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Mali dell’anima e loro cura secondo Papa Francesco

ANTIDOTI AI MALI DELL’ANIMA

1. Mali dell’anima e loro cura secondo Papa Francesco

Il tema dei mali dell’anima e della loro cura è un classico della cultura morale nelle sue diverse espressioni filosofiche, religiose e scientifiche, antiche, moderne e contemporanee. Si pensi, per esem-plificare, al pensiero classico: da Platone ad Aristotele, da Epicuro a Seneca, da Epitteto a Marco Aurelio (1), ma si potrebbe tenere presente anche l’odierna consulenza filosofica (2); si pensi inoltre al pensiero religioso: da quello cristiano (medievale e moderno) a quello musulmano (3); si pensi pure alle terapie mediche e psicolo-giche (4); e, soprattutto, si pensi alla teologia, alla folta trattatistica di teologia morale specialmente in ambito cattolico e ortodosso (5).

Ebbene, in senso generale, i mali dell’anima sono identificati con i vizi capitali, per cui gli antidoti sono le virtù, a partire dalle virtù cardinali per giungere a quelle teologali. In senso storico sono mali tipici di un’epoca: vecchi e nuovi vizi in versione contemporanea.

È in questo secondo significato che qui affronteremo i mali dell’a-nima e i loro antidoti, riferendoci specificamente al nostro tempo, e lo faremo sulla scorta delle indicazioni che provengono da papa Francesco, il quale in diversi documenti e testi si è occupato della cosa, in particolare nella esortazione apostolica Evangelii Gaudium.

A questa, soprattutto, faremo riferimento (e le citazioni saranno contrassegnate dai numeri in cui si articola il documento); oltre ai testi magisteriali (6) terremo presenti anche altri scritti: sia del

car-dinale Bergoglio (7), sia di papa Francesco (8), nonché la variegata pubblicistica su Bergoglio: cardinale prima e papa poi (9).

Prima di vedere quali sono i mali dell’anima secondo papa Fran-cesco, e quali gli antidoti che egli suggerisce, torna utile richiamare il quadro che il papa fa della società contemporanea, di cui mette in evidenza soprattutto gli aspetti negativi non per formulare condan-ne, ma per prendere coscienza della reale situaziocondan-ne, che è caratte-rizzata da una crisi epocale, con la quale bisogna misurarsi.

Si tratta allora di muovere da una analisi della realtà contempo-ranea (n. 51) - che dal papa è solo abbozzata, e che lascia alla comu-nità di “completare e arricchire” (n. 108) - e di tenere ferma la con-vinzione che “le sfide esistono per essere superate” (n. 109) vivendo e partecipando la gioia del Vangelo e la gioia della evangelizzazione.

Punti di forza per affrontare l’odierna crisi e le sfide che ne sca-turiscono sono quelle che possiamo chiamare le virtù deboli, ma che non sono le virtù dei deboli. Papa Francesco invita a tornare a

“credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto” con la consapevolezza che “l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli, ma dei forti” (n. 288). Con specifico riferimento ai cristiani, papa Bergoglio richiama: l’entusiasmo missionario (n. 80), la gioia dell’evangelizzazione (n. 83), la speranza (n. 86), la comunità (n.

92), il Vangelo (n. 97), l’ideale dell’amore fraterno (n. 101), la forza missionaria (n. 109).

Ebbene, il rischio è quello di essere espropriati di queste capacità umane e cristiane dalla società contemporanea, in quanto caratteriz-zata da “molteplice ed opprimente offerta di consumo”, da “tristez-za individualista”, da “cuore comodo e avaro”, da “ricerca malata di piaceri superficiali”, da “coscienza isolata”, da “risentimento” e da

“scontentezza” (n. 2).

Di fronte a questa situazione - all’insegna di consumismo e

edo-nismo, individualismo e pessimismo, egoismo e superficialità- è necessario che le persone non si lascino fagocitare dal nuovo Levia-tano: a tal fine la terapia che papa Francesco addita - al di là di più specifici antidoti - è la “educazione che insegna a pensare critica-mente” e che “offre un percorso di maturazione dei valori” (n. 64);

con specifico riferimento ai cristiani chiede loro di non essere (per usare alcune sue efficaci immagini) doganieri (n. 47) né mummie da museo (n. 83), né (come ha detto recentemente) “cristiani pipistrel-li” o “cristiani da funerale”; devono invece essere “persone-anfore”

(n. 86), perché danno da bere agli altri e “viandanti della fede” (n.

106), come sono soprattutto i giovani.

