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Lo studente di lingue nella glottodidattica umanistica

2. La glottodidattica e la glottodidattica ludica

2.1. La glottodidattica

2.1.6. Lo studente di lingue nella glottodidattica umanistica

Alla base della glottodidattica umanistica vi sono studi di neurologia, psicologia e neurolingui- stica che illustrano l’importanza del cervello e dell’interazione tra i due emisferi. Il cervello è quindi la parte più importante dello studente di lingue, in quanto immagazzina ciò che viene appreso e acquisito. Riprendiamo quindi due implicazioni glottodidattiche, la bimodalità e la direzionalità, sviluppate da Marcel Danesi, professore di semiotica ed etnolinguistica presso la University of To- ronto e noto per i suoi studi sul linguaggio, nel testo Neurolinguistica e glottodidattica (1988).

Gli studi di neurologia dimostrano che il cervello è diviso in due emisferi, destro e sinistro, che lavorano in maniera differente. La psicologia ha individuato nell’emisfero sinistro i compiti di natu- ra analitica, sequenziale e logica, e nell’emisfero destro quelli di natura globale e olistica. Secondo il concetto di bimodalità i due emisferi non lavorano indipendentemente, vedendo quindi solo l’emisfero sinistro coinvolto nello studio di una lingua, ma interagiscono: “il linguaggio è il risultato di una integrazione neuronale dei due complessi di modalità (l’M/SN e l’M/DS) localizzati in due emisferi differenti. Questa ‘cooperazione’ emisferica porta al linguaggio nella sua totalità espressi- va” (Danesi, 1988, p. 61). Il principio di bimodalità è fondamentale nella glottodidattica umanistica poiché “dalla fase di motivazione, che integra le emozioni e le curiosità del cervello destro con l’analisi dei bisogni di quello sinistro, si passa a una fase di globalità (modalità destra) cui segue l’analisi della lingua (modalità sinistra) per approdare alla sintesi conclusiva” (Balboni, 2012, p. 74). Questo scambio di informazioni però avviene in una direzione precisa, cioè dall’emisfero de- stro verso quello sinistro, secondo il principio di direzionalità: “l’emisfero destro ha una struttura anatomica che sembra essere specializzata nel decifrare stimoli nuovi; è solo in un secondo tempo

che l’emisfero sinistro viene a dominare il materiale linguistico, appena viene scoperto il sistema che esso forma” (Danesi, 1988, p. 64). Nonostante questo percorso naturale da destra (percezione globale) a sinistra (percezione analitica), “la tradizione scolastica ci ha abituati al percorso opposto (prima il teorema e poi gli esempi, prima le regole poi le attività, prima la storia della letteratura e poi i testi letterari)” (Balboni, 2008b, p. 16). Per questo motivo la Scuola Veneziana di Glottodidat- tica favorisce un approccio intuitivo/induttivo secondo la direzionalità naturale del cervello.

Nello studio di una lingua ci sono alcune persone più efficienti di altre e di conseguenza si po- trebbe ipotizzare che esista un’attitudine verso l’apprendimento linguistico (Balboni, 2012, p. 77).

Secondo Balboni (2012, p. 77) il problema dell’attitudine alla lingua è un tema dibattuto ed egli afferma che gli studiosi discordano sull’effettiva propensione di certe persone rispetto ad altre nello studio di una lingua, attribuendo l’efficacia dell’acquisizione linguistica al LASS piuttosto che al LAD. Tuttavia Balboni sostiene ci siano caratteristiche personali che possono favorire o meno l’apprendimento delle lingue. Questi tratti distintivi sono le intelligenze multiple (che possono es- sere linguistica, logico-matematica, spaziale, musicale, intra- e interpersonali) (Gardner, 1983), gli stili cognitivi e d’apprendimento (analitico/globale, ideativo, in/tolleranza per l’ambiguità, in/dipendenza dal campo, grammatica dell’anticipazione, apprendere dai proprio errori) (Balboni, 2012, p. 80) e i tratti della personalità (cooperazione/competizione, estroversione/introversione, ottimismo/pessimismo, autonomia/dipendenza) (Balboni, 2012, p. 82).

Oltre all’attitudine, tra le variabili naturali, cioè “gli aspetti innati che possono incidere in modo determinante sull’apprendimento di una persona” (Begotti, 2010, p. 50), Paola Begotti, CEL di ita- liano all'Università Ca' Foscari di Venezia e dottore di ricerca in linguistica e glottodidattica, evi- denzia altri fattori da tenere in considerazione: la memoria, l’età e il sesso.

Il discente deve memorizzare in maniera stabile e saper recuperare ciò che ha memorizzato.2 Durante il processo di memorizzazione, le informazioni sono elaborate dalla memoria di lavoro per poi essere collocate nella memoria a breve termine, limitata nel tempo e nella quantità. Infine la memoria a lungo termine “è l’archivio in cui vengono trattenuti in modo duraturo e a volte per- manente, episodi, fatti, dati e tutto ciò che costituisce il nostro sapere, la nostra enciclopedia e la nostra conoscenza del mondo” (Cardona, 2010, p. 75).

L’età è un altro fattore da tenere in considerazione. Il cervello raggiunge l’apice delle sue po- tenzialità verso gli otto anni e poi decade lentamente a causa della diminuzione dei neuroni; per questo motivo i primi anni di vita sono il periodo ottimale per l’insegnamento di una lingua stra-

niera (Penfield & Roberts, 1959). Questo non significa che l’adulto non può imparare le lingue, ma che solamente dovrà sforzarsi maggiormente dal momento che “la psicolinguistica recente ritiene che la capacità di appendere una lingua non venga mai meno, ma che siano la rapidità e la stabilità dell’acquisizione a mutare con l’età” (Balboni, 2012, p. 101).

Infine Begotti sottolinea che anche il sesso degli studenti è un elemento importante in quanto, secondo molte ricerche condotte, le femmine sono più socievoli e interagiscono più attivamente rispetto ai maschi, favorendo l’apprendimento linguistico (2010, p. 55). Dai questionari proposti agli studenti (vedi 1.2.6) non è possibile verificare l’efficacia dell’apprendimento linguistico rispet- to al sesso, ma possiamo osservare che secondo le percentuali degli intervistati c’è un netta preva- lenza di studentesse (il 70% di femmine rispetto al 30% di maschi) che evidenzia il maggior interes- se verso la lingua giapponese rispetto agli studenti.

Per avviare i processi di apprendimento e acquisizione c’è bisogno di motivazione, cioè l’energia che mette in moto quelli che Balboni definisce hardware e software (Balboni, 2012, p. 86). Cardona (2010, p. 19) riporta l’esistenza di due tipi di motivazione: integrativa o strumentale (la prima, prevalente in un contesto di lingua seconda, è il desiderio di integrarsi in una comunità lin- guistica; la seconda, legata al concetto di lingua straniera, è la volontà di rapportarsi con madrelin- gua nativi nel proprio ambiente di studio, per esempio lo studente di lingua giapponese che desi- dera comunicare con giapponesi in Italia) e intrinseca o estrinseca (la prima nel caso il discente provi piacere e interesse nell’apprendimento della lingua; la seconda nel caso il discente sia moti- vato all’apprendimento per il raggiungimento di un obiettivo a breve o a lungo termine, come prendere un bel voto o trovare un lavoro all’estero) (Cardona, 2010, pp. 20-23).

Le fonti della motivazione nell’approccio umanistico-affettivo sono essenzialmente tre: il mo- dello egodinamico, il modello basato sulla valutazione dell’input e il modello tripolare.

Il primo presuppone che ogni individuo (ego) abbia un progetto di sé, quindi pensa a una stra-

tegia per realizzarlo e infine applica delle tattiche reali. Per esempio uno studente di lingua giap-

ponese si pone come progetto la traduzione di manga dal giapponese all’italiano; decide quindi di attuare la strategia frequentando un corso di lingua giapponese o andando in Giappone; il mo- mento tattico sarà il contatto reale con la frequenza del corso o il viaggio in Giappone. Nel caso si ottengano i risultati sperati, si formerà un cerchio ego->strategia->tattica che mantiene attivo il processo e fornisce motivazione al discente, altrimenti s’innalzerà il filtro affettivo impedendo l’acquisizione della lingua (Balboni, 2006b, p. 53).

La motivazione basata sulla valutazione dell’input, ovvero il modello di stimulus appraisal, “si basa sul presupposto che l’emozione giochi un ruolo fondamentale nel processo cognitivo. […]. Il cervello seleziona quello che vuole imparare sulla base di cinque motivazioni in cui la componente emozionale gioca un ruolo essenziale” (Balboni, 2006b, p. 54). Queste motivazioni consistono nella novità (proporre continuamente elementi nuovi), nell’attrattiva (lo stimolo deve destare interesse, come per esempio l’elemento grafico dei manuali è importante), nella funzionalità (legata ai biso- gni dello studente), nella realizzabilità (i compiti devono essere alla portata dello studente per evi- tare l’innalzamento del filtro affettivo) e nella sicurezza psicologica e sociale (l’apprendimento non deve inficiare sull’autostima e sull’immagine sociale del discente). La mente dello studente assume pertanto un ruolo centrale, in cui l’emotività gioca un ruolo chiave per l’efficacia dell’apprendimento. Questi concetti sono fondamentali per il terzo modello motivazionale, ovvero il modello tripolare.

Il modello tripolare individua tre principi che governano l’azione dell’uomo, cioè il dovere, il bi-

sogno e il piacere (Balboni, 2012, p. 85). Il dovere innalza il filtro affettivo, non producendo acqui-

sizione nei termini di Krashen poiché le informazioni apprese restano nella memoria a breve ter- mine (Balboni, 2012, p. 87). Caon (2008, p. 13) propone due tipi di dovere: eterodiretto (indotto da fattori esterni, per esempio lo studio di una lingua non interessata a scuola) e autodiretto (do- vere autoindotto, per esempio per evitare di prendere voti bassi). Il bisogno è una motivazione abbastanza stabile e correlata all’emisfero sinistro, dovuto spesso a necessità momentanee e che quindi portano lo studente a perdere interesse una volta raggiunto l’obiettivo prefissato. Infine il piacere, legato all’emisfero destro e a volte anche all’emisfero sinistro, è inteso non solo come sensazione gradevole, ma anche come piacere egodinamico di realizzare un progetto di vita, piace- re di apprendere, della novità, della sfida, della varietà, della sistematizzazione e di rispondere al proprio senso del dovere (Balboni, 2012, p. 87).

Infine una situazione didattica che non si addice allo studente, la mancanza di motivazione e di stimoli, la scarsa padronanza delle abilità di studio, la difficoltà di apprendimento e la scarsa atti- tudine per le lingue sono fattori che possono mettere lo studente in una situazione di difficoltà dal punto di vista linguistico, relazionale, motivazione o cognitivo (Caon, 2008, p. 115-120). Per questo bisogna agire su questi studenti con una serie di interventi in modo da rafforzare le abilità e per- mettere l’acquisizione della lingua.