivelando i principi morali universali, l’incondizionato, in quanto ciò che illumina la sfera dell’intellegibile è il “Bene”. Questo fu un modo per mostrare come, secondo filosofia morale dei due ateniesi, i filosofi fossero i più adatti ad assumere il governo della Repubblica, quali custodi della più alta conoscenza: essi soli avrebbero avuto accesso ai principi universali della morale e la capacità di trasmetterli dialetticamente agli altri6.
4.1.2. Aspetti tecnico-cognitivi evidenziati dalla metafora della linea
Secondo Krämer [2010], per comprendere il contributo della diagrammatica allo sviluppo della conoscenza è centrale il livello conoscitivo della dianoia, nel quale le forme matematiche vengono usate come proto-tipi degli oggetti delle scienze naturali. Così i matematici, spesso usano oggetti visibili per rappresentare idee invisibili: disegnano ad esempio un cerchio per rappresentare il concetto di circolarità, di per sé soltanto intellegibile7. La dianoia si serve del visibile per fornire ai sensi l’immagine di qualcosa che non lo è. Come abbiamo visto (cfr. par. 3.2), caratteristica della matematica è di non trattare la sfera del sensibile, ma alla stesso tempo di essere dipendente da essa come unico mezzo per rappresentare i suoi oggetti teorici. Pertanto, secondo la filosofa tedesca, la
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Platone tuttavia sottolinea in vari passi come nemmeno il filosofo sia in grado di accedere alle forme originarie, conosciute e contemplate solo dagli dei. Per questo la filo-sofia è “amore per il sapere” e non “possesso del sapere”. Inoltre, in quanto pensieri puri e preverbali, tali idee non possono essere comunicate, ma è solo possibile educare alla loro ricerca attraverso la dialettica.
7
Si pensi al rapporto tra “universale primo” e “universale secondo” nel pensiero di Lotze (cfr. par. 2.1) e al suo ruolo nel processo di oggettivazione. Egli direbbe infatti che per evocare il concetto di circolarità noi visualizzeremo sempre e comunque un cerchio particolare.
MONDO INTELLEGIBILE intuizione (noesis ) SAPERE (episteme )
deduzione (dianoia )
MONDO SENSIBILE credenza (pistis ) OPINIONE (doxa)
congettura (eikasia ) Forme matematiche Ragionamento
Oggetti sensibili Percezione
Immagini delle cose Immaginazione