Tanto l’analisi della società, quanto l’indicazione dei mali dell’a-nima, operate da papa Francesco, hanno suscitato e continuano a suscitare tante reazioni: la maggior parte delle quali sono positive:

sia da parte di giornalisti (tra cui Eugenio Scalfari e Massimo Fran-co, Paolo Rodari e Gianni Valente, Saverio Gaeta e Rosario Carello) e specificamente di vaticanisti (come John Allen, Evangelista Himi-tian ed Elisabetta Piqué, Andrea Tornielli, Raffaele Luise Aldo Valli e Fabio Zavattaro), sia da parte di storici (Massimo Faggioli, Aldo Giannuli, Andrea Riccardi e Roberto Rusconi), di sociologi (Mas-simo Introvigne), di psicologi (Giancarlo Ricci) e di personalità del mondo cattolico (come Paola Del Toso, Giuliano Vigini, Antonio Spadaro, Lorenzo Leuzzi, Mariano Fazio, Victor Manuel Fernandez e Diego Fares).

Non sono tuttavia mancate alcune posizioni critiche o in sen-so tradizionalista o in sensen-so progressista. Alla prima tipologia ap-partengono, per esempio, gli interventi di Francesco Cupello con il volume Chiesa povera non impoverita. Papa Francesco e i rischi del pauperismo, di Antonio Socci con il volume Non è Francesco.

La Chiesa nella grande tempesta, e di Giuliano Ferrara, Alessandro

Gnocchi e Mario Palmaro con il volume Questo papa piace troppo.

Un’appassionata lettura critica; ma si potrebbe segnalare anche la posizione di Vittorio Messori.

Alla seconda tipologia appartengono, per esempio, gli interventi di don Andrea Gallo, il quale nel suo ultimo libro: In cammino con Francesco, ritiene che “dopo il conclave”, che ha portato Bergoglio sul soglio pontificio, si possa puntare su una Chiesa basata su “po-vertà, giustizia, pace”; quattro per don Gallo sono le parole chiavi per quello che dovrà essere il cammino di Francesco: partecipazione attiva, sinodalità, ascolto e dialogo; in modo analogo si sono espres-si due teologi come lo statunitense Fox Matthew, ex domenicano, che ha ritenuto di scrivere otto Lettere a papa Francesco (Fazi) per

“ricostruire la Chiesa con giustizia e compassione”, e come il bra-siliano Leonardo Boff, ex francescano, che ha ritenuto di svolgere pubblicamente una serie di riflessioni su Francesco d’Assisi Francesco di Roma, per auspicare “una nuova primavera per la Chiesa”.

Al di là del dibattito su continuità e/o novità di papa Bergoglio, si può in ogni caso parlare di “sorpresa” (A. Riccardi) o di “sorprese”

(A. Valli), come appare chiaramente dalla Evangelii gaudium con la individuazione di “alcune sfide del mondo attuale” (sfide sociali e culturali), di alcune “tentazioni degli operatori pastorali” e di ulte-riori sfide spirituali ed ecclesiali. Appare qui quello che chiamerei il carattere postmoderno di papa Francesco, nel senso che non risolve né dissolve i problemi, ma li pone avvertendone la novità e quindi la necessità di capirli per affrontarli correttamente.

In questo contesto, prenderemo in considerazione alcuni mali dell’anima che sono propri dell’uomo, ma in modo specifico dell’uo-mo contemporaneo, e che possono colpire anche i cristiani, per cui presenteremo ciascuno di questi mali nella duplice versione umana e cristiana, per indicare poi le cure richieste nell’uno e nell’altro caso.

La scelta di questi mali richiama quelli cui mi sembra che papa Francesco riservi particolare attenzione e che mi paiono particolar-mente gravi, in quanto colpiscono l’anima come principio vitale dell’uomo; essi sono la corruzione con quello che è stato chiamato il suo fascino discreto (Gaspard Koenig); la inequità, che giunge fino a considerare certe persone vite di scarto (Zigmunt Bauman); e la tristezza, che va dalla scontentezza fino all’accidia, la quale è stata de-finita la passione dell’indifferenza (Sergio Benvenuto), il male oscuro (Gabriel Bunge), il male dei nostri tempi (Giovanni Cucci).

Si tratta (in tutti e tre i casi) di mali da prendere in considera-zione non tanto come peccati, ma - ecco il punto - come modi vi-vendi, come formae mentis: inquinate e inquinanti. Inquinate dalla chiusura (egocentrica ed egoistica, autarchica e autoreferenziale), che rende impermeabile al perdono, alla solidarietà e alla speran-za. Inquinanti nei confronti delle relazioni, delle risorse per cui è richiesta, una ristrutturazione della personalità, una revisione della convivenza e una riformulazione della progettualità.

In breve, tutti e tre questi mali mettono in discussione la dignità della persona: di sé e degli altri, in quanto portano a reificare la persona, a ridurla in sé e negli altri a una cosa tra le cose. Risulta quindi evidente la loro negatività, che (ripetiamo) non è tanto di comportamenti individuali quanto di concezioni diffuse. Questo spiega perché su questi tre mali e i loro antidoti si stia producen-do una crescente letteratura e pubblicistica, che evidenziano come corruzione, inequità e tristezza siano temi al centro del dibattito cul-turale del nostro tempo; papa Francesco li affronta come specifici mali dell’anima, cui gli uomini, anche i cristiani, debbono guardar-si oggi, cercando ci curarli e di guarirne